I GIOCHI DELL’IMPERATORE

Nel 1964 Yoshinori Sakai aveva diciannove anni.

Era riserva della staffetta giapponese, poche possibilità dunque per poter gareggiare sulla pista dello Stadio Olimpico. Ma il suo fu il nome dell’ultimo tedoforo che accese il sacro fuoco di Olimpia e diede l’avvio alla rassegna olimpica. Yoshimori era nato il 6 agosto 1945 a Hiroshima, non un giorno qualunque, ma quello della deflagrazione della prima bomba atomica, che indusse Hirohito a rinunciare alle sue prerogative divine e, cosa più importante, a dichiarare la resa del Sol Levante. Il Giappone era ferito, ma non arreso. Il tripode acceso da Yoshinori, figlio della speranza, ne decretava la rinascita e la sua definitiva riabilitazione nel consesso delle nazioni.

Il paese nipponico avrebbe dovuto ospitare i Giochi del 1940, ma l’evento non si disputò a causa del secondo conflitto mondiale.

Tokyo non ebbe grossi problemi ad aggiudicarsi la XVIII Olimpiade, riuscendo nella prima sessione di voti del 26 maggio 1959 ad ottenere trentaquattro preferenze, ben venti in più rispetto alla concorrente più temibile, Detroit.

I giapponesi non lasciarono nulla al caso e prepararono un’edizione impeccabile dal punto di vista organizzativo. I Paesi che vi presero parte furono novantatré, con la grande partecipazione africana che ottenne risultati importanti, a partire dalla memorabile impresa di Abebe Bikila che nella maratona bissò il successo di Roma, consegnandosi così alla leggenda.

I Giochi si aprirono il 10 ottobre 1964 con la dichiarazione di Hirohito che precedette il protocollo noto, già accennato per la sua straordinaria carica emotiva.

Giusto dare da subito uno sguardo al medagliere che vide gli Stati Uniti tornare a superare il grande rivale, l’URSS, cosa che era accaduta soltanto alle Olimpiadi di Helsinki, all’esordio della selezione sovietica. Gli atleti a stelle e strisce dominarono la scena dell’atletica, dopo la prova non proprio esaltante di Roma. Su tutti Bob Hayes, ragazzone nero, destinato da grande a calcare i campi del football americano. A Tokyo scese sotto i 10 secondi e il suo 9’99 gli valse il titolo del più grande velocista della storia. Sui 200 un ragazzo di Montgomery, certo Henry William Carr, migliorò costantemente i suoi primati mondiali e dominò anche alle Olimpiadi e gli americani non mancarono di giocare con il suo cognome coniando slogan come il seguente: the fastest Car(r) ever to come out of Detroit. Sì, perché il ragazzo dell’Alabama  si era formato dalle parti dove l’automobile è di casa. Oerter continuò a dominare nel disco, al suo terzo oro, che ottenne battendo Ludvík Danek che era primatista mondiale. L’altra leggenda, questa volta del blocco opposto, fu sua maestà dell’alto Brumel, che riuscì a battere l’eterno sconfitto Thomas, che a differenza di Roma, dove fu bronzo, si dovette accontentare dell’argento. A Tokyo si rivide Betty Cuthbert che si affermò nei 400 piani, mentre la rumena Iolanda Balas si aggiudicò il secondo oro consecutivo nel salto in alto. Stupì la vittoria del nativo americano Billy Mills, che nei 10000 riuscì a bruciare in rimonta il forte australiano Clarke. Tamakhóčhe, il nome Sioux di Mills, si meritò il rispetto e la riconoscenza della sua gente perché aveva corso con onore.

Grande mattatore dei Giochi fu il biondo Don Schollander, che con quattro ori contribuì al successo americano in vasca. Dawn Fraser, non più ragazzina, vinse i 100 metri sl, ma una bravata nei Giardini Imperiali contribuì alla fine della sua gloriosa carriera.

In Giappone esordirono la pallavolo e il judo. Nipponici protagonisti nel volley con il bronzo nel torneo maschile, vinto dall’URSS sulla Cecoslovacchia, e con la vittoria in quello femminile, davanti a URSS e Polonia. Nel judo i giapponesi avrebbero dovuto fare en plein, ma il sogno di vincere quattro medaglie su quattro si frantumò contro il portentoso e gigantesco olandese Anton Geesink, 2 metri per 115 chili, che nella categoria open, la più prestigiosa, battè il beniamino di casa Akio Kaminaga.

Buona fu l’Olimpiade dell’Italia che vinse ben dieci ori, altrettanti argenti e sette bronzi.

Bisogna tornare all’atletica e menzionare l’impresa di Abdon Pamich che, al terzo tentativo, fu finalmente oro nella massacrante 50 km di marcia, emulando le gesta di Frigerio e Dordoni.

Il bottino poteva essere più copioso se solo avessimo vinto nelle nostre tradizionali fucine, il canottaggio e la scherma.

Non tradì le aspettative il ciclismo.

Bianchetto, orfano di Beghetto, vinse l’oro con Angelo Damiano nel tandem su pista, velodromo che fu d’oro anche per Pettenella, primo nella velocità. Mario Zanin, invece, trionfò nella prova in linea.

Il pugilato a cinque cerchi, che consacrò l’ascesa di un altro grande del ring, Joe Frazier, ci portò altri due ori, con Fernando Atzori nei pesi mosca e Cosimo Pinto nei pesi mediomassimi.

Nell’equitazione Mauro Checcoli, nel concorso completo individuale, e gli Azzurri del concorso completo a squadre con i loro ori alleviarono la delusione per l’argento dei fratelli D’Inzeo e compagnia nel salto ad ostacolo a squadre.

Era dai tempi di Braglia che l’Italia non aveva un ginnasta di alto livello. Franco Menichelli, da Roma, aveva un fratello, Giampaolo, un tantino più famoso perchè giocava a calcio, nella squadra più importante d’Italia, la Juventus. A Roma fu due volte bronzo, a Tokyo argento negli anelli, bronzo nelle parallele e soprattutto oro nel corpo libero. Nel bar che gestiva il padre per un pò di tempo si parlò più del taciturno e medagliato Franco che dei trionfi bianconeri di Giampaolo.

La fossa olimpica ci regalò la soddisfazione più bella con Ennio Mattarelli, otto anni dopo l’oro di Galliano Rossini. Giusto citare le imprese di un giovanotto che a Tokyo aveva diciassette anni e che vinse l’argento nei tuffi dalla piattaforma 10 metri. Stiamo parlando di Klaus Dibiasi, che sarà dominatore della disciplina nelle successive edizioni olimpiche e che assieme a Giorgio Cagnotto segnò l’età d’oro dei tuffi italiani.

L’edizione giapponese tecnologica, teletrasmessa a livello satellitare, per certi versi perfetta, fu per i nostri colori eccezionale, per alcuni la migliore prestazione dell’Italia fino ad allora, considerando il numero crescente di atleti e delle rappresentative in gara.

Quando il fuoco olimpico si spense il Giappone consegnò la bandiera olimpica a Città del Messico. Tra le alture e il tartan le Olimpiadi diverranno qualcosa di più di un evento sportivo.


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