Un’altra fine del mondo è possibile

Ci sono problematiche della  contemporaneità che non ricevendo una adeguata attenzione da parte dei social e se la ricevono a volte in modo non consono, fanno fatica ad entrare nel dibattito pubblico pur essendo più che mai cruciali per i nostri destini che per la prima volta investono l’intera Terra o, come la chiama Michel Serres, biogea;  essi hanno bisogno di ben altra attenzione per i continui ‘strazi’ a cui viene sottoposta e ci mandano dei precisi segnali ed indizi su cui non si può allegramente continuare a ‘mentire’ per usare delle espressioni di Pierre Teilhard de Chardin e Simone Weil. Ci aiuta in tal senso una  collana della Treccani dal significativo titolo ‘Visioni’ che, alla luce di una metodologia imperniata sulla ‘relazione feconda e virtuosa tra le discipline’ com’è ormai prassi nelle punte più avanzate del pensiero filosofico-scientifico, ci offre un critico ‘sguardo sull’oggi e sull’immediato futuro” e, rafforzata dal tenere presente il ‘valore della storia’, si presenta come ‘un laboratorio sui bisogni della contemporaneità e sui cambiamenti sociali, tecnologici e politici in atto’.

Oltre a testi che prendono in esame il centrale tema del ruolo della scienza come ad esempio Paura della scienza  di Enrico Pedemonte e  Leggere. La scienza sottovalutata, tra teoria e pratica di Mark Seidenberg oltre a  Poesia e musica della scienza di Tom McLeisch, se ne segnalano alcuni  che  invitano a ‘svegliarci’, per usare un’ennesima esortazione di Edgar Morin (Come ‘svegliarci’ grazie al fare nostri ‘i miei filosofi’ di Edgar Morin, 29 dicembre 2022), e a prendere in seria considerazione problemi cruciali, dai cambiamenti climatici alla sfida ambientale dovuti all’avvento del cosiddetto Antropocene, come  ad esempio Il tramonto della ragione di Dale Jamieson e  La terra, la storia e noi. L’evento antropocene  di Christophe Bonnevil e Jean-Baptiste Fressoz. Si distinguono in tal senso altri lavori tradotti che rientrano nella cosiddetta collassologia, termine da poco tempo entrato nei vocabolari grazie al lavoro del 2015 di Pablo Servigne e Raphaël Stevens  Convivere con la catastrofe. Piccolo manuale di collassologia (Roma, Treccani 2021), e continuato poi nel 2018 con Gauthier Chapelle in  Un’altra fine del mondo è possibile. Vivere il collasso (e non solo sopravvivere) (Roma Treccani, 2020).

Questi due volumi ci aiutano ad avere un quadro più organico di alcune tendenze in atto in questa ormai ricca letteratura per indicare quella serie di studi transdisciplinari che vanno dall’agronomia alla biologia, dalle scienze sociali  agli ecosistemi e vertono sulle conseguenze dell’abuso eccessivo dello sfruttamento delle risorse disponibili con esiti che possono portare al collasso del sistema Terra; sono oggetto di indagine i processi di industrializzazione, le cause dei cambiamenti climatici e delle catastrofi naturali e sociali,  la perdita della biodiversità e l’inquinamento ambientale, le questioni demografiche ed i flussi migratori. Poi non è  dunque un caso se diverse figure di collassologi, nel denunciare la crisi del modello economico su cui si regge  quella che chiamano ‘civiltà termoindustriale’, abbiano preso particolarmente  piede in Francia, diventata sede in questi ultimi mesi di proteste  sorte in base alla presa di coscienza del fatto che la stessa   Sécurité sociale ne è minacciata, come risulta da un appello ospitato nella ‘Tribune’ del giornale  Le Monde  del 3 marzo scorso e dalla stessa nascita qualche anno fa dell’Association des Amis de Greta Thunberg. Nel paese d’oltralpe e non solo, in questi ultimi anni  stanno sorgendo  diversi movimenti e istituti come l’Institut Momentum con studi e corsi universitari che stanno simulando scenari di vita in seguito a ipotetici collassi intorno al 2050, tali da dover prenderli ‘sul serio’  come viene chiarito nel 2019 da un articolo in Italia sulla rivista ‘Gli Asini’ con denunciarne anche alcuni esiti in quanto ritenuti espressione di un certo ‘occidentalocentrismo’   e basati su un ‘approccio tecnico-ingegneristico di tipo probabilistico e non sull’ordine del possibile’.

