Cento anni fa si aspettava l’ultima giornata di uno strano campionato di calcio. Cento anni fa il girone finale viveva di incertezza con il Genoa al comando, sette punti, Torino e Internazionale a cinque, Milan a tre. Il 23 maggio 1915 il calendario prevedeva Genoa-Torino e il derby di Milano e lo scudetto era ancora in bilico: se sia Inter che Torino avessero vinto, per assegnare lo scudetto si sarebbe dovuto prevedere uno spareggio a tre!

Ma, cento anni fa, il 23 maggio 1915, l’Italia entra in guerra. Quella che era alle porte in tutta Europa, diventa una realtà anche nostra. Non si scende in campo, ma si scende in battaglia. Alla Nazione viene letta una dichiarazione di conflitto contro Austria e Ungheria. Negli stadi italiani viene declamato un telegramma della Federazione:

In seguito mobilitazione, per criteri di opportunità, sospendesi ogni gara”.

Una sorta di “spot” in luogo dello sport.

A novanta minuti dalla fine i giocatori diventano soldati, non si parte per una trasferta, ma per il fronte del 24 maggio. Le maglie diventano divise, i palloni proiettili e i campi di gioco campi minati. Quei volti orgogliosi nelle foto di squadra saranno facce segnate da trincee e paure.

In pochi mesi il Milan perde dodici calciatori, ventisei i morti dell’Internazionale, metà dei giocatori di Verona e Udinese non fece ritorno, come pure non tornarono il portiere Gnecco, l’ala Marassi, l’attaccante Sussone e il terzino Casanova del Genoa. Non disputarono più quella partita mai cominciata nel 1915.

Solo sei dei grifoni erano presenti nel 1921, quando quei sette punti del Genoa significarono scudetto e fine delle ostilità.

Si può essere competitivi ovunque, forse sfidarsi è addirittura necessario al progresso, ma ci piace pensarla come il Premio Pulitzer Carl Sandburg, un sommo poeta acceso dalla speranza che “un giorno faranno una guerra e nessuno vi parteciperà”.


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.