L’insegnamento di Luther Burbank
“Crescere come cresce una pianta” è il titolo di un’opera di Luther Burbank (1849-1926), uno dei più grandi botanici e orticultori americani. Il titolo originale è “Growing the human plant” letteralmente “Crescere la pianta umana”, dato che Burbank trasferisce nella sfera dell’educazione molto di quanto apprese dalle piante. A lui si devono centinaia di esperimenti di ibridazione che hanno portato a circa ottocento nuove varietà di frutta e ortaggi; creò una nuova varietà di patata preziosa per risolvere una crisi alimentare in Irlanda. E poi prugne e tanti alberi da frutta. Frida Kahlo gli dedicò un ritratto in cui Luther è metà uomo e metà albero. Il maestro yogi Paramahansa Yogananda lo elogiò come un santo.
Nel 1907 Burbank scrisse questo saggio, dedicato “ai sedici milioni di alunni delle scuole americane e agli incalcolabili milioni di studenti sotto altri cieli”.
Il primo capitolo sembra scritto proprio per chi osserva il mondo della scuola oggi in Italia (ogni riferimento non è puramente casuale!):
“Nel corso di tanti anni spesi nello studio della vita vegetale di tutto il mondo, nella creazione di nuove forme di piante, nella modifica di alcune di quelle vecchie, nell’adattamento di altre a condizioni nuove, nell’ibridazione di altre ancora, sono rimasto costantemente colpito dalla somiglianza fra l’organizzazione e lo sviluppo delle piante e quelli della vita umana. [… ] sono giunto comunque a riconoscere che l’incrocio delle specie e la selezione che ne segue, costituiscono un grande e potente strumento per avviare la trasformazione del regno vegetale su percorsi in costante ascesa. La cosa fondamentale, per me, è l’incrocio delle specie”.
Burbank giunse dunque a conclusioni diametralmente opposte a quelle, devastanti, dei fautori della “razza pura” e dei razzisti di ogni tempo e latitudine. Nelle pagine successive mette seriamente in discussione i metodi educativi del suo tempo, contestando fenomeni che, purtroppo, oggi sono molto più accentuati.
“Desidero mettere in evidenza con particolare forza l’assurdità, per non usare un termine peggiore, dell’abitudine di calare tutti i fanciulli, in massa, sotto gli stessi stampi, senza tenere in alcun conto le loro specifiche individualità. Non potete aspettare di vederli crescere nello stesso modo”. Aggiungo: non deve essere questo il criterio fondamentale della valutazione degli apprendimenti nei bambini?
“Sono diversi per il temperamento, i gusti, le disposizioni, le capacità, eppure noi ce ne impadroniamo, in un’età così tenera e preziosa, quando dovrebbero vivere una vita di preparazione nel seno della natura e li imbottiamo, li gonfiamo, li sovraccarichiamo…”. Aggiungo: ma Burbank aveva pre-visto gli zaini dei nostri bambini?
Nelle pagine successive Burbank sembra rivolgersi direttamente ai genitori:
“Non mi limito a desiderare che un fanciullo, nei primi anni di vita, possa crescere all’aperto, a stretto contatto con la natura…. Desidererei anche che fosse cresciuto nell’amore… Siate onesti con vostro figlio… Tenete sempre presente che la vita di un fanciullo, in questi primi dieci anni, è la cosa più sensibile che esiste al mondo: non scordatevene mai… L’abitudine di corrompere, o di rubare, non verrà mai presa da un uomo i cui anni formativi siano trascorsi in un ambiente di assoluta onestà… Il bambino legge i motivi del genitore come nessun altro. Vede nel vostro cuore. I bambini sono la verità nella forma più pura: per questo li amiamo”.
“E, ancora, non state a preoccuparvi di proteggere un bambino, sino alla fine di questo periodo di dieci anni, dal contatto con la realtà della paura fisica… Allontanate da lui tutte le paure delle cose terribili che gli uomini hanno insegnato ai giovanissimi sul loro futuro”.
Non so se Burbank avesse letto Rousseau: di certo giunge a conclusioni molto simili.
“Non alimentate i fanciulli con un sentimentalismo sdolcinato o con una religione dogmatica: date loro la natura. Lasciate che le loro anime si abbeverino di tutto ciò che è puro e dolce. Fateli crescere, se possibile, in ambienti ridenti”.
Con grande realismo, aggiunge:
”Se giungono nel mondo con anime che brancolano nel buio, fate che possano vedere ed accogliere la luce”.
“Non terrificateli, al loro muovere nella vita con la paura di un altro mondo. Nessun bambino è mai stato reso migliore o più nobile dalla paura di un inferno” (qui, in riferimento a Dante, un approfondimento sarà doveroso!).
La conclusione ci fa riflettere su quanto sia importante l’equilibrio fra la cultura scientifica e quella umanistica
“Lasciate che ad insegnare loro le lezioni per vivere in modo sano e appropriato sia la natura stessa”.
Luther Burbank, messaggero di Dioniso.
Grazie per questo bel articolo. Non conoscevo Burbank, pur amando molto le piante, e la natura in generale. Tocca problemi fondamentali e suggerisce soluzioni che dovrebbero diventare sentire comune.
Le piante possono insegnare tanto, se abbiamo gli strumenti per conoscerle. Questo chiama in causa la divulgazione scientifica, che ha tanta strada da fare!
A conferma e integrazione di quanto scritto da Luther Burbank a proposito di educazione giova ricordare che il termine proviene da educěre, che in latino equivaleva a “portar fuori”, “tirar fuori”, “aiutare a venir fuori”; l’educazione è questo: il necessario sostegno da fornire a qualcuno – o a qualcosa – perché passi dalla potenza all’atto. Il verbo latino viene usato appunto anche in riferimento alla coltivazione delle piante: Parini “educava un lauro” (coltivava la pianta dell’alloro), scrive metaforicamente Foscolo nel suo carme “Dei sepolcri” (v. 55), riferendosi al fatto che Parini fosse un poeta, ma Parini guarda caso era anche un pedagogo. I conti tornano.
L’accostamento della crescita dell’essere umano alla crescita della pianta lo troviamo anche nella delicata metafora del seme che germoglia nell’ombra, usata da Natalia Ginzburg ne “Le piccole virtù”; qui ella sottolinea la necessità da parte dei genitori di non spingere ad ogni costo i figli alla ricerca del proprio futuro, ma di aspettare che le loro scelte maturino nell’ombra: “Ma se abbiamo noi stessi una vocazione, se non l’abbiamo rinnegata e tradita, allora possiamo lasciarli germogliare quietamente fuori di noi, circondati dell’ombra e dello spazio che richiede il germoglio d’una vocazione, il germoglio d’un essere”.
La biografia di Burbank è sorprendente per spirito di iniziativa e abilità concrete.