Rivoluzioni, tartan e salti epocali

Il 1968 non risparmiò nessuno, nemmeno i Giochi Olimpici. A Città del Messico fu  messo in discussione persino lo svolgimento a causa dei tragici fatti di Piazza delle Tre Culture, dove un numero imprecisato di studenti, che erano lì per manifestare, persero la vita. Di quei giorni complicati e convulsi, resta la testimonianza di Oriana Fallaci, ferita e per un momento data per morta, che raccontò il dramma di una folla radunatasi in maniera pacifica e che fu attorniata da soldati scesi dalle camionette, sparando sui civili inermi. Ma per Avery Brundage lo show doveva comunque cominciare e così l’Olimpiade messicana iniziò il 12 ottobre 1968, soltanto dieci giorni dopo la terribile giornata di sangue, con la dichiarazione del presidente della Repubblica messicana Gustavo Diaz Ordaz, il cui nome si lega inevitabilmente ai fatti di Tlatelolco, e con l’accensione del braciere olimpico da parte di Enriqueta Basilio Sotelo. Il fuoco parve bruciare le polemiche del massacro e accendere la voglia di sport e di sana competizione. Furono Giochi a dir poco epocali e non mancarono colpi di scena. Chi temette per gli effetti negativi dell’altura messicana si dovette ricredere e il tartan, invenzione recente, contribuì a rompere alcuni primati mondiali.

Gli Stati Uniti dominarono la scena dell’atletica leggera e si riconfermarono nelle gare veloci. Jim Hines emulò l’impresa di Bob Hayes di quattro anni prima. Nei 200 metri Tommie Smith e John Carlos salirono sul podio, assieme  all’australiano Peter Norman (argento), esibendo il pugno chiuso del Black Power per protestare contro il razzismo e le pratiche discriminatorie messe in atto dai bianchi. Subirono conseguenze nell’immediato, ma restarono nella storia come simbolo della resistenza di colore. Un altro uomo di colore avrebbe fatto un passo epocale nella storia dello sport, forse sarebbe meglio dire un salto. Bob Beamon entrò nella finale del lungo assieme a Beer, Boston, quello che a Roma aveva vinto l’oro, e al sovietico Ter – Ovanesian. Questi ultimi due guidavano la classifica al primo salto, rispettivamente con 8,16 e 8,12 metri. Toccò a Beamon e sembrò che non atterrasse mai. Il suo balzo fece segnare la misura stratosferica di 8,90 metri, impensabile e impronosticabile per quei tempi e per gli stessi giudici, un record che rimarrà imbattuto fino al 1991. Salti prodigiosi, salti rivoluzionari, come quello di un personaggio ai più parso stravagante, l’americano Dick Fosbury (morto recentemente), che dopo anni di sforbiciate e salti ventrali inventò il Fosbury Flop, saltando con la schiena rivolta verso l’asticella. Sbaragliò la concorrenza, stabilendo pure il primato mondiale. Sua maestà Brumel, forse con un pizzico di invidia e poca lungimiranza, affermò che questa tecnica sarebbe stata messa da parte dopo non molto tempo. Dovrà ricredersi. Non si può dimenticare l’impresa dell’eterno Oerter che vinse la sua quarta medaglia d’oro, partendo ancora da sfavorito, davanti al tedesco dell’Est Milde e al cecoslovacco Danek. Fu questa l’edizione nella quale i keniani, corridori irresistibili degli Altipiani, vinsero tre ori grazie a Keino nei 1500, a Biwott nei 3000 siepi e a Temu nei 10000. Un etiope per la terza volta vinse l’oro nella maratona, ma questa volta non fu Bikila, bensì Mamo Wolde.

Pochi sussulti nel nuoto dominato dagli USA, dove un acerbo Mark Spitz conquistò le sue prime medaglie. A prendere la ribalta della scena fu l’americana Debbie Meyer, oro nei 200 m, 400 m e 800 m sl.

Dopo Clay e Frazer, le Olimpiadi furono il palcoscenico di un’altra stella nascente del pugilato mondiale: George Foreman. Lo statunitense vinse la medaglia nei pesi massimi. Soltanto quattro anni più tardi darà vita alla sfida del secolo contro Mohammed Alì, quel Rumble in the Jungle organizzato nel cuore dell’Africa.

Negli sport di squadra trionfarono l’Ungheria nel calcio, ancora gli Stati Uniti nella pallacanestro, l’Unione Sovietica nella pallavolo e la Jugoslavia nella pallanuoto.

Dopo tante edizioni colme di soddisfazione, l’Italia vinse soltanto tre ori, quattro argenti e nove bronzi. A Città del Messico esplose il talento di Klaus Dibiasi, oro dalla piattaforma 10 metri e argento dal trampolino 3 metri. Baran, Sambo e Cipolla vinsero l’oro nel due con, mentre il terzo podio più alto venne ancora una volta dalla corsa in linea di ciclismo con Pierfranco Vianelli.

Nella scherma il bottino fu gramo con la sola medaglia d’argento nella prova a squadre della sciabola maschile e con il bronzo di Saccaro nella spada. Turrini nella prova di velocità su pista (ciclismo) e Garagnani (skeet) portarono a quattro le medaglie d’argento della compagine azzurra. Giusto tornare all’atletica per due bronzi importanti. il primo di Eddy Ottoz che nei 110 metri ad ostacoli arrivò dietro ai due americani, Davenport e Hall; il secondo, quello di Giuseppe Gentile nel triplo, merita una speciale narrazione. Gentile, pronipote del noto Giovanni filosofo, stabilì il primato mondiale durante le qualificazioni con la misura di 17,10 e si ripeté nella prima serie di salti della finale. Saneyev stabilì il nuovo primato alla terza serie di salti, migliorando quello di Gentile di un centimetro. Il brasiliano Prudencio andò in testa alla gara durante la quarta serie con la misura di 17,27, quindi nuovo primato mondiale. Sanejev, al sesto salto, conquistò l’oro con la misura di 17,39. Il podio di una delle finali più belle di sempre fu Saneyev, Prudencio, Gentile.

Stati Uniti primi nel medagliere grazie ai 45 ori, ma non così tante medaglie complessive (107) rispetto ai sovietici (91). Giappone, Ungheria e Germania Est, per la prima volta a competere con una squadra separata dalla Repubblica Federale Tedesca, a seguire. L’Italia chiuse al tredicesimo posto, lontana dalle posizioni delle Olimpiadi precedenti.

Una cerimonia di chiusura dei Giochi, pacifica ed emozionante, che fece dimenticare le tensioni di una ventina di giorni prima, diede l’arrivederci a Monaco di Baviera, ma le Olimpiadi avevano smesso di essere lontane dalle vicende della politica internazionale e in Germania, quattro anni dopo, avrebbero conosciuto forse la pagina più triste e drammatica.

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