Cosa fare per curare il cuore dalla delusione per le mancanze di chi ci proclama amore? 

La primavera è una guarigione: un albero in fiore, un mattino di brezza leggera e frizzante, un pomeriggio di sole sono la cura a molti mali. Se poi si considera che l’inizio della primavera sancisce la fine della stagione dei malanni, allora il binomio malattia-guarigione assume una connotazione ancora più forte. Che poi non è il freddo a far ammalare, ma il ristagno dell’aria nei luoghi chiusi entro i quali siamo fermamente convinti di doverci riparare. Le chiusure fanno sempre male, è bene ricordarsene: nelle chiusure malanni e mali proliferano a dismisura. 

Comunque sia, quando arrivano, occorre combatterli. E questo rinforza il sistema immunitario. In tal senso ammalarsi è un’opportunità: ogni febbre racconta, accanto a una sofferenza, la pronta reazione di un corpo che sta acquisendo un’immunità sempre più ampia. E, come racconta l’etimo della parola legata al latino munus, essa ci solleverà dall’onere di ulteriori malanni. Certo, la guarigione è una battaglia: del resto “guarire”, con il prefisso gu– connesso al verbo germanico warjan, contiene l’idea di “riparare”, tenere lontano”, “difendere”, proprio come “guerra”, “guardia”, “guida”.  

Si guarisce da influenze note e meno note; ma anche da piccole grandi stanchezze o considerevoli perdite di speranza nella rinascita, diluite negli “ormai” rassegnati al gelo invernale. Alcuni virus ritorneranno, altri sono andati via per sempre. Una cosa è certa: ogni inverno ci guarisce da qualcosa. Il punto è che, per quanto fastidiosi, da raffreddori, malanni stagionali e influenze ci si difende facilmente e si guarisce chiaramente. Mentre con altri patogeni la battaglia è sempre aperta e l’immunità sembra impossibile. Pensavo questo mentre guarivo dall’ennesimo malanno portato a casa da mio figlio da quel calderone di virus che è l’asilo nido. Pensavo proprio che ogni volta, in pochi, faticosi giorni, ci guadagniamo una considerevole immunità formato famiglia a inediti patogeni intestinali e respiratori. Mentre per altre cose non c’è rimedio alcuno: l’incuria, l’assenza, la retorica, la pretesa, l’ignoranza, la mancanza di empatia, l’indisponibilità a una parola bella, a un gesto concreto di vicinanza. 

Il problema subentra quando da questi mali si è contagiati. Cosa fare per curare il cuore dalla delusione per le mancanze di chi ci proclama amore? Come difendersi dalle circonlocuzioni di chi ormai non sa più che scuse trovare? Quale medicina contro la febbre dell’illusione che certe cose cambieranno? 

«Combatti per rendere più chiaro ciò che dici, abbi cura della tua innocenza più che della tua bravura. Non puoi scegliere che posto avere nel cuore degli altri, pensa a sistemare gli altri nel tuo cuore». Ecco il rimedio a certi mali incurabili: partire da sé, dire poche cose con chiarezza, modulare l’aspettativa, sistemare nel giusto ordine cose e persone. 

E mi colpisce che, ancora una volta, una poesia mi risolve un dubbio esistenziale e mi accarezza le ferite. Ma poi penso: la primavera sta all’inverno come la poesia all’inguaribile: la poesia è la cura quando non c’è cura, il rimedio a certi incontrovertibili malanni. Alda Merini, nata il 21 a primavera (divenuto poi, per questo, giornata mondiale della poesia), nata folle, la pensava esattamente così. 


FontePhotocredits: Michela Conte
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Sono un'insegnante, anche se il più delle volte sono io quella in-segnata dai miei studenti. Sono una ricercatrice, perché cerco piste di rilevanza pubblica per una materia troppo fraintesa e troppo di nicchia: la teologia. Sono una giornalista e faccio cose con le parole. "Quello che non ho è quel che non mi manca" (F. De André) e sono immensamente grata alla vita perché, non senza impegno e sacrificio, "ho trovato amore nel mezzo de la via, in abito legger di peregrino" (Dante Alighieri, Vita nova)

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