
Sensibile al grido del nostro Tempo, sensibile all’esprit della complessità
In seguito alla morte di Papa Francesco, pochi interventi sono stati quelli che hanno sottolineato la sostanza e la forza teoretica del suo pensiero nutritosi in modo particolare del non comune incontro con le idee di Romano Guardini, del resto evidenziata solo da alcuni (La nostra barca, 1 ottobre 2020; Jorge Mario Bergoglio filosofo, 17 dicembre 2020); e ancora meno sono stati quelli che hanno intravisto uno dei punti centrali del suo magistero, quello di complessità, che ne ha guidato l’intera attività pastorale, come ha sostenuto in diversi scritti Mauro Ceruti. Essa ha funzionato nel difficile percorso messo in atto come un ‘evento di verità’ grazie alla carica disinfettante che le è propria nel vederla in modo strategico come un ‘rimedio razionale’ contro i riduzionismi imperanti; e la relativa adozione, insieme cognitivo-pastorale, è stata finalizzata per far fronte alle policrisi odierne, anche perché non è stata vista presente nei vari ambiti dell’agire umano, ritenuti bisognosi di radicali processi di riconversione (La complessità come evento di verità, 9 aprile 2020; Hélène Metzger: la complessità come rimedio razionale, 20 agosto 2020; La complessità come disinfettante, 27 agosto 2020).
Sin dall’inizio è stato fiutato l’esprit della complessità emergente in diversi campi e contesti ed in particolar modo accolto come un frutto agapico vivo ed operante nei risultati più recenti del pensiero filosofico-scientifico col rendere così ancora fecondo quel monito presente nei Proverbi, rivolto a ‘far tesoro della scienza’ e a non comportarsi da ‘sciocchi’ nell’odiarla (Pr. 10,14 e 1,22); ciò viene esplicitato in diversi interventi alla Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, alla Pontificia Accademia delle Scienze e per la Vita nel prendere in considerazione la natura dell’uomo in seguito a tutto ciò che sta emergendo nella scienza di base, nelle neuroscienze e negli sviluppi delle macchine autonome e pensanti. Tutti questi eventi sono stati oggetto di costante attenzione tale da mettere in piedi quel neologismo di ‘algoretica’, teso a ‘fare tesoro’ delle nuove tecnologie per l’umano e a darne un significato spirituale e una rilevanza pastorale non comune per evitare di esserne succubi e di orientarli. E dopo un non comune processo di vera e propria metabolizzazione epistemica, ‘la consapevolezza della complessità della condizione umana’ è stata programmaticamente fatta sua nell’intero piano dottrinale sino a segnare una forte dose di discontinuità rispetto ai papati precedenti nel capire il cambiamento radicale d’epoca in corso e la necessità.
Sulla scia di Paolo VI e di alcune indicazioni del Concilio Vaticano II, la ‘via della complessità’ nel senso di Edgar Morin è stata vista in primis sul piano culturale come un indispensabile percorso per far fronte al ‘deserto del pensiero’ sino a diventare così un antidoto verso un certo nichilismo cognitivo ivi imperante ; di tali vere e proprie tragedie concettuali sono stati visti gli esiti distruttivi che poi si manifestano per quello che sono nello svuotare di senso veritativo le conoscenze faticosamente conquistate, ritenute nelle diverse Encicliche punti di non ritorno per comprendere le pluriarticolate dinamiche del mondo sia umano che naturale e proporre soluzioni appropriate. Papa Francesco non si è limitato ad accogliere la ‘sfida della complessità’, come l’hanno chiamata Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti nell’ormai classico volume del 1985, ma ne ha allargato il raggio d’azione e, nel renderla operativa nell’intero contesto del suo operato, l’ha portata con sé sulle proprie spalle come un ‘piccolo Pantheon portatile’, a dirla con Alain Badiou, con darle un volto e mostrarcela nelle diverse articolazioni della vita; e se per alcuni essa è ancora una croce non facilmente gestibile e digeribile, è riuscito a trasformarla in un vero e proprio volano con l’indicarla in modo deciso come una rotta da perseguire nelle scelte che si devono compiere.