Uno degli elementi portanti di questi testi sulla collassologia è quello di spiegare ancora una volta l’interdipendenza dei fenomeni, del ‘tutto è connesso’, già chiarito dal pensiero complesso di Edgar Morin e ribadito con forza nella Laudato sìdi Papa Francesco;  e viene messo in risalto soprattutto il fatto che è la combinazione di più crisi  che può portare ad eventi catastrofici irreversibili per la biosfera sulla scia delle indicazioni a suo tempo avanzate dal Rapporto sui limiti dello sviluppo del Club di Roma. Se nel testo del 2015 prevale come è stato detto da più parti un ‘cupo pessimismo’ nell’essere immersi nella catastrofe tale da mettere in campo gli strumenti per sopravvivere,  in Un’altra fine del mondo è possibile  vengono tracciati dei percorsi più propositivi a partire dal fatto di prendere atto che i diversi cambiamenti in corso stanno comunque portando a “prefigurare un mondo diverso da come lo conosciamo”; e come società pensante  gli autori ci invitano, pertanto, ad essere protagonisti attenti nel “cambiamento di consapevolezza”, primo passo per “affrontare la preparazione con un atteggiamento diverso” in un clima di “gioia, condivisione e fratellanza”.

Attraverso una  attenta lettura dei dati che provengono da diverse fonti col loro pieno portato di indizi da non sottovalutare, si perviene ad una presa di coscienza di avere come base per intervenire in modo più appropriato di fatti più oggettivi che superano i desiderata di singoli gruppi e comunità grazie alla dimensione planetaria dei probabili eventi; in tal modo i due testi ci aiutano a confrontarci con i dati con l’obiettivo di non farci cadere in ulteriori illusioni o farcite di falsa “speranza”, ma di mettere in atto “il coraggio” di scelte anche radicali e soprattutto di aiutare a “metterci in moto” anche perché non c’è nessuna sicurezza di rimanere “indenni di fronte a queste tempeste” alcune delle quali già in essere. Molte di queste sono state l’esito  del fatto, a dirla con Michel Serres,  che abbiamo  nella modernità ‘coniugato’  nelle nostre azioni solo il verbo ‘potere’ e poi, aggravate soprattutto in seguito all’avvento delle tecnoscienze lasciate a se stesse, distaccato dal verbo ‘dovere’; ed è ciò che ha  caratterizzato un certo Antropocene, frutto dell’aver misconosciuto la complessità come è stato sottolineato in un recente convegno tenutosi presso l’Università del Salento. Tale  risultato, sulla scia dei lavori di Morin e di Latour, spesso ricorre nelle pagine di  Un’altra fine del mondo è possibile: ma  per “andare avanti” è ritenuto strategico “rialzarsi”, “riacquistare la ragione”, “guardare con occhi diversi”, “aprirsi ad altre visioni del mondo” e “tessere legami” per “ essere partecipi dell’emergenza di ciò che accade” ed esplorare un mondo nuovo che si può intravedere ‘solo con occhi che hanno pianto’, per usare una significativa espressione di Henri Lacordaire non a caso ivi riportata.

Viene ritenuto preliminarmente necessario   un cambiamento di rotta in ogni contesto a partire dal “profondo cambiamento di coscienza, di un cambiamento interiore”, primo passo che porta a dover “rallentare o fermare i danni causati alla Terra, agli ecosistemi, alle comunità e alle persone fragili”; “l’approccio collassologico, essenzialmente razionale” è il risultato della “sintesi interdisciplinare di molti studi condotti su questa inestricabile situazione globale” e  come secondo passo ha l’obiettivo di “analizzare e comprendere la situazione attuale” per arrivare a “creare alternative concrete” come  “ecovillaggi, città in transizione, economie alternative, agroecologie” che sono i primi modi per rallentare eventi catastrofici già in essere. Per questo, come avverte Dominique Bourg nella prefazione,  Un’altra fine del mondo è possibile si presenta come un trattato di vera e propria ‘collassosofia” più in grado di darci gli strumenti  idonei per affrontare un ‘probabile collasso’ dai contorni smisurati e per ‘prepararci intimamente a superarlo’; si è pertanto obbligati a progettare ‘il futuro, il mondo’  e da ricostruire ‘su nuovi principi’  col ‘ricaricare le nostre batterie con le saggezze del mondo’, indispensabili per elevare ‘le spiritualità che ci consentiranno di rimanere in piedi durante la prossima tempesta e ricostruire una casa comune e aperta’.  A tale sempre più impellente  pars construens  bisogna lavorare nel trasformare le conoscenze che si fondano sulla interdipendenza dei fenomeni  in ‘coscienza, una coscienza nuova’ per ‘ripristinare gli ecosistemi e una nuova alleanza di tutto il vivente, umani compresi’, come indica nella allegata postfazione il regista-scrittore Cyril Dion nel sentirsi più sollevato dopo la lettura di tale testo che tra l’altro offre una particolare analisi di come a più livelli viene dall’opinione pubblica percepito il collasso.

