Pensare l’esperienza umana sulla soglia

Se si analizzano i ‘segni dei tempi’ con un’attenzione particolare a non mentire su di essi, per usare un’espressione di Simone Weil, non si può trascurare il fatto che  in più contesti di ricerca filosofico-scientifica le migliori idee, nel senso che potranno avere ulteriori sviluppi, vengono avanzate nei loro avamposti come storicamente è avvenuto spesso; ultimamente poi più che nel passato anche recente, esse sono il frutto  della stretta collaborazione di studiosi appartenenti ad aree disciplinari che possono sembrare lontane tra di loro, ma trovano la loro unità in una comune riflessione filosofica in grado di chiarirne i contenuti e la portata concettuale a volte non facile da fare emergere, data la crescente complessità degli enjeux  o poste in gioco che comportano ad ogni livello da quello più specificatamente teorico a quello umano ed esistenziale.  Si segnala in tal senso un volume scritto insieme da  Silvano Tagliagambe, filosofo della scienza, e Paolo Bartolini, analista e formatore, dall’emblematico titolo  Per una filosofia del tra. Pensare l’esperienza umana sulla soglia, (Mimesis, Milano-Udine 2020); tale testo, come dice lo psicoanalista Romano Màdera nella sua illuminante introduzione, può essere considerato una ‘sorta di manifesto di un pensare che non si lascia catturare dalle cose e dagli individui isolati’ in quanto si fonda su ogni atto di conoscenza che, pur astratto, è il risultato di tensioni esistenziali  e  si nutre del  continuo attraversamento dei campi delle scienze umane e naturali dove trova piede in maniera sempre più evidente ‘l’interrelazione e l’interdipendenza del ‘tra’.

Silvano Tagliagambe, già autore di diversi testi scritti insieme ad altri ricercatori appartenenti ad aree scientifiche diverse come, ad esempio, i recenti Metamorfosi. Cervello in divenire, benessere psicofisico e nuove strategie   terapeutiche e Tempo e sincronicità. Tessere il tempo (2018), è noto per aver dato significativi contributi alla conoscenza del pensiero filosofico-scientifico russo ed in particolar modo della figura di Pavel Florenskij, da oggi riconosciuto da più parti come uno dei pensatori più profondi ed originali dell’intero Novecento; il lungo confrontarsi con tale tradizione di ricerca e  soprattutto con tale figura, a cui ha dedicato vari studi e nel 2013 un interessante volume dal significativo titolo Il cielo incarnato. Epistemologia del simbolo di Pavel Florenskij,   gli ha permesso di lavorare da tempo a quel tipo di pensiero imperniato sulla  ‘linea di confine’, sulla ‘soglia’,  sulle ‘terre di mezzo’,  ‘tra’ i saperi dove si incontrano teologia, filosofia e matematica accomunate dal ruolo centrale assunto al loro interno dal simbolo. Anche se questo percorso per il pensiero è impervio in quanto, come dicevano quasi all’unisono, pur appartenendo  a mondi culturali diversi come appunto Florenskij e Simone Weil, si basa sulle poliedriche ragioni e rugosità del reale, impossibili da inquadrare in schemi unitari, però permette di stare sulle loro ‘soglie’, in ‘attesa’, per usare termini della stessa Weil, e soprattutto di viverne la portata veritativa nell’incontro  col soggetto che in tal modo rafforza il suo senso stesso di razionalità ed esce trasformato forte delle vere relazioni che ha sperimentato.

Per questo i due lunghi saggi del volume, alla luce di diversi risultati raggiunti nelle varie scienze umane e naturali,  chiariscono cosa si intende per ‘fìlosofia del tra’  nei vari campi a partire dalla psicologia del profondo e dall’antropologia sino alle esperienze religiose  dove, come dice Bartolini, si possono trovare delle ‘risorse per abitare i due mondi’, il polo della mente e quello del corpo, sviluppando l’idea di ‘metapsicologia binoculare’ dell’analista junghiano Donald Kalsched, rivolta a cogliere le interazioni continue tra i due mondi ed il fatto importante che proprio ‘la vita avviene tra mente e corpo’ in quanto l’uomo è un ‘essere costantemente in-between’; ed in tal modo la filosofia del trasi presenta come una filosofia del con’.

A sua volta Tagliagambe ritrova prima nell’opera fondamentale di Florenskij, La colonna e il fondamento della verità, l’idea centrale di ‘spazio intermedio’  ‘tra’ ‘due mondi’ , ‘tra’ il finito e l’infinito,  ‘tra’ il visibile e l’invisibile, idea che nella cultura russa trova spazio non solo nell’esperienza religiosa, ma anche in campo scientifico come nei lavori del mineralogista e geochimico Valdimir I. Vernadskij, un’altra figura ritenuta centrale per aver lavorato sulla materia vivente  nelle sue diverse manifestazioni all’interno di quel ‘grande e complesso sistema che è la biosfera’ nel suo ‘nesso profondo che la collega alla struttura dell’intero sfondo cosmico’. Il pensiero filosofico-scientifico russo nel suo complesso  per Tagliagambe è un pensiero che si basa essenzialmente sulle relazioni e sulle interconnessioni tra sistemi che  mettono in ‘comunicazione reciproca i fenomeni e i processi cosmici e quelli terrestri’ da portare ad un ribaltamento della tradizionale immagine dei processi evolutivi, basata sull’adattamento dei ‘sistemi rispetto all’ambiente’, per approdare ad una direzione ‘risultato di una stretta interrelazione e interazione fra sistemi diversi’.

