«Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite… Beh, siete fortunati»
(Philip Roth)
Da ragazzo, moralista e perfezionista qual ero, odiavo la parola compromesso.
Ne ho riscoperto e gustato il significato da adulto che avanza verso quella che, con eufemismo un po’ ipocrita, si chiama “età della maturità”: come se mai si diventasse maturi, mentre di sicuro si diventa decrepiti, se ci si arriva…
Bene, la parola “compromesso”: una riscoperta pagata a caro prezzo, al costo di batoste, sconfitte, legnate, errori ripetuti.
Una riscoperta che non mi ha guarito dal moralismo e dal perfezionismo, ché quello è il DNA!, ma che di sicuro ne ha attenuato gli effetti.
Una riscoperta che è scolpita nella mia carne e nelle mie cicatrici, ma che, in realtà, è già inscritta nell’etimologia della parola.
A proposito: di recente, sono stato aggredito verbalmente da un’esercente la responsabilità genitoriale perché avevo osato spiegare ad un diciassettenne egiziano l’etimologia della parola “rispetto”. Ha provato a ridicolizzarmi per questa mia presunzione: davanti al medesimo studente! Io credo che dovrebbe chiedere scusa non a me, che peraltro parlavo in veste di dirigente scolastico e all’interno di un consiglio di classe convocato per evitare di comminare sanzioni disciplinari. Io sono dell’avviso che dovrebbe scusarsi col minore che le è stato affidato: perché io non credo che ci sia un ragazzo, quale che sia la sua lingua di origine, così stupido da non capire che “rispetto” vuol dire guardarsi negli occhi mentre ci si parla. Fine digressione.
Dunque, “compromesso” deriva dal latino compromissum, che è il participio passato di compromittĕre, ed è composto da cum (insieme) e promittĕre (promettere). Bello, vero? Noi spesso usiamo la parola “compromesso” con tono dispregiativo e invece, originariamente, indicava un accordo in cui le parti si impegnavano reciprocamente a rispettare una decisione arbitrale. Nel compromesso, si decideva insieme (cum) di mettere (mittere) avanti (pro) il bene comune, invece che il mero interesse individuale.
Poesia del diritto romano! Quando ancora insegnavo, ai miei liceali ripetevo sempre che i Romani hanno copiato di tutto di più, ma che nel diritto e nell’architettura delle grandi opere pubbliche hanno fatto scuola. E ora penso che una lezione di diritto romano sarebbe doverosa per tutti i loschi individui che governano il Mondo e lo stanno precipitando in un baratro che spaventa per quanto appare senza fondo.
E l’eredità greca che ha a che fare col compromesso? Una risposta potremmo trovarla nel mito di Demetra e Persefone. Mi pare un fulgido esempio di come un compromesso possa portare a un risultato positivo per tutte le parti coinvolte.
Si narra che Persefone, figlia di Demetra, fu rapita da Ade e portata nel suo regno degli inferi. Demetra, disperata per la perdita della figlia, fece cessare la crescita delle piante, causando una grande carestia sulla Terra.
Gli dei dell’Olimpo, preoccupati per il destino dell’umanità, intervennero e negoziarono con Ade affinché Persefone potesse trascorrere metà dell’anno con la madre e metà con il marito.
Questo accordo portò alla origine delle stagioni. Ancora oggi, durante i mesi in cui Persefone è con Ade, Demetra è triste e la terra diventa sterile e fredda: è il tempo dell’autunno e dell’inverno, cioè il tempo della semina e dell’attesa, del frutto che si prepara nel gelo. Ma quando Persefone ritorna sulla terra, la felicità di Demetra fa rifiorire la natura: è il tempo dello splendore, dei frutti prima verdi e poi maturi, il tempo del raccolto e di immensi cieli azzurri. Il tempo di essere vivi.
Sapienza antica. Demetra e Ade avrebbero potuto dichiararsi guerra in nome del rispettivo amore violento per Demetra. Hanno scelto il compromesso donando a noi la vitale alternanza delle stagioni.
Perché un accordo, che ridoni armonia, sarà sempre meglio del mero e bieco possesso.
E non solo il 25 novembre.
San Francesco D’Assisi: «Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile».
Buddha: «Se tiri troppo la corda di una chitarra la romperai, ma se la lasci troppo allentata non suonerà. Imparare è Cambiare. La strada dell’Illuminazione sta nella via di Mezzo. È la linea che sta tra tutti gli opposti estremi».
Amos Oz: «Nel mio mondo, la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c’è vita ci sono compromessi. Il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte».
1
Cerere, poi che da la madre Idea
tornando in fretta alla solinga valle,
là dove calca la montagna Etnea
al fulminato Encelado le spalle,
la figlia non trovò dove l’avea
lasciata fuor d’ogni segnato calle;
fatto ch’ebbe alle guance, al petto, ai crini
e agli occhi danno, al fin svelse duo pini;
e nel fuoco gli accese di Vulcano,
e diè lor non potere esser mai spenti:
e portandosi questi uno per mano
sul carro che tiravan dui serpenti,
cercò le selve, i campi, il monte, il piano,
le valli, i fiumi, li stagni, i torrenti,
la terra e ‘l mare; e poi che tutto il mondo
cercò di sopra, andò al tartareo fondo.
(L. Ariosto, Orlando Furioso, XII)
Ma non ti pare, caro Paolo, che i due pini trasformati in fiaccole abbiano un loro preciso significato? Perché non uno solo? Perché nel compromesso i “lumi” – cioè i modi di “intus legěre” se sono due bilanciano meglio i pro e i contro che porteranno alla decisione. Se sono due illuminano entrambe le parti del nostro pensiero, entrambi gli emisferi cerebrali: ci permettono di trovare un punto di equilibrio fra ragione e sentimento. Se sono due illuminano me e l’altro, ossia entrambe le parti del compromesso.
Non ci avevi pensato? Forse non ci aveva pensato neanche Ludovico.
Bellissimo! Grazie per questa riflessione, Francesca! Sono assolutamente convinto della necessità del compromesso tra due lumi. La “mia” Simone Weil parlerebbe della necessità di attraversare la contraddizione per lasciarsi toccare dalla verità.