E anche se a volte inevitabilmente, nella faticosa e nello stesso tempo gioiosa messa in essere, ha funzionato come un aliante (La complessità come un aliante, 2 febbraio 2023), essa è stata ‘abitata’ in prima persona e viene ad assumere così in modo programmatico quel senso del verbo giovanneo theaomai, dove il conoscersi con essa si concretizza, si incarna nella relazione col mondo reale e con gli altri. In tal modo vi è la precisa coscienza di espellere dalle difficili scelte operate quel paradigma della semplificazione ritenuto presente in diversi contesti a partire dalla vita ecclesiale ed operante in modo massiccio in quello politico ed economico; in tali ambiti non a caso ci si affanna con forza a tenerlo in piedi con l’essere ancora succubi delle logiche dell’aut aut e del do ut des con i loro inevitabili sbocchi riduzionistici, anticamera di esiti autoritari che per la prima volta nella storia dell’umanità coinvolgono l’intera Terra, e ben lungi ancora dal praticare le dinamiche generative dell’et et, che la complessità porta con sé come conquista antropologica di non poco conto, aspetto magistralmente evidenziato da diverse figure che hanno dato vita al pensiero complesso da von Foster a Morin.
L’azione di Papa Francesco ha contribuito in modo determinante a ‘stanarlo’ tale ‘sovrano sotterraneo’ rappresentato dal muro del semplicismo, come in modo significativo lo ha chiamato Mauro Ceruti in Abitare la complessità ed in Il tempo della complessità; e la piena e non comune immersione nelle diverse pieghe del ‘tempo della complessità’ gli ha permesso di individuare i segni e l’urgenza di possibili cambiamenti ad ogni livello a partire dal mondo della Chiesa. E la strategia cognitiva ed insieme operativa è stata quella di far dialogare in modo intenso le tre dimensioni umane, ben individuate nel pensiero kantiano nelle famose tre Critiche, ritenute costitutive di ogni rinnovamento, una volta presa coscienza nello stesso tempo dei limiti in cui si viene ad agire, quali sono la conoscenza, la responsabilità e la speranza, che il suo volto ed ogni gesto quasi incarnavano mostrandocele come indispensabili compagne di vita; esse, viste nella loro reciproca interdipendenza ed interconnessione, gli hanno permesso di vedere in primis l’intero ‘Mondo emergente dal Molteplice, impregnato, grondante di Molteplice’, come ha scritto Pierre Teilhard de Chardin in L’energia umana, ed agire di conseguenza.
L’approccio secondo complessità gli ha dato gli strumenti per tenerle il più possibile intrecciate tali dimensioni in quanto slegate perdono la loro forza rigenerativa ed insieme innescano un processo di conversione radicale con l’irrobustire quella ‘fede nell’In-Avanti’, a dirla con lo stesso Teilhard de Chardin; e sempre con una espressione presa dallo scienziato-gesuita francese del 1923 dal titolo La Messe sur le Monde, si potrebbe dire che Papa Francesco ha potuto lavorare ad nuova ‘Messa sul Mondo’ nel consegnarci la Laudato si’ con la preghiera finale, con l’invitarci ad agire in maniera sensata in una ‘realtà che è sempre ed in ogni caso comunanza’, per riprendere una idea di A. N. Whitehead. In tale Enciclica si invita l’intera umanità ad essere attiva protagonista col portare sulle spalle la rinnovata responsabilità nei confronti dei fragili equilibri esistenti sulla Terra in quanto ci troviamo di fronte a delle scelte non più rinviabili, a lavorare ad ogni livello a delle “prospettive sostenibili”; ed è l’esprit della complessità per Papa Francesco che ci mette di fronte al fatto di fare sempre più nostra “l’interdipendenza che ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune”. In tal modo si pongono le condizioni per ‘trovare una via di uscita nella direzione di una comune passione…, a costruire la Terra attraverso la crisi di una conversione’, come auspicava già Teilhard de Chardin, una figura da pensiero laterale presente sia pure tra le pieghe nella Laudato si’ e tra l’altro ricordata nel suo viaggio in Mongolia nel deserto di Ordos, dove il gesuita-paleontologo diede vita non a caso alla ‘Messa sul mondo’.
