DI ROBERTO PERRONE
Qualcuno lo chiama football, altri calcio, altri ancora pallone. Alcuni poi, come Gianni Brera, hanno coniato un termine nuovo, folber, un neologismo entrato nell’uso comune e che è stato preso in prestito dai romanzieri, come Roberto Perrone, che nel suo racconto lo mette al centro delle vicende di Walter Vismara, geometra che ha lasciato la sua vecchia azienda per andare a lavorare a Milano, dal Cavalier Tosetto, un personaggio che sembra essere uscito da Fantozzi, che ogni anno organizza la partita aziendale di calcio tra ammogliati e scapoli, davanti a un un pubblico di migliaia di persone. Ogni settimana i dipendenti devono pure assolvere al dovere della seduta di allenamento, perchè nell’azienda il calcio è una cosa seria. Non la pensa così Walter che di calcio non sa assolutamente nulla e che tergiversa quando si trova a dover affrontare il problema con il suo datore di lavoro. Dice di tifare Inter, che ha capito trattarsi di una delle due squadre di Milano, e di giocare tra i pali, un ruolo gradito al Tosetto a causa della penuria di portieri. Un vero problema per il Vismara che intanto ha iniziato a frequentare la Ada, giovane segretaria, ma che un bel giorno viene colta in flagrante con il collega rivale di Walter, l’ingegner Gusperti. Il protagonista sembra deciso di cercare un altro lavoro e il giovedì calcistico lui proprio non lo digerisce, gli hanno dato pure un soprannome altisonante e celebre, Zamora, leggendario portiere della nazionale spagnola, un’istituzione, a cui la Liga ha dedicato il titolo del premio come miglior portiere. Ma a differenza di Zamora, Walter si fa imbucare ad ogni tiro, con la magra consolazione di aver messo KO il Gusperti. Un bel giorno sua sorella, che invece di calcio ne capisce, lo manda da un certo Cavazzoni, portiere caduto in disgrazia, che ha militato nientemeno che nel Milan che a Wembley alzò la prima Coppa dei Campioni. Walter lo contatta e gli chiede di diventare suo allenatore personale. Inizia così un legame che trascende il calcio, un rapporto che conosce anche momenti di crisi inaspettati, ma che si fonda su una sconosciuta onestà.
Questo romanzo è uno spaccato dell’Italia degli anni ‘60, nel pieno del boom economico, al quale la figura, restia e indolente del Vismara, non sembra essersi ancora abituata, ma anche il racconto di una città, Milano, che ha abbracciato la filosofia del successo, della trasformazione e della produttività facendola divenire la capitale economica italiana. Sono gli anni in cui il folber non è appendice nella vita dei milanesi, anzi diventa una sovrastruttura dei processi sociali, capace di far comprendere dinamiche che sottostanno nella collettività. Milan e Inter non solo dominano la scena italiana, ma anche quella internazionale, nella quale Milano diventa capitale del calcio europeo con le sue tre Coppe dei Campioni nel giro di tre anni, prototipo della grandezza della città meneghina. Il povero Walter ci soffre e purtroppo farà tanta fatica prima di abituarsi, ma alla fine riuscirà ad adeguarsi ai dettami della società o forse, sarebbe meglio dire, del suo datore di lavoro. È un racconto di formazione, senza dubbio, che investe i vari personaggi della vicenda, in particolare il Vismara e il Cavazzoni, che operano quasi un percorso di cambiamento identico. Quel Zamora, soprannome e titolo stesso del romanzo che suona tanto ironico, ha in sé questa forza di cambiamento e di miglioramento continuo che Walter metterà in atto in questo percorso intimo ma condiviso con il suo mentore.
Il romanzo breve di Roberto Perrone, scritto con un linguaggio semplice ed efficace e con una trama lineare, indaga sulla forza sociale di uno sport che è in grado di avere una potente influenza a partire dai legami umani, da quelli più stretti, come la famiglia (Walter e sua sorella Elvira).
Roberto Perrone, tifosissimo del Genoa, ci ha lasciati lo scorso anno per una grave malattia.
Dal suo racconto è stato tratto il film omonimo Zamora, esordio alla regia di Neri Marcorè, uscito al cinema lo scorso 4 aprile.