«Il potere assoluto corrompe in modo assoluto»
(Lord Acton)
Servirsi del potere o servire col potere? Sembra un gioco di parole. Non lo è. Ci passa di mezzo un mondo, per l’esattezza, una diversa visione del mondo. La stessa distanza che passa tra chi pensa con arroganza al ruolo, ad esempio, di ministro della Repubblica e chi sommessamente ricorda che ministro, in latino, significa: «Io servo».
Traduzione letterale.
Della serie: più potere significa più responsabilità, non maggiore arbitrio, non è un mero scettro, il potere, ma un pesante “attrezzo del mestiere”, che di sovente diviene una zavorra.
Questo è o almeno così dovrebbe essere.
E poi c’è il potere della coscienza, che impone i suoi vincoli, anche contro chi vincola con il potere delle leggi.
Ora, non è detto che quest’ultime siano di per sé un male. Anzi, Rousseau ci ha ampiamente illustrato la forza e l’importanza del contratto sociale senza del quale non resterebbe che l’homo homini lupus di Hobbes: l’uomo che è lupo all’uomo.
E quindi la domanda, portata alle estreme conseguenze, è: che rapporto ci può essere tra coscienza e potere?
In fondo, è il medesimo interrogativo urlato dal mito di Antigone. Chi non conosce la storia della giovane donna che sfida Creonte, suo zio e re di Tebe, per seppellire il fratello Polinice? Sullo sfondo, una guerra civile e fratricida. Polinice è il traditore che ha mosso guerra alla sua stessa città. Giustamente, si direbbe seguendo la ragion di Stato, Creonte gli nega le esequie funebri.
Ma Antigone, sorella di Polinice, non ci sta. Disobbedisce. Mossa dal profondo affetto fraterno e dal rispetto per le leggi divine, decide di dargli sepoltura. Viene scoperta ed è tragedia: arrestata, si uccide in carcere. Per amore suo si uccide il figlio di Creonte, Emone. Disperata per la morte di Emone, si suicida anche sua madre, Euridice.
Nella vicenda, la nostra simpatia non può che propendere per la tenera Antigone, eroica nella sua disobbedienza, ma il suo è un eroismo al prezzo della propria vita, anzi: di molte vite, ed è legittimo chiedersi se avrebbe dovuto avere per se stessa e per il suo promesso sposo, Emone, almeno il medesimo rispetto che ha avuto per il cadavere del fratello. D’altro canto, Creonte, nel suo tentativo di affermare l’ordine, finisce per distruggere se stesso e la sua famiglia: uno sconfitto anche lui.
Alla fine, non vince nessuno. Perdono tutti.
Antigone: «E ora mi farete uccidere contro la vostra volontà. Essere re consiste in questo?».
Creonte: «Allora abbi pietà di me, vivi. Il cadavere di tuo fratello che si putrefà sotto le mie finestre è caro prezzo perché l’ordine regni in Tebe. Mio figlio ti ama. Non obbligarmi a pagare anche con la tua persona. Ho pagato abbastanza».
Sofocle sembra quasi voler suggerire una domanda: cosa sarebbe accaduto se nipote e zio fossero stati capaci di parlarsi veramente? Se avessero esercitato almeno un poco di reciproco ascolto empatico? Davvero, non c’è altra via di mezzo tra il seguire la coscienza – e morire – o obbedire al decreto del potere costituito, rinunciando ai propri principi?
Qui, ognuno darà la risposta.
Del resto, Sofocle mette in scena una tragedia, e questo è il suo mestiere. Il nostro, invece, come direbbe Pavese, è un mestiere ben più difficile: quello di vivere.
Non ci resta che essere umani.
Simone Weil: «Antigone è un essere perfettamente puro, perfettamente innocente, perfettamente eroico, che si abbandona volontariamente alla morte per preservare un fratello colpevole da un destino infelice nell’altro mondo. All’approssimarsi della morte, la natura in lei vien meno ed ella si sente abbandonata dagli uomini e dagli dèi. Perisce per essere stata insensata per amore. […] In varie tragedie greche si vede una maledizione nata dal peccato trasmettersi di generazione in generazione finché non tocchi un essere perfettamente puro che ne subisca tutta l’amarezza. Allora la maledizione si arresta».
“è un’esperienza eterna che ogni uomo, avendo in mano il potere, sia portato ad abusarne; va avanti fino a quando non trova dei limiti” Montesquieu
il limite: parola attorno alla quale ruota gran parte della storia dell’uomo