A tu per tu con una donna la cui voglia di volare è più grande della paura di cadere. Questa sera, alle 20.30, l’autrice e protagonista di Più forte del destino sarà di scena al Teatro Lembo di Canosa.

Il suo sogno da bambina era di diventare ballerina di danza classica e attrice. Poi è comparsa la malattia e la lotta per giungere ad una diagnosi arrivata solo dopo vent’anni di analisi e cure infruttuose. Antonella Ferrari è affetta da sclerosi multipla: è vero, non può ballare, ma è comunque attrice e scrittrice di successo. Volto noto della soap opera “Centovetrine”, ha recitato in molte altre produzioni del piccolo e del grande schermo. È giustamente orgogliosa del ruolo di Anna Paola nella miniserie televisiva “Un matrimonio”, di Pupi Avati. Il suo libro Più forte del destino (Mondadori 2012), i cui proventi sostengono l’AISM, è giunto alla quinta ristampa e dal 2013 ha anche ispirato uno spettacolo che continua a fare il sold-out in decine e decine di repliche lungo l’intero Stivale.

Antonella, Più forte del destino non è solo una frase ad effetto, il titolo di un libro o di uno spettacolo: è la storia di una vita che non si è arresa alla malattia.

Senza dubbio. In realtà, la scelta del titolo è stata di Mondadori. Il titolo che avevo proposto io è l’attuale sottotitolo: Tra camici e paillette, la mia lotta alla sclerosi multipla. Mondadori ha scelto Più forte del destino, perché lo riteneva più adatto alla mia storia, la storia di una donna che ha scelto di essere più forte del suo destino. Mi sono fatta convincere e devo dire che hanno scelto bene. Quando l’ho comunicato alla mia famiglia, mi hanno detto che non c’era titolo migliore perché la vita voleva una donna sconfitta dal dolore, una donna seduta sulla sedie a rotelle, e che cambiava radicalmente la sua vita in base alla diagnosi. Invece, io ho scelto di sfidare il mio destino e di continuare a studiare per divenire un’attrice e per dimostrare che per saper recitare non si deve saper correre. Devi saper comunicare.

Il mondo dello spettacolo non è certo facile: chissà quali e quanti stereotipi hai dovuto sfatare per affermarti come attrice.

Un paio di anni fa, quando Pupi Avati mi fece il provino per “Un matrimonio”, alla fine del provino mi disse: «Lei mi ha conquistato e conquistare me non è facile. Non permetta a nessuno di sminuire il suo talento per colpa della sua malattia. Lei è brava, se lo ricordi, ed è brava a recitare e non c’entra la malattia». Queste parole sono state per me una grande spinta. Credo di saper fare bene il mio lavoro perché lo faccio con grande, grande passione. E perché mi sono impegnata per fare questo lavoro, studiando a lungo e con sacrificio. Ho sempre desiderato fare l’attrice, ma non per le copertine sui giornali, bensì per comunicare.

02 antonella ferrari credit obbligatori Nicola Allegri

Foto di Nicola Allegri

Siamo abituati ad una TV che sfrutta il dolore, a una TV che fa soldi sul dolore della gente. Tu, invece, ci racconti il dolore con ironia e autoironia: col sorriso.

Chi vedrà stasera il mio spettacolo a Canosa di Puglia, scoprirà che c’è un momento in cui prendo in giro i talkshow. Non faccio nomi, dico solo che nello spettacolo, ad un certo punto, faccio la parodia dell’intervista tipica che ti fanno in TV e che è studiata per farti piangere perché più piangi e più si alza l’ascolto. Infatti, in certi programmi televisivi ho scelto di non andare più perché vogliono la lacrima e io la lacrima non ho voglio di darla. Ho voglio di dare un bel sorriso. Non perché il mio dolore non sia dolore, ma perché piangere non ti fa guarire. E secondo me è importante portare la propria voglia di vivere, non le solite lacrime, la persona sconfitta, la persona brutta e pallida e che non ha cura di sé. Invece no! Anche una donna con disabilità può aver voglia di truccarsi, di essere una bella donna, di curare il proprio aspetto esteriore. Nello spettacolo c’è una grande parte dedicata a questo. Arrivo persino a mettermi le scarpe coi tacchi, perché anche una donna con disabilità ha voglia di apparire bella e non c’è niente di male in questo. Peraltro in Italia non si è mai vista la disabilità portata in scena come vero teatro. Io avevo molta voglia di far ridere e, infatti, lo spettacolo è un vero e proprio inno alla vita.

Ieri mattina, ad Andria, in una cattedrale gremita di giovani, uno di loro ti ha chiesto perché continui a dire che la tua àncora di salvezza è stata la fede, mente dovresti dar merito alla tua forza di volontà e alla tua voglia di vivere…

Una domanda molto intelligente, che mi ha colpito molto. Continuo a rispondere come ho risposto ieri a quel ragazzo. Io sono convinta che questa forza di volontà venga da lassù. E quindi, visto che la fede è stata una costante nella mia vita e anzi è cresciuta col dolore, io sono convinta che io non sarei stata la donna che sono oggi se non avessi avuto fede. Io continuo a pensare che quella luce che ho dentro si chiama speranza, si chiama fede: e io non posso sentirlo come un merito mio. Secondo me, “qualcuno” mi ha illuminato e io ho colto questa luce. Tutto qui. Non sono e non mi sento un eroe e non reputo la malattia un dono di Dio. Ritengo che il dono sia aver ricevuto gli strumenti per vivere la malattia senza lasciarsene sconfiggere. Io questo dono l’ho accolto e provo a farne il giusto uso. Mi chiedono se ho paura. Certo che ne ho. Ma la mia voglia di volare è più forte della paura di cadere.

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                                                    Antonella Ferrari sul palcoscenico

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