“Pregate per me, che non faccia troppi danni”

A caldo, l’impressione è che davvero alla Chiesa diocesana di Andria sia stato donato un pastore. Uno di quelli che “sa di pecore”, secondo la felice espressione di papa Francesco. Il vostro cronista, confuso tra la folla festante che ha gremito ogni angolo della pur grande cattedrale di Cerignola, non vi starà a raccontare tutti i particolari di una lunga e assai partecipata celebrazione per l’ordinazione episcopale di mons. Luigi Mansi. Vi proporrà, invece, solo alcuni flash: sufficienti, tuttavia, a farsi un’idea, a cogliere una piacevole sensazione…

Lo stemma episcopale

Troppo complicato danne la spiegazione secondo i canoni dell’araldica. Ci limitiamo ad alcune brevi annotazioni. Il blasone è sormontato da una corona di spine: è già evidente il riferimento alla Sacra Spina di Andria e alla espressa volontà di mons. Mansi di unire in modo definitivo la sua vita e il suo ministero con la comunità che a questa reliquia è così legata. Completa lo stemma un agnello dal cui petto sgorga sangue, ma che è in piedi, risorto, sul libro aperto del Vangelo, mentre nel cartiglio si legge: “Verbum caro factum est”. Il Verbo, la Parola, si è fatta carne. Un programma pastorale che è un programma “politico”: dice tutta la volontà di donarsi totalmente, di farsi parola e carne, di incarnarsi nel vissuto di ogni donna e di ogni uomo, per dare vita a tutti, a cominciare dagli ultimi.

Il pastorale

È di legno: per i pugliesi, ma non solo per loro, è troppo facile leggervi l’evidente intenzione di imitare un vescovo santo, il compianto don Tonino, il vescovo di Molfetta, dove ha sede il seminario regionale e dove mons. Luigi Mansi è stato per otto anni direttore spirituale.

A testa bassa

L’ordinazione episcopale è accompagnata da non pochi riti esplicativi: l’unzione crismale, la consegna dei Vangeli, la consegna dell’anello episcopale, della mitra, del pastorale. Al termine di tali riti, il Vescovo celebrante, mons. Nunzio Galantino, Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana, ha invitato mons. Mansi a insediarsi sul seggio a lui riservato, al centro dell’altare. È il momento dell’intronizzazione, in cui forte è partito l’applauso dell’assemblea e ancor più forte potrebbe partire la tentazione di farsi prendere da mondana vanagloria. Ma i presenti hanno potuto apprezzare un gesto istintivo di mons. Luigi Mansi: appena seduto, appena partita l’ovazione, lui ha piegato di scatto la testa in avanti e lì è rimasto. A testa bassa…

Il discorso finale

Alla fine di celebrazioni come questa, o anche solo di ordinazioni sacerdotali, il protagonista ha sempre il suo momento per tenere un discorso di ringraziamento. È un’altra occasione in cui il fedeli possono tastare il polso di chi parla. Nelle parole di mons. Mansi, nessun cedimento narcisistico, poco, pochissimo spazio ai convenevoli. Il resto è una lunga, amabile confessione di lode per il bene ricevuto, per quanti l’hanno formato e amato, per tutte le comunità in cui ha spesso i suoi 40 anni di sacerdozio, per quella che l’attende come novello pastore, per il Cristo che lo ha “reso forte” a dispetto della sua debolezza.

L’anello nuziale

I momenti di commozione, quelli in cui i ripetuti applausi hanno interrotto il discorso finale di mons. Luigi Mansi sono stati davvero tanti. Ma ad un certo punto l’applauso è stato ancora più forte: è accaduto quando la commozione ha spezzato la voce dello stesso Vescovo; è stato quando ha detto che si presenta come sposo della Chiesa di Andria e che, per questo, il suo anello episcopale è stato fuso dall’oro delle due fedi nuziali dei suoi genitori…

Le sue ultime parole

Se il quadro fin qui delineato non fosse sufficiente a dare l’idea che la Chiesa di Andria ha ricevuto il dono di un pastore che davvero porta con sé il delicato e intenso odore delle pecore, basterebbero forse le ultime parole da lui pronunciate a presentare l’uomo, il ministro, il vescovo Luigi Mansi: “Pregate per me, che non faccia troppi danni”.

Senza titolo

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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...