Venerdì, 22 marzo, presso Palazzo dell’Università, ore 18:30, un incontro tematico a Martina Franca

Dall’intensa ‘testimonianza’  di vita e di pensiero di Simone Weil, come  hanno evidenziato Gustave Thibon e Joseph-Marie Perrin,  che l’hanno conosciuta personalmente, in Simone Weil. Come l’abbiamo conosciuta (Milano-Udine, Mimesis 2022) col mettere in atto un non comune incontro-scontro con le sue idee, si possono ricavare preziose indicazioni che  in più  contesti stanno trovando eco in questi primi decenni del nostro secolo; tra quelle ritenute più cruciali nel tentativo di invertire le rotte intraprese dalla nostra civiltà e di evitarne la bancarotta per aver fatto della ‘forza’ una idolatria, c’è anche quella di fraternità, oggi al centro dei nuovi bisogni di natura planetaria per gettare le basi di un diverso Antropocene.  L’approdo ad essa, come altri esiti del  percorso messo in atto da Simone Weil, è frutto   della continua e a volte radicale  lucidità razionale che ha caratterizzato ogni sua analisi dalla ‘condizione operaia’, nel lavorare per un breve periodo in fabbrica, all’avvento dei totalitarismi, dagli sviluppi del taylorismo alle prime forme di capitalismo finanziario con le sue crisi; e nello stesso tempo è inscindibile dallo sforzo di cogliere  ‘le cause dell’oppressione sociale’ nell’offrire il ‘quadro teorico di una società libera’, più attenta ai reali bisogni, e nel fornire gli strumenti più adeguati per tenere sotto controllo la stessa tecnologia.  Non sarà poi un caso se la fraternità viene inserita in modo programmatico tra i ‘doveri verso l’essere umano’ per farne una ‘nuova radice’  nel suo ultimo ed organico lavoro, L’Enracinement,  scritto nel 1943 poco prima di morire e diventato subito fonte di ispirazione insieme ad altri scritti per  figure impegnate in diversi ambiti, da Albert Camus ad  Adriano Olivetti e Giovanni XXIII: la fraternità germoglia facilmente nella compassione per una sventura (malheur), che imponendo ad ognuno la sua parte di sofferenza, pone in pericolo qualcosa che è molto più prezioso del benessere di ciascuno… L’orgoglio nazionale, nella prosperità come nella sventura, è incapace di suscitare una fraternità reale e calda.

Pur scritta in un momento in cui il mondo intero era sconvolto dal secondo conflitto mondiale e quando da più parti si invocava la pace, Simone Weil ci fornisce gli strumenti per comprendere meglio le cause di tale tragedia dovute ai nazionalismi e all’incapacità di  comprendere e gestire da parte delle classi dirigenti e intellettuali  le contraddizioni derivanti dai dislivelli temporali imposti dalla modernità con forme di vita delle classi agrarie e dei ceti borghesi urbani pauperizzati, poi non a caso sfruttati abilmente dalle dittature; e  soprattutto nello stesso tempo in L’Enracinementvengono gettate  le basi comuni o ‘nuove radici’ di un progetto per approdare a qualcosa di più duraturo che là dove è riuscito a ‘germogliare’ ha messo in moto sia pure a fatica dei processi  che hanno portato alla nostra Costituzione e ad una idea di Europa più unita anche perché, come ammoniva lo stesso Karl Jaspers, se si vuole continuare a vivere, ‘l’umanità deve cambiare’. E se  la fraternità è frutto della immane ‘sofferenza’ di una intera generazione, come tale è portatrice di una nuova visione del mondo e per essa bisogna lottare, come dirà più tardi a proposito della pace Albert Camus alle prese con la Guerra d’Algeria e i processi di decolonizzazione. E per parafrasare lo stesso Camus ‘vale la pena combattere’ per essa  ed in tal modo la fraternità (pace) ‘non è più una preghiera, è un ordine che deve salire dai popoli verso i governanti, l’ordine di scegliere definitivamente tra l’inferno e la ragione’.

