Le dichiarazioni ufficiali dei governi occidentali annunciano una “soluzione diplomatica” della crisi libica. D’altra parte, l’Egitto è già autore di raid aerei e di un blitz via terra, a Derna, in Libia. Sempre l’Egitto preme per un’operazione militare, coordinata dall’ONU, che potrebbe vedere a capo proprio l’Italia. Forse siamo già in guerra. E non lo sappiamo.

Fino a qualche giorno fa, il Governo italiano sembrava voler annunciare un imminente attacco in Libia. Poi, tre giorni fa, il ministro degli Esteri Gentiloni ha dichiarato che l’Italia lavora per una “soluzione diplomatica”. Ieri l’altro, lo stesso Ministro ha dichiarato: “La situazione si sta aggravando. Ed è evidente il rischio di una saldatura tra gruppi locali e Da’esh [acronimo spregiativo per “Stato Islamico di Iraq e Siria” o “Stato Islamico del Levante” (meglio noto come “Isis” o “Isil” o anche solo “Is”)”, ndr]”. Gentiloni ha aggiunto: “Il tempo a disposizione non è infinito e rischia di scadere presto […]. L’Italia è pronta ad assumersi una responsabilità di primo piano e contribuire al monitoraggio del cessate il fuoco, al mantenimento della pace, a lavorare per la riabilitazione delle infrastrutture, per l’addestramento militare, per sanare le ferite della guerra”. Insomma: “dire che siamo in prima fila contro il terrorismo non vuol dire essere alla ricerca di avventure militari”.

Sempre due giorni fa, Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia e Spagna hanno reso nota una dichiarazione congiunta per condannare il terrorismo dello Stato islamico (Is) e ribadire la necessità di riappacificare le fazioni antagoniste in Libia al fine di far nascere, col sostegno della comunità internazionale, un governo di unità nazionale.

Allora, niente guerra? Si spera. Anche se non siamo così ingenui dal ritenere che la guerra non sia, per tanti, un vero affare. I cacciabombardieri devono, ciclicamente, sganciare i loro carichi di morte: altrimenti, come giustificare un Occidente che, mentre taglia la spesa sociale, vede crescere quella militare? Le bombe si fanno. Le bombe devono esplodere. Tutto qui. Dura lex, sed lex: quella del mercato. Delle armi.

Piacerebbe essere smentiti. Ma guardiamoci un attimo attorno e chiediamoci se la “terza guerra mondiale a macchia di leopardo”, come la chiama quel no-global di papa Francesco, non sia già una realtà.

Certo, dire apertamente che siamo o che intendiamo entrare in guerra non suona “politically correct”. Meglio parlare di un “intervento militare umanitario”, termine moderno che ha preso il posto di quello che una volta si chiamava “crociata”, con tanto di laica benedizione (alias “risoluzione”): non più di un papa, ma dell’ONU.

Intanto, l’Egitto, per interesse più che per paura, si è già accollato il “lavoro sporco”: USA e Europa, per il momento, possono stare a guardare. Poco male se il Presidente egiziano al-Sisi, in altri tempi, sarebbe stato definito un crudele “dittatore”. Meglio chiamarlo “fedele alleato” e far finta di dimenticare che è giunto a capo del Governo egiziano con un golpe e che da allora, in appena un anno e mezzo, ha fatto assassinare almeno 1500 oppositori, facendone arrestare oltre 15000.

E così, dai microfoni della francese radio Europe 1, il presidente al-Sisi ha potuto predicare: “Non c’è altra scelta, è il popolo e il governo libico che ci chiede di agire. Dobbiamo sconfiggere il terrorismo”.

Insomma, l’ONU guarda, l’Egitto agisce, si tenta di ricompattare le forze libiche anti-Stato islamico e una più vasta azione di guerra, che coinvolga la comunità internazionale, sembra al momento scongiurata.

Ovviamente: mercato delle armi e interessi per il petrolio libico permettendo. Quest’ultimo, infatti, fa gola soprattutto alla Francia, ma è noto che l’Italia consideri da sempre il territorio libico come una sorta di “riserva di caccia” su cui esercitare un diritto di prelazione. Facile prevedere che, se azione ONU sarà, Renzi e i suoi faranno di tutto per esserne a capo. E magari avere un’occasione in più per frenare la demagogia razzista di Salvini che, intanto, ha campo libero nei suoi predicozzi contro i barconi di clandestini.

Nel frattempo, magari Putin se la ride: ci facciamo “distrarre” dal Mediterraneo e dimentichiamo l’Ucraina. “Va tutto ben, madama la Marchesa”.

Quasi dimenticavamo: intanto, la Palestina e il suo diritto ad essere riconosciuta come Stato possono attendere. Il Parlamento italiano ha altro per la testa e il voto, previsto mercoledì scorso alla Camera, guarda caso è slittato per l’ennesima volta. Renzi, ancora ierisera, a “Virus”, su Rai2, ha dichiarato che il rinvio è giunto “opportunamente”. Netanyahu ringrazia: ci mancherebbe che con l’intervento “umanitario” ormai imminente in Libia, ci mettessimo pure a pensare ai diritti umani dei Palestinesi!


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