Ma è sempre la figura di Florenskij che viene a giocare un ruolo strategico nella filosofia del ‘tra’ per essersi messo in quella zona di confine tra matematica e teologia e per aver traghettato decisamente il pensiero filosofico al di là della prospettiva positivistica, sia attraverso una profonda lettura dei contributi di Cantor sull’infinito e sia del particolare modo di intendere e praticare la spiritualità ortodossa, dove il simbolo è in grado  ‘di  porre insieme’, di ‘mantenere uniti’, di far coesistere, pur senza farli convergere in una sintesi, gli opposti’; per questo, è il luogo della ‘ibridazione degli opposti’ dove prende piede la stessa  ‘concettualizzazione del mistero dell’invisibile’ e  nello stesso, come afferma Florenskij, è una ‘realtà che è più di se stessa, qualcosa che è più di sé’ dove non annulla il concetto, ma lo interroga nei suoi limiti aprendolo ‘al suo di là’.  Per questo  ‘di più’, Tagliagambe si sofferma sul concetto teologico ortodosso di luce taborica che permise agli Apostoli di vedere la divinità, come a dire ciò che è naturalmente invisibile’, idea che la Chiesa cattolica prima con Giovanni Paolo II in Orientale lumen del 1995 e poi nella Laudato sìdi Papa Francesco ha mutuato dalla spiritualità russa   e che trova nel concetto florenskijano di translucidità, luminosità interiore, il suo significato profondo dove ‘l’anima, trasformata in luce, acquisisce il potere di ‘vedere attraverso’; emblematica  è a tale riguardo l’analisi della stessa icona definita ‘spazio intermedio’ dove i due mondi, l’umano e il divino, si interfacciano e vengono visti e pensati insieme, ‘quasi fusi in un’unità indissolubile’.

Alla luce di questi apporti di Florenskij alla filosofia del ‘tra’ e alla iconologia, Tagliagambe poi approfondisce il ‘vedere attraverso il confine’ in alcuni momenti dell’arte del primo Novecento come il Suprematismo di Kazimir Malevičcol suo ‘manifesto bianco’, le considerazioni di Kandinsky sul bianco come ‘luogo dell’invisibile’ dove spazio e oggetto sono ‘compenetrati’ tra di loro; interessante poi la sua lettura di un testo di Matte Blanco del 1975 L’inconscio come insiemi infiniti, dove viene proposta la differenza tra due tipi di pensiero quello razionale, che si basa sul principio di non-contraddizione, e quello dell’inconscio o pensiero emozionale con una sua logica che si basa sul principio di generalizzazione e di simmetria, dove ogni cosa  viene considerata un elemento di un insieme; ma sia l’attività mentale che il nostro vissuto quotidiano sono considerati il frutto  della ‘correlazione e del mutuo sostegno di due logiche apparentemente incompatibili e inconciliabili, che invece hanno bisogno l’una dell’altra’. Per questo anche alla luce di recenti risultati ottenuti nell’ambito delle neuroscienze e della neuropsicoanalisi in particolar modo che prendono in esame le emozioni, Tagliagambe sottolinea il fatto che ‘siamo esseri anfibi’, che viviamo in un ‘ambiente intermedio’, in uno ‘spazio di confine tra la terra e il cielo’, e in quanto tali  siamo ‘frutto in due mondi  contrapposti’.

Per questo la persona umana viene vista nella sua complessità come il risultato di una ‘prospettiva policronica’ non solo per il fatto di essere il precipitato di eredità del passato, ma anche di emozioni e affettività, dove il cervello non raccoglie solo informazioni, ma è una entità senziente ed intenzionale insieme; questo permette di legare le emozioni alla riflessione e di capire che ogni cosa a partire dal corpo e dalla mente ha una ‘natura duale’ e la stessa nostra identità viene a collocarsi in un ‘territorio di frontiera’, in uno ‘spazio intermedio tra il dentro ed il fuori’ , dove si costruisce l’intersoggettività che è il tra; poi un ulteriore elemento per suffragare tale stato di cose Tagliagambe lo individua nelle recenti ricerche sulla neurogenesi, disciplina che studia la maturazione del cervello e lo sviluppo del ‘connectoma’ grazie agli studi condotti sui legami madre-embrione-feto durante il periodo di gravidanza, decisivi per il benessere psico-fisico del bambino.

Da tali studi rivolti a capire come i circuiti cerebrali del feto reagiscono nel sentire la voce della mamma, risultano coinvolte diverse aree cerebrali e grazie a questo si è verificata che nei bambini dove tale meccanismo ha funzionato di più, una ‘maggiore capacità di comunicazione’. La voce materna in tal modo si colloca in una ‘sorta di spazio intermedio’, tra i suoni interni e quelli esterni’ e le recenti ricerche confermano l’importanza di tali ‘spazi intermedi, fin dalle prime fasi della vita’. Per Tagliagambe risulta, pertanto, chiaro che la ‘filosofia del tra’ non è qualcosa di estraneo alla vita, ma una chiave per capire che c’è una ‘intersoggettività originaria che ci precede’ e  ‘determinante per lo sviluppo della persona’;  e nello stesso tempo abbatte l’idea dell’autonomia dell’individuo chiuso in se stesso e fa ‘emergere al contrario l’idea di dipendenza originaria dall’altro come condizione imprescindibile per diventare umani’. Il ‘tra’, pertanto, è una condizione del pensare ma trova le sue ragioni sulla ‘soglia della relazione con l’altro’  tramutandosi nel ‘con’; per questo, sulla scia sia di Bartolini che di Tagliagambe, si può dire senza nessuna esitazione  che esso può diventare oggetto di attenzione da parte del più sano pensiero filosofico e scientifico per renderlo una chiave ermeneutica indispensabile per comprendere la complessità del reale.


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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.