Non manca  tra l’altro una lucida  diagnosi del “dolore ecologico”, sulla scia di preziose indicazioni messe all’inizio prese dalle tragiche esperienze  di Etty Hillesum e Victor Frankl, che avvertito in tutta la sua cogenza  può aiutare i “colossonauti, cioè gli utenti del collasso ed interessati alle catastrofi globali” ad affrontare le diverse sfide rivolte ad “imparare a coltivare relazioni di reciprocità e fiducia, nonché regole di assistenza reciproca” e forme di solidarietà che “potranno emergere con maggiore facilità durante e dopo un evento traumatico”. Essere collossonauti significa, pertanto, ritenere indispensabili le conoscenze per poter anche riorientare la stessa ricerca scientifica, elaborare dei nuovi modelli di scientificità che col mettere in campo nuove idee ridiano “alla nobile ma rigida istituzione della scienza” un nuovo ruolo nel renderla “un’alleata e non perché continui ad alimentare un sistema tecnologico distruttivo” col dare più voce a “nuove (in)discipline scientifiche” che pongono per loro natura “problemi troppo complessi e spinosi”. La collassologia o meglio la collassosofia è un’altra ‘via’ nel senso di Edgar Morin che porta alla complessità in quanto ci permette di “vedere oltre” ed offre anche “l’opportunità di identificare la vulnerabilità, cioè anche il possibile collasso”, di gestire “una realtà erratica, confusa e imprevedibile” come il collasso ed emergenze varie  e di fornire un quadro di riferimento  alla “resilienza per navigare nell’incertezza”.

Anche col tenere presente delle indicazioni della Laudato si’, Servigne, Stevens e Chapelle ci invitano a lavorare a gettare le basi di un “micelio universale”, metafora della “comparsa del fungo anche in un territorio devastato”  per “vivere tra le rovine del capitalismo” e creare nuove “alleanze terrestri”  tra umani e non umani con “l’incontrare altre specie” sulla scia dei lavori di Stefano Mancuso,  di Monica Gagliano e di Suzanne Simard;  i tre autori ci mettono di fronte alle  condizioni che permettono che “il micelio si interconnette”   nel collasso stesso se vissuto come una sfida e non passivamente e “come apertura di nuove possibilità” che per realizzarsi  hanno bisogno di “fornire a questo futuro una trama complessa”. Ma è necessario  consolidare l’idea dei legami stretti “tra i collassi dell’ecosistema e quelli umani”, dell’”impressionante livello di complessità delle nostre immense società” e abolita l’idea della “linearità della storia”  e che tutto possa ricomporsi “dove tutto si gioca in anticipo”. Il loro è un invito costante alla presa d’atto che questa volta “la posta in gioco è immensa” e per questo  si ritiene più che mai impellente lavorare ad “una mobilitazione… come in tempo di guerra” con la coscienza di “partecipare a rivoluzioni” epocali; ma è altresì strategico imboccare una “porta d’ingresso” per “tessere  e creare dei legami e dare senso alla nostra vita e alla nostra epoca”,  per  tracciare nuove forme di “spiritualità  consapevole” dotata di un ricco bagaglio di “buoni motivi per scegliere di vivere piuttosto che sopravvivere” .

Un’altra fine del mondo è possibile si rivela, pertanto, non solo una vera e propria miniera di proposte miranti a tracciare la strada di “un linguaggio comune” per affrontare le sfide del nostro tempo, ma anche un invito a “dare al contempo  altrettanto importanza a ciò che accade all’esterno (materiale e politico) e al percorso interiore (spirituale)”, visti strettamente intrecciati per navigare con più accortezza nelle “onde d’urto” che ci avvolgono. In tal modo, come avvertiva Simone Weil nelle sue lucide analisi degli esiti di alcuni fenomeni sociali e politici del primo Novecento, si possono avere diverse possibilità di mettere in campo  strade alternative  tese ad un sostanziale cambiamento.


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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.