Urge costruire ‘una nuova paideia nel tempo della complessità’
L’uomo nella sua non lineare storia ha attraversato diversi momenti critici che l’hanno obbligato a fornirsi di una serie di strumenti per fronteggiarli e nello stesso tempo a costruire dei modelli di razionalità più o meno in grado di gestire le diverse situazioni col loro intrinseco portato di sfide; in tal modo si è trovato spesso come ‘Adamo sulla sponda del Rubicone’, per riprendere una non tanto nota ma significativa proposta, avanzata prima da Leibniz e poi da Kant, figure che l’hanno lanciata sul piano delle idee e dei principi insieme con la necessità di mettere in atto delle decisive svolte nel campo dell’umano. In particolar modo, tale vera e propria sfida era finalizzata a tracciare delle possibili e nuove strade in primis da parte della ragione per liberarsi da presupposti estranei basati su entità esterne, invocate nel corso della storia per giustificare determinate scelte nel campo della stessa vita concreta; ed in tal senso sono state gettate le basi di una razionalità più matura con una certa coscienza critica di essere da parte dell’uomo il diretto responsabile della propria storia, consapevolezza cresciuta di pari passo grazie alla maggiore conoscenza e comprensione di come funziona il mondo circostante. E questo è stato uno dei lasciti più preziosi della Modernità che, pur delineato da quella che è stata chiamata ‘l’onesta via’ kantiana per aver trovato un non comune equilibrio tra conoscenza, responsabilità e speranza, non sempre è stato preso in debita considerazione e sviluppato nella giusta direzione; ed il non aver perseguito su tale strada che obbligava, soprattutto nel corso dell’Ottocento e poi del primo Novecento, ad un maggior sforzo di riflessività adeguato ai cambiamenti a volte radicali che stavano avvenendo nel pensiero scientifico, ha portato inevitabilmente a quella che con Jean Petitot si può qualificare come ‘catastrofe della ragione post-kantiana’.
Ma gli esiti del pensiero con i suoi vari riduzionismi derivati da tale ‘catastrofe’ che ha reso le tre fondamentali dimensioni come la conoscenza, la responsabilità e la speranza, magistralmente ben strutturate nell’architettonica kantiana, incommensurabili e quasi alternative tra di loro col cadere nello scientismo da una parte e dall’altra in forme assolutistiche ed utopistiche sul terreno etico-politico, si riflettono prima o poi nei vari ambiti della prassi umana; in tal modo viene a regredire la stessa razionalità sia concettuale che operativa su posizioni basate su logiche che si escludono a vicenda, quando i processi costitutivi del mondo, sia naturale che umano, per loro strutturale natura si basano su dinamiche interattive, come ormai in più contesti non solo di ricerca scientifica si evidenzia grazie alla metabolizzazione dei principi delle scienze del vivente. Per aver deliberatamente e allegramente mentito sulla stretta relazione fra tali dimensioni come intera umanità e per avere abusato di una ragione non adeguatamente avvertita nel senso kantiano del termine per non avere preso in esame i limiti delle nostre azioni, abbiamo imparato a coniugare quasi esclusivamente solo alcuni verbi come il verbo ‘potere’; esso è stato reso ideologicamente incommensurabile e derivato dalle maggiori conoscenze a disposizione, ma svuotate spesso del loro senso veritativo, sono state indirizzate via via sempre più verso un paradigma ad una dimensione su cui abbiamo basato il collaterale sviluppo della tecnica ed in seguito delle tecnoscienze. Tale importante capitolo del pensiero ha bisogno a sua volta di una riflessione sempre più in profondità che solo una vera e propria filosofia della tecnica, da più parti finalmente oggi praticata, può aiutare a comprenderne meglio finalità e soprattutto limiti come da parte di Gilbert Simondon, uno dei primi che ne ha fatto oggetto di una riflessione sistematica sul terreno teoretico; in tal modo si possono mettere in atto dei processi per non distaccare il verbo ‘potere’ dal verbo ‘dovere’ col non più contravvenire al monito dell’antico mito di Prometeo che aveva sì regalato il fuoco agli uomini, ma nello stesso tempo il nomos per tenerlo sotto controllo e non esserne alla mercè.
