Per continuare a pensare dopo Auschwitz con le scienze e la tecnica.
Quando il cosiddetto secolo breve si stava avviando verso ’il buio della ragione’ capito meglio, come spesso succede, solo dopo i noti e tragici eventi, tale fenomeno non fu percepito nella sua reale portata da certi filoni coevi di pensiero filosofico poco inclini a fare i conti sino in fondo con i problemi posti dalla modernità in quanto frutto, a dirla con Kant, della loro misoginia nei confronti delle scienze e della tecnica che l’hanno oggettivamente caratterizzata ma incolpate di essere state la causa della ‘malattia mortale’ che aveva investito l’uomo per averlo svuotato di senso; poche figure, come ad esempio quella singolare figura di donna che è stata Hélène Metzger (1888-1944) sia testimone che vittima nello stesso tempo di tale ‘malattia mortale’, invece hanno avuto il coraggio e l’ardire di sovvertire tale diagnosi amputando la causa proprio alla mancanza di una adeguata filosofia in grado di coglierne il vero senso ‘veritativo’ e storico insieme, dibattito ancora oggi al centro dell’attenzione e che spesso non viene affrontato con strumenti appropriati.
Ma tutto questo è stato il risultato di una non comune immersione storico-concettuale da parte della Metzger prima nei momenti creativi del Rinascimento italiano e dei suoi protagonisti e poi delle non lineari vicende scientifiche successive, chiamati grazie alla loro doppia anima artistica e scientifica insieme, ‘savantsmistici ed esuberanti’ per aver dato vita a veri e propri ‘monumenti’ le cui logiche sfuggono ad approcci unilaterali e normativi; di fronte alla presa d’atto dell’estrema varietà dei fenomeni naturali non hanno esitato a costruire sistemi di pensiero o quelle che chiama ‘metafisiche bizzarre’, poi forieri di ulteriori sviluppi in diversi settori scientifici, in quanto hanno saputo esplorare le diverse rugosità del reale senza pregiudizi intravedendone la intrinseca poliedricità ed i molteplici livelli. Con parole che sembrano anticipare alcuni temi del pensiero complesso e dell’epistemologia della complessità, così scriveva nel 1926 in un’opera dedicata allo studio della genesi dei concetti e degli strumenti razionali Les conceptsscientifiques: è necessario studiare “come l’intelletto ha reagito di fronte allo shock procuratogli dall’incontro con la natura” e, soprattutto, “intravedere tramite quale processo la sbalorditiva complessità del mondo, i suoi oggetti prodigiosamente così vari, i suoi disparati fenomeni hanno potuto formare in noi una sintesi”.
Tutto questo è l’oggetto primario di quella che la Metzger chiama ‘mia meditazione filosofica’ rivolta a capire il formarsi del pensiero e delle strutture cognitive dell’espritumano con la necessità di approfondire le modalità con le quali esso si è costituito e di farne la storia; la lezione che trae dai suoi lavori storici, incentrati per lo più su quelli che vengono chiamati ‘momenti aurorali’, è quella di dare dignità epistemica a quel pensiero considerato dalla storiografia positivistica ‘prescientifico’, in quanto al suo interno anche se in maniera disordinata o ‘esuberante’ prendono piede varie forme di razionalità, come la ragione analogica e la ragione metaforica considerate ragioni tout court, senza le quali la stessa ragione logico-sperimentale non avrebbe potuto costituirsi. Questo significa prendere atto della pluralità di percorsi intrapresi e della necessità di non privilegiarne uno, anche se ha dato notevoli contributi, perché in tal modo si vengono a creare delle vere e proprie “prigioni dello spirito” che portano ad impoverirne le dinamiche oltre a condurlo ad esiti a volte tragici, in quanto la stessa ragione è incapace di individuarle come tali diventando facile preda delle sue stesse assolutizzazioni che inevitabilmente sfociano in processi di semplificazione.
Un ulteriore elemento, decisamente post-positivistico presente nel percorso della Metzger e che l’avvicina alle tematiche del pensiero complesso, è dato dall’idea che, per ripercorrere i momenti salienti di quello che chiama insieme al più giovane Jean Piaget ‘pensiero scientifico’, lo storico deve ‘costruirsi’, grazie alla sua ‘soggettività’ interpretante, dei percorsi o griglie che lo rendano il più possibile “contemporaneo dello scienziato” oggetto di studio col farsi, ad esempio, ‘galileiano’, ‘cartesiano’ o ‘newtoniano’ per non tradirlo e capirne lo spirito di fondo e la posizione dei problemi che lo hanno animato, in quanto il rischio ricorrente di molta storiografia positivistica, nella sua pretesa di essere il più possibile ‘oggettiva’, è quello di essere una semplice fotografia del presente col quale giudicare il passato. Per evitare tali rischi e di fronte al variegato e non uniforme mondo scientifico, la Metzger si costruisce una sua ‘sintesi’ e ci offre uno strumento ermeneutico che chiama ‘a priori dello spirito’; esso, ricavato dalle sue modalità con cui ha interrogato la storia del pensiero umano e di quello scientifico in particolare, è una specie di idea-guida che ogni storico deve individuare di un’epoca data anche se ad esempio come quello di ‘natura’ è nato in un contesto non scientifico, ma che poi ha alimentato proficuamente le espressioni artistiche ed in seguito quelle della scienza moderna.