E non sarà, pertanto, solo un caso se  quella frase di Simone Weil viene ripresa in tutta la sua crucialità nel breve ma intenso testo di Mauro Ceruti e Francesco Bellusci, Il secolo della fraternità (Roma, Castelvecchi Ed. 2022), testo che dovrebbe fare parte del ‘piccolo pantheon portatile’, per usare un’espressione di Alain Badiou,  di ognuno di noi per poter affrontare oggi, ‘tempo della complessità’, tra le altre sfide la ‘sfida della fraternità’, come l’ha chiamata Papa Francesco, definita dai due autori “promessa mancata della modernità”  per non fare rimanere libertà e uguaglianza solo delle “chimere”; e abbiamo l’’obbligo’, altro concetto  nel percorso weiliano, di farla ‘germogliare’ mutatis mutandis e questo processo lo si può mettere in atto ascoltando gli strazi del pianeta Terra e cogliendone l’intrinseco malheur  che va al di là di ogni singola persona. Ma Simone Weil ancora ci offre un’altra strategica categoria di pensiero come l’’attenzione’ propedeutica all’idea di fraternità e ricavata dall’ascoltare il reale e le sue ‘rugosità’,  piene di significati tutti da scoprire al di là delle apparenze; sulla scia di Nicolas Malebranche  che la riteneva ‘la preghiera naturale dell’uomo’, essa è impiantata sulla terra e nello stesso tempo rivolta verso l’alto  sino a diventare, come viene detto in una lettera del 1942 all’amico Jean Bousquet , ‘la forma più rara e più pura di generosità’ in quanto ‘attenzione senza distrazione’  verso la complessità e le contraddizioni del mondo e capace di liberarci dai vari idola che ci siamo costruiti addosso con i loro esiti riduzionistici.

In tal modo  la fraternità si coniuga da una parte con quella che Ernst Bloch chiamava ‘intelligenza della speranza’ nel promuovere ‘l‘alleanza con tutto ciò che nel mondo è albeggiante’, per cogliere il grido dei nuovi bisogni emergenti, e dall’altra con “l’intelligenza della complessità” che nel denunciare i rischi dovuti ai processi di frammentazione e di separazione sempre in agguato,     permette di “identificare il nostro destino” con quello di una “comunità umana propriamente terrestre”, a riconoscerci come facenti parte di “una famiglia comune planetaria”, come a più riprese viene espresso in Il secolo della fraternità; ed essa ci viene consegnata generosamente come dono di una ragione che, attraverso la presa in carica del malheur presente nel mondo, ci rende più coscienti nel cogliere  relazioni ed interconnessioni e obbligati a fare delle scelte non più rinviabili nel rendere “evidente l’intreccio antropocenico tra destini dell’uomo e destini della natura”, nel gettare le basi di “una politica della fratellanza” e di tutte “le interdipendenze”, un progetto  da costruire col responsabilizzare tutti “cittadini, Stati e istituzioni sovranazionali”, come scrivono Ceruti e Bellusci.  In tale modo la fraternità aiuta tutti a mettere in atto una politica rivolta a ritrovare quel ‘gusto per l’avvenire’ a dirla con Max Weber,  ci proietta “verso un nuovo radicamento, una nuova appartenenza, in quanto abitanti della stessa Terra”  nel promuovere “un cambiamento di civiltà”; e se fu “l’amicizia  a tenere insieme la polis” come diceva Aristotele nel far ‘germogliare’ le prime idee democratiche nel solco del confronto  con le prime idee scientifiche ben assimilate, “solo la fraternità potrà tenere insieme la cosmopolis del XXI secolo” grazie all’indispensabile aiuto delle conoscenze acquisite, dove  l’Europa col suo lascito di pensiero critico può avere un ruolo trainante nel farla comprendere come “l’imperativo per un nuovo destino” nelle diverse articolazioni cognitive, etiche, biologiche, antropologiche e politiche.