Ci siamo illusi per alcuni secoli in modo infantile di essere padroni del mondo e di piegarlo alla nostra volontà in quanto considerato estraneo, come un oggetto privo di ragioni costitutive di fondo, grazie ad un po’ di scienza che siamo riusciti a immettere nel non lineare circuito delle idee e ad estenderla nei vari settori dell’umano con degli indubbi benefici per aver promosso maggiori spazi di libertà e aver creato le stessi basi dell’agire democratico; oggi nel XXI secolo, grazie all’avvento delle scienze dei sistemi complessi a partire dagli anni ’60-’70 del secolo scorso, abbiamo molto più scienza a disposizione e più strumenti concettuali, ricavati dall’incrocio tra discipline diverse, per irrobustire di nuovi orizzonti le nostre difese cognitive che nel loro complesso ci stanno aiutando ad instaurare un nuovo dialogo col mondo e a lavorare ad un rapporto più equilibrato tra l’uomo e ciò che lo circonda. Se sino a qualche decennio fa, per mancanza di conoscenze più appropriate anche se diverse figure di scienziati, poeti e filosofi sin dall’Ottocento avevano con forza già espresso l’idea di ridimensionare la visione fortemente antropocentrica in auge col fare sembrare le loro opere portatrici di ‘umiliazioni gnoseologiche’ non di poco conto, era plausibile quell’atteggiamento da parte dell’uomo di ergersi al di sopra del mondo e di considerarsi estraneo alle sue dinamiche , oggi da più parti emergono nuove forme di razionalità che, forti del dono agapico portato in dote dalla ragione complessa, stanno sostituendo le logiche dell’aut aut con le logiche dell’et et. Si è arrivato così a fare del ‘tra’ il perno di ogni strategia di pensiero e di azione, come aveva già indicato nei primi decenni del secolo scorso Pavel Florenskij, col diventare in questi ultimi tempi obiettivo strategico in diversi settori (Pavel Florenskij: il fuoco della verità, 16 gennaio 2020 e Una filosofia del tra, 8 ottobre 2020), da richiedere un radicale cambiamento di prospettiva in ogni ambito dell’umano.
Ma urge costruire ‘una nuova paideia nel tempo della complessità’, come suggerisce da diverso tempo Mauro Ceruti, per passare da un modello di razionalità infantile che fa dell’entusiasmo per un punto di vista, sia pure conquistato a fatica contro pregiudizi secolari, uno scanno da cui guardare dall’alto il resto del mondo ed ergersi a suo giudice col pronunziare l’ultima parola, ad un modello di razionalità che, nel spazzare via ogni residuo riduzionistico ma sempre presente da individuare in quanto si nasconde nelle diverse pieghe delle azioni umane, esige una rigenerazione ab imis dei suoi criteri di intelligibilità, un continuo mettere in atto dei rimedi razionali per ripristinare un dialogo costruttivo col mondo e per coglierne il pieno di ragioni e di ‘mille significati’ che lo caratterizzano e spesso sacrificati in nome di quella che Simone Weil chiamava ‘ragione babilonese’, cioè basata sull’uso della forza e dell’esclusione. In tal modo, lavati i panni sporchi da ogni traccia di quella vera e propria malattia dello spirito che è stato ed è il riduzionismo sia metodologico che ontologico, l’uomo è invitato a fare sino in fondo i conti con l’ipercomplessità, a dirla con Edgar Morin, di sé stesso e del mondo come punto imprescindibile di partenza verso una razionalità più matura; in tale veste può presentarsi come un nuovo ‘Adamo sulla sponda del Rubicone’ per riprendere l’espressione kantiana, alle prese con la navigazione nelle acque inquiete, ma sempre più profonde delle conoscenze acquisite in ogni campo che una volta ben metabolizzate, grazie al loro vasto ed insostituibile plafond veritativo, lo caricano di inedite responsabilità nei confronti del mondo, verso il quale non si può più mentire.