Nelle diverse scelte compiute da Papa Francesco, a volte considerate azzardate, è stato il faro della complessità che ha funzionato da ‘a priori dello spirito’, nel senso avanzato da una figura poco nota del ‘900 come Hélène Metzger, guidandolo a vedere più lontano oltre certi orizzonti prestabiliti per individuare le connessioni per lo più implicite tra i problemi della contemporaneità; e per usare una idea di John Henry Newman, presa da L’idea di Università del 1873, la sua specifica connected view, nel vedere ‘molte cose nello stesso tempo come un tutto’, è stata frutto di una ‘illuminazione acquisita’, di una ‘digestione di ciò che riceviamo, facendolo diventare la sostanza della nostra condizione di pensiero’ da implicare una ‘educazione’ ad essa, ‘un’azione sulla nostra natura mentale’ e col diventare ‘permanente’ nel suo operato ce l’ha trasmessa agapicamente per fecondarla insieme e ridarle senso in ogni contesto in cui si viene ad agire. Nello stesso tempo la piena ‘intelligibilità della complessità’ nel senso illustrato da Mauro Ceruti e fatta così diventare un luogo dell’intelletto a dirla con Kant, ha articolato la sua attività pastorale; ,e si è contraddistinta nel proporre soluzioni razionali ai problemi più impellenti della condizione umana e dell’intero pianeta grazie al farsi ‘intelligenza della speranza’, ad offrire percorsi di ‘possibilità reali’ invitandoci a creare le strutture di base per una strategica ‘alleanza con tutto ciò che nel mondo è albeggiante’, per riprendere delle espressioni di Ernst Bloch presenti in Il principio speranza, senza cadere in posizioni collassologiche e col darci gli strumenti per gestire le inedite transizioni in corso (Come essere collassonauti, 6 aprile 2023).
E l’intero suo pontificato nel prendere di petto le sfide di questa nostra era, chiamata da più parti Antropocene, non si è limitato a comprenderne le dinamiche e ha lavorato ad adeguare la visione dell’uomo alle sfide planetarie in corso, anche perché, come diceva Karl Jaspers dopo il secondo conflitto mondiale, ‘se l’umanità vuole continuare a vivere, deve cambiare’; e nel spingerci come intera umanità ad ‘abitare il reale’, nel senso di Simone Weil, fatto di relazioni, ci ha indicato la difficile strada del cambiamento del nostro modo di vivere che comporta il dovere di rispettare e curare la Terra, la nostra comune oikos, col denunciare tutti gli ismi che hanno contraddistinto la nostra storia più recente. E come frutto del dono della complessità, siamo invitati, come viene scritto in Fratelli tutti, a pensare in modo programmatico, e non solo spontaneo, a dare consistenza con tutte le nostre forze ad un “progetto per tutti”, la fraternità; essa, ‘promessa mancata della modernità, non è solo solidarietà, ma un principio dinamico come nuova frontiera dell’umanità’, e quasi un ‘imperativo’ e ‘cemento della comunità di destino planetaria’, che deve entrare tra gli obiettivi di una ‘nuova Paideia’ da costruire giorno dopo giorno, come ha scritto Mauro Ceruti.
E Papa Francesco ha tracciato un percorso reale nel farci prendere coscienza che al ‘vangelo della fraternità’ si può arrivare grazie alla dimensione etico-antropologica implicita nella complessità, una preziosa risorsa del pensiero, per parafrasare un’espressione di Edgar Morin; e il suo, col riprendere il titolo di un’opera dello stesso Ceruti, è stato così una continua ‘danza che crea’, accompagnata da giuste ed indispensabili dosi di coraggio nei momenti decisivi per affrontare le sfide globali di un mondo sempre più cosmopolita ed interconnesso col darci la forza, per parafrasare Kant, per essere dei nuovi Adami sulla sponda del Rubicone (Come essere ‘nuovi Adami sulla sponda del Rubicone’, 22 agosto 2024). E nell’essere stato un pastore vigile e attento della complessità e nel seminarne delle briciole giorno dopo giorno, l’ha spinto a cogliere il più vero nei bisogni odierni dell’umanità, a cogliere il grido dell’intera Terra e a dare loro organica voce; in tal modo ha potuto curare in primis il pensiero, sé stesso, noi ed il mondo allontanandoci il più possibile dalle sirene, sempre pronte ad incunearsi nelle menti, del muro del semplicismo e dalle impalcature concettuali ed esistenziali su di esso costruite e che ancora si costruiscono con tutto il loro portato di tragedie.