Ma bisogna lavorare, a dirla con Edgar Morin, alla presa di coscienza che ‘il vangelo della fraternità sta all’etica come la complessità sta al pensiero’ nel farci comprendere che è arrivato il momento in primis che con “l’Antropocene, la distinzione tra storia umana e storia naturale è finita per sempre”; e  “dopo il dominio, dopo il possesso predatorio” del pianeta Terra occorre mettere in atto   un nuovo “contratto di simbiosi con la natura” da rendere “soggetto di diritto” e soprattutto  “padroneggiare la nostra padronanza” in quanto la “fraternità universale nel XXI secolo” è inscindibile dall’avere “il coraggio condiviso dell’autolimitazione” per Ceruti e Bellusci. E la democrazia pur con tutti i suoi limiti è il luogo dove tale processo può mettersi in moto, anzi essa deve costituirsi come fraternità altrimenti “è un’impostura” sulla scia di ciò diceva già Antoine de Saint-Exupéry, in quanto intrecciata con la libertà e l’uguaglianza è più in grado di “introdurre quei cambiamenti nel modo di vivere, di produrre” imposti dalle transizioni in corso; e per questo essa non rientra tra i diritti, “non è un diritto” ma è un ‘dovere’  nel senso indicatoci da Simone Weil e frutto maturo dell’albero della conoscenza  secondo complessità che comporta altresì un aumento della nostra responsabilità nei confronti delle sorti del mondo e delle diverse ‘totalità viventi’ ivi presenti, come le chiama Michel Serres, le cui sorti insieme a quella nostra dipenderanno dalle  scelte e dalle modalità con le quali saremo in grado di padroneggiare il nostro impatto su di esse e di autolimitarci, che poi oggi più che mai è il compito primario dell’essere democratici.

E come ‘dovere’, essa fraternità non ci è data, ma va costruita giorno dopo giorno, passo dove passo, come è stato fatto con enormi sacrifici  e si continuerà a fare per la libertà e l’uguaglianza,  e pur caratterizzata come ogni cosa umana da errori, incertezze, fragilità, rimane tuttavia l’ancora a cui aggrapparsi nell’indicarci un orizzonte in quanto è un percorso che conduce ad “un nuovo modo di ‘essere-nel-mondo’ degli esseri umani”; ed in Il secolo della fraternità c’è un invito costante a non farla rimanere come una stella nel ‘cielo della politica’, per usare quella espressione critica di  Marx nei confronti della presunta astrattezza dei principi delle costituzioni liberali,  e a farla atterrare. Ed essa può essere resa  concreta attraverso la weiliana  ‘attenzione’ che, nel  farcela rendere centrale nel cogliere il grido di dolore delle ‘totalità viventi’, è in grado di mettere in atto un processo di redenzione nel senso evangelico; e  può fungere da ‘stella della redenzione’ come indicatoci da Franz Rosenzweig in La stella della redenzione, opera scritta non a caso nelle trincee del primo conflitto mondiale,  nel gettare ‘un guanto di sfida’ al pensiero astratto e distratto del genere umano e a costringerlo a rivolgere i suoi ‘triangoli’ alle relazioni e connessioni con il destino del pianeta Terra in quanto è da “questa relazione che dipende la salvezza di tutti”, come scrivono Mauro Ceruti e Francesco Bellusci.

Se come genere umano ci abbeveriamo, nel fornirla continuamente di nuovi orizzonti cognitivi ed esistenziali, a quella  fonte di Siloe che è “lo spirito di fraternità universale”, ci rendiamo conto che è arrivato il momento di  mettere in atto, come si afferma in  Il secolo della fraternità  sulla scia di Max Weber,  una politica capace “controllare gli effetti non voluti” delle nostre azioni, di pensare ‘a lungo termine’ con accantonare  “i tre ‘miti’ dell’epoca moderna” : il mito della tecnoscienza con la promessa di una “crescita illimitata”, il mito della “manipolabilità della natura”, il mito dello “Stato-sovrano, in grado, dentro i suoi confini, di assicurare benessere, sicurezza e identità”. E nello stesso tempo si prende coscienza che siamo noi in prima persona ad essere protagonisti attivi della “fraternità umana planetaria”, come “frutti migliori della complessità fisica, chimica, biologica, affettiva e mentale” che ci permette di mettere in atto un processo di redenzione con l’emergere con nuove dimensioni, più fragili ma più autentiche, e di avere  speranza di renderci più umani “quando si inventa la fraternità” e si lotta per essa.

Così un percorso sulla fraternità  avviato da Simone Weil, ma presente con diverse modalità in altre figure del ‘900 che lo hanno attraversato col carico di sofferenze nel ‘dare così vita ai loro giorni piuttosto dei giorni alla loro vita’ per parafrasare Rita Levi Montalcini, non poteva non incontrarsi con la dimensione agapica implicita nel pensiero complesso nel renderci più consapevoli del fatto che vanno ridisegnati i sentieri su cui muoversi e agire, per dotarci del ‘passaporto di un umanesimo rigenerato’ per usare un’espressione di Edgar Morin presente in L’Avventura del Metodo.


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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.

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