« Pygmalion et Galatée », huile sur toile (Hauteur. 253 cm ; largeur. 202 cm), œuvre réalisée en 1819 par Anne-Louis Girodet De Roussy-Trioson, conservée au département des peintures du musée du Louvre à Paris où elle est exposée salle Daru (Inv. RF 2002-4), et y a été photographiée le 9 décembre 2011.

«Una cosa bella è una gioia per sempre: cresce di grazia; mai passerà nel nulla»

(John Keats)

Abbia già accolto le storie di Orfeo ed Euridice, di Amore e Psiche, di Titone e Aurora, ma il mito greco è ricco di narrazioni sugli amori impossibili, nelle sue varie forme e declinazioni, e non a caso ci siamo lasciati affascinare da storie come quella di Demetra e Persefone, per non dire di quelle di Antigone e Medea o del filantropo Prometeo.

Questa volta vorrei sorbire il nostro Caffè soffermandomi su una singolare forma di benevolenza, quella dell’amore che genera anche quando sembra impossibile, un po’ come accade nel mito di Filemone e Bauci.

Ma con una precisazione: non generano solo una madre e un padre. Si può generare in mille modi. Genera un artista o un musicista, genera un docente o un educatore, genera un poliziotto o un magistrato, una suora o un missionario. Genera chiunque sia innamorato e a qualunque titolo: della propria opera d’arte, del proprio allievo, del bene comune così come dei propri cari.

Mi è così venuto in mente il mito di Pigmalione e Galatea. Riassumiamolo.

Pigmalione, scultore quanto mai talentuoso, viveva nell’isola di Cipro. Era un tantino misogino o perlomeno deluso dalle donne del suo tempo. Non ne intravvedeva alcuna degna del suo amore e perciò decise di consacrarsi esclusivamente alla scultura.

Inseguendo un ideale di bellezza perfetta, volle provare a scolpire una statua di avorio, dandole la forma di una donna di straordinaria grazia e armonia. La chiamò Galatea, un nome che in greco significa “bianca come il latte”. E pura come il latte.

Dalla purezza e perfezione di Galatea Pigmalione rimase così colpito che, da artefice e “generante”, si mutò a sua volta in “generato”. Il riferimento al verbo mutare non è casuale. Grazie alle Metamorfosi di Ovidio, il termine “pigmalione” è infatti entrato nel linguaggio comune per indicare una persona che educa, raffina e plasma qualcun altro, migliorandone le capacità e il comportamento, rendendolo una persona migliore, al top delle sue potenzialità. Ma qui i ruoli si invertirono: fu Galatea a trasformare Pigmalione, fu una statua d’avorio a sciogliergli la pietra nel cuore, fu l’Amata a generare l’Amato. E viceversa.

Sì, perché Pigmalione, follemente innamorato della sua Galatea, trascorreva ore a contemplarla, a parlarle, a immaginare che fosse viva, a renderla reale, a farla esistere. Disperato, Pigmalione si recò al tempio di Afrodite (Venere) e la pregò con tutto il cuore affinché Galatea potesse prendere vita. E la dea, commossa da tanta passione, decise di esaudire il suo desiderio. Quando Pigmalione tornò a casa e, come sempre, unì le sue labbra a quelle di Galatea, sentì l’avorio farsi carne e rispondere al suo bacio. L’Amata era ora in carne ossa, lì, per il suo Amato.

Sto invecchiando, è evidente, sarà per questo che a mia volta mi sento sempre più mutare in un romanticone, ma come non pensare, davanti a un simile allegoria, alla potenza generatrice dell’Amore?

Un tale Gesù di Nazareth ha detto che non c’è amore più grande che dare la vita per quelli che si amano. Senza offesa per Gesù, che tanto non si offende, azzarderei aggiungere: e non c’è amore più grande che dare vita a coloro che si amano. Intendo: non c’è amore più grande che far crescere, rendere liberi, lasciare che gli amati attraversino il mondo con le loro gambe e grazie alle loro scelte.

Ci sono tanti modi di dare la vita e di dare alla vita, di mettere al mondo. Io credo che, nei tempi bui che attraversiamo, ci sia urgente bisogno di amori impossibili, cioè di ispirazioni, passioni, volontà, scelte capaci di rendere possibile l’impossibile.

Già vedo le obiezioni di taluni cari lettori e adorate lettrici che, a fronte delle mie esternazioni, si premureranno di rispondermi: «Sì, Paolo, sono d’accordo, ma…». Dimenticando che il “sì, ma…” è un modo per dire no.

E dimenticando che quel Gesù di cui sopra prediligeva un parlare e un agire che fossero “sì, sì, no, no”.

Ecco, a questo mondo, in questo tempo, in questa nostra storia, io credo ci sia estremo bisogno di gente che dica sì, punto. E che sia disposta a generare l’impossibile.

Martin Luther King: «L’amore è l’unica cosa che può trasformare un nemico in un amico».

Erich Fromm: «Amare è un atto di fede, e chiunque abbia poca fede avrà anche poco amore».

Khalil Gibran: «L’amore è il solo fiore che possa fiorire senza l’aiuto delle stagioni».


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