In tal modo, questa espressione kantiana, che pur limitata al campo delle idee e al coraggio della ragione di varcare più soglie nello scoprirsi tridimensionale, oggi nell’era dell’Antropocene viene ad acquistare una diversa e maggiore valenza nel senso che, presa come metafora del nostro presente e del prossimo futuro, può aiutare da una parte l’umanità intera a fare i conti con sé stessa, la sua storia e le diverse illusioni che l’hanno contaminata, a liberarsi dai diversi ‘ostacoli epistemologici’, a dirla con Gaston Bachelard, costruiti nel tempo per recintarsi in gabbie concettuali, diventate prigioni dello spirito e refrattarie ai necessari cambiamenti, che hanno finito con fare del riduzionismo una vera e propria malattia. Dall’altra, fornisce gli strumenti per comprendere la necessità di mettere in campo urgenti strategie per diventare diversi ‘Adami sulle sponde dei vari Rubiconi’, che si devono necessariamente attraversare, alle prese con le inedite sfide che ci attendono ad ogni livello in quanto, come ci ha insegnato Michel Serres nel portare avanti un pensiero incentrato sul dialogo tra il locale ed il globale all’interno di una logica delle interrelazioni, abbiamo a che fare con delle ‘totalità viventi’ come la Terra, la vita, il clima, l’ambiente e lo stesso Cosmo le cui sorti dipendono e dipenderanno sempre più dalle nostre scelte; ed ogni comunità deve coniugare, nel contesto in cui viene ad operare con l’inventarsi nuove modalità, strettamente il verbo ‘potere’ col verbo ‘dovere’, facendo tesoro delle conoscenze che, se ben orientate all’interno di una ‘nuova paideia’ dove agisce il volto della complessità nella sua specifica dimensione agapica, portano nel loro corredo non solo concettuale ma anche esistenziale dei progetti tesi a tracciare dei binari per un nuovo modo di concepirci come parte di una ‘molteplicità’ insita nel mondo il cui destino è nelle nostre mani in quanto siamo ‘ingarbugliati’, a dirla con Italo Calvino, con le sue ragioni e ‘faglie sistemiche’ come le chiama Mauro Ceruti; se esse vengono comprese e rispettate adeguatamente, si trasformano in risorse preziose, in ‘significati’ per i nuovi ‘Adami sulle sponde dei vari Rubiconi’ che possono così gestire le inevitabili e radicali scelte da fare illuminati ed istruiti dalle logiche di un mondo con una molto più lunga storia della nostra, come ci insegna la teoria dell’evoluzione e ci viene indicato da Raimon Panikkar (Dalla mistica alla complessità: il percorso di R. Panikkar, 7 ottobre 2021).
Come tali possiamo essere forgiati dalla stretta interdipendenza tra conoscenza, responsabilità e speranza, ed equipaggiati con tale ‘piccolo Pantheon portatile’, per usare un’espressione di Alain Badiou, come umanità intera dovremmo impegnarci a riscrivere le tre Critiche kantiane; ma ci deve guidare la coscienza che una simile operazione, frutto della presa d’atto a livello epistemico di quel ‘groviglio di inestricabile complessità’ che è il mondo nel farci capire che è ormai impossibile separare la storia umana da quella naturale, è funzionale alla costruzione di ‘una nuova umanità planetaria’ col suo corredo di ‘possibilità evolutive ancora inedite’ in quanto costitutivamente ‘incompiuta’, per arrivare a gettare le basi della ‘costruzione di una civiltà della Terra’, come ci indica Mauro Ceruti in diversi scritti più recenti. E la stessa espressione kantiana presa in esame può, inoltre, essere interpretata come indice di diverse soglie con il peso dilemmatico che le caratterizza: da un lato, fa emergere la presa di coscienza dei rischi dell’autoannientamento che ci attendono se non si cambia modo di pensare e di agire; e dall’altro fa risaltare il fatto che come uomini siamo in modo strutturale incompiuti e fragili e nello stesso tempo capaci di continue metamorfosi, se accompagnate da rinnovate Paideie che aiutano a mettere in campo percorsi orientati a far dialogare diversamente dal passato uomo e natura, punto di partenza e pilastro per un diverso Antropocene. Tale termine, com’è noto, è stato mutuato dal campo delle scienze della Terra per caratterizzare l’impatto delle attività umane sul nostro pianeta, verificatosi negli ultimi tempi, e pur recente andrebbe cambiato per indicare appunto il futuro che forse saremo in grado di costruire.