Con le sue parole si potrebbe dire, ad esempio, che in San Francesco d’Assisi la presa d’atto dell’enorme ricchezza della natura lo ha portato a farne una ‘sintesi’ religiosa e a vedere in essa un dono di Dio all’uomo da rispettare, idea poi tramutatisi in ‘sintesi’ pittorica che per essere espressa più adeguatamente prima nell’arte di Giotto e poi dei pittori umanisti poi ha prodotto la prospettiva; tale strumento concettuale, ampliato da una maggiore attenzione e rispetto verso i fenomeni naturali, a sua volta nelle mani di Leonardo e soprattutto di Galileo li ha resi oggetto di indagine da fare iuxta propria principia, col dare origine alla scienza moderna. In tale modo l’idea di natura, prima in maniera latente e poi sempre più evidente, si è arricchita di ulteriori livelli o ‘sintesi’, dove ogni livello conosciuto ha poi prodotto gradualmente la necessità di indagarne altri aspetti sino a quel momento sconosciuti; conoscendone leggi e strutture di fondo con la fisica classica, tra varie contraddizioni sono emerseal suo interno le pieghe della vita (si pensi al caso Spallanzani che si approccia secondo le leggi del modello fisico ma vi trova qualcosa che va al di là), che ha portato alla ‘sintesi’ darwiniana con altre leggi e con approcci completamente diversi oltre al cambiamento della stessa fisica.
Si potrebbe senza esagerare considerare la stessa idea di complessità un vero e proprio ‘a priori dello spirito’, un ‘evento di verità’ a dirla con Alain Badiou, ma emerso lentamente e quasi di nascosto senza che magari gli stessi protagonisti ne avevano coscienza tra Ottocento e Novecento e poi venuto a galla apertamente in numerosi settori; essa complessità, come ogni altro ‘a priori dello spirito’, permette a chi la possiede di guardare al reale diversamente da chi ne è lontano e non l’abbia metabolizzata abbastanza perché, come ci dice la Metzger, funziona prima da apripista nel momento strategico della ‘genesi delle idee’ o della scoperta nel senso di Popper e poi è lo strumento più adatto per avanzare diverse ipotesi investigative e teorie ognuna delle quali non può per principio essere esaustiva. Dall’incontro-scontro tra prospettive e progetti teorici anche in alternativa tra di loro emergono ulteriori ‘sintesi’ dove i diversi livelli del reale intravisti e più conosciuti sono la garanzia del percorso veritativo delle scienze pur nella loro storicità e con tutti i loro limiti.
Tutto il pensiero della Metzger è il risultato della presa d’atto a livello epistemico della pluralità di strumenti, delle varie forme di razionalità che hanno arricchito la storia cognitiva da cui ha ricavato quelli che chiamò nel suo ultimo scritto rimasto incompiuto, prima di essere deportata ad Auschwitz, “rimedi razionali”; il primo ‘rimedio razionale’ che ci consegna è la lotta senza quartiere tesa a demolire gli ‘assoluti terrestri’ ed il ‘virus dell’onniscienza’ a dirla con Dario Antiseri e Mauro Ceruti, che sono la causa della malattia mortale che ha colpito in particolar modo l’uomo del primo Novecento. Poi in nome di quella chiamava ‘vera scienza e ‘vera filosofia’, il suo è un invito costante e pressante ad uno sforzo maggiore di riflessione critica che integri in una visione d’insieme le tre dimensioni dell’uomo racchiuse nel titolo dell’ultimo lavoro, La scienza, l’appello alla religione e lavolontà umana, per andare al di là del pensiero positivistico degenerato in posizioni scientistiche e considerate un tradimento dei valori etici e teoretici del pensiero umano.
La sua riflessione è la drammatica testimonianza di una ricercatrice che, dopo aver per tutta la vita combattuto per una filosofia della ‘vera scienza’, si trova a vivere sulla sua pelle gli esiti disastrosi delle visioni riduttivistiche di essa che l’hanno condotta ad essere di supporto a ideologie di stampo totalitario ingigantite dall’hybris assegnata alla tecnica; ma il suo percorso, infatti, non sfocia nel rifiuto della scienza e della tecnica, ma ci dà un pensiero più responsabile, ed è quasi un intero inno di gioia razionale per costruire un itinerario di pensiero pioniere della complessità e per continuare a pensare dopo Auschwitz con le scienze e la tecnica. Ma in più Hélène Metzger ha incarnato le sue idee e ne ha dato una concreta testimonianza, fatto non secondario che fa la differenza: come ultimo ‘rimedio razionale’, irrobustito dall’aver mosso i suoi passi umilmente e silenziosamente nel mondo della complessità, pur potendo fuggire come hanno fatto tanti altri, si consegna deliberatamente con tutto il suo corredo teorico-esistenziale alle autorità naziste per combatterle con le sole armi che aveva a disposizione, quelle della ragione.