Il sito www.avaaz.it ha lanciato un significativo quanto allarmante appello per un’altra grande ingiustizia che si sta consumando, in nome del capitale e dei grandi interessi economici, e che mira a calpestare i diritti fondamentali delle popolazioni.

Questa volta tocca all’Uruguay, piccola realtà del Sud America, attaccata dal gigante del tabacco, Philip Morris, sul tema della prevenzione al fumo. A determinare questa reazione, è una politica adottata in maniera pura e dura dal Governo, con la iper-segnalazione dei danni provocati dal fumo sulle confezioni di sigarette.

L’Uruguay è stata guidato fino a pochi mesi fa da una mitica figura della politica, José Alberto Mujica Cordano, detto Pepe; un passato da giovane rivoluzionario militante nel movimento dei Tupamaros, contro la dittatura militare del periodo 1973-85. Una quindicina d’anni trascorsi in carcere da ostaggio, sotto la continua minaccia di esecuzione. Nel 2010, eletto Presidente, ha riversato nel Governo tutti i suoi principi, conseguendo un ampio consenso della popolazione per l’impegno attuato in concreto aiuto della povertà e per la ripresa della economia che oggi risulta consolidata da un consistente 23% di aumento di salari e pensioni, da una disoccupazione al 6,8% (in Italia è pari circa al doppio), dal conseguimento di una autonomia energetica.

Tra i suoi provvedimenti, anche una decisa lotta al tabagismo che ora è vista dalla Philip Morris come obiettivo importante da abbattere, per far ripartire una cultura del tabacco nella direzione contraria e per un ritorno alla libera promozione del fumo nel resto del Mondo.

«In Uruguay prima della “cura” fumava il 45% della popolazione, oggi, grazie al massiccio intervento legislativo anti-fumo, la percentuale è crollata al 23%. Al 13% tra i giovani, che continuano ad abbandonare il ricorso alle bionde» (il Sole 24 ore).

Sede di questo scontro non è un regolare tribunale civile o amministrativo, ma una istituzione quanto mai anomala e pericolosa per il futuro delle nazioni, l’ISDS (Investor-State-Dispute-Settlement), cioè la “risoluzione delle controversie tra investitore e stato” .

Un trattato internazionale (TTIP) consentirebbe alle aziende di fare causa ai governi citandoli davanti a un collegio arbitrale di avvocati esperti di diritto societario. Un collegio dove le altre parti non avrebbero alcuna rappresentanza, e che non sarebbe soggetto a un riesame dell’autorità giudiziaria.

È assurdo e fuori da ogni inviolabile principio che regola la convivenza ed i diritti fondamentali dei popoli, qual è quello di tutelare la salute dei cittadini, che una multinazionale possa far annullare leggi che proteggono la salute dei cittadini, sulla base di un semplice parere di tre avvocati e senza appello.

Così ha commentato uno di questi legali: «Quando penso all’arbitrato, mi stupisco sempre che degli stati sovrani abbiano potuto accettarlo. Tre privati cittadini ricevono il potere di vagliare, senza alcuna restrizione o procedura di appello, tutte le azioni del governo, tutte le decisioni dei tribunali e tutte le leggi e i regolamenti approvati dal parlamento» (internazionale.it).

Il Davide dei Paesi latino-americani (come hanno definito l’Uruguay le testate giornalistiche) ha osato sfidare il Golia delle multinazionali, ed ora deve difendersi dall’aggressività e dal soverchiante potere economico del gigante svizzero.

Questo, peraltro, non è il primo allarmante caso di prevaricazione del potere economico su quello pubblico e sociale. Infatti: «l’azienda petrolifera Occidental ha ottenuto un risarcimento di 2,3 miliardi di dollari dall’Ecuador che aveva revocato la concessione per le trivellazioni in Amazzonia dopo aver scoperto che la compagnia aveva infranto la legge. La svedese Vattenfall è in causa contro il governo tedesco, responsabile di aver rinunciato all’energia nucleare. Un’azienda australiana ha presentato una causa da 300 milioni di dollari contro il governo di El Salvador per non aver dato le concessioni di sfruttamento di una miniera d’oro che rischia di inquinare l’acqua potabile» (George Mombiot- internazionale.it).

Sono conferme della drammatica evidenza che il potere economico non si ferma davanti a nulla e non ha scrupoli di sorta, pur di difendere i propri interessi e incrementare il mercato. A questo punto si evidenzia decisamente la colpevole inerzia o, se vogliamo, la condiscendenza dei Governi, in particolare quelli la cui strategia di crescita si regge sulle grandi multinazionali e su una politica di continua aggressione dei mercati.

È ora che i governi si accorgano del precipizio verso cui si dirigono, e le politiche prendano iniziative serie per riposizionare l’economia e tutto il potere finanziario che vi ruota intorno, in un ruolo secondario rispetto ai diritti fondamentali delle popolazioni che sono, semplicemente ed imprescindibilmente, quelli della salute, dell’ambiente sano, della pace e dell’autodeterminazione alle scelte di sviluppo economico.

La Storia è testimone dei danni che il capitale ha prodotto, e le ferite che ha causato alla Terra, soprattutto infierendo colpi mortali nella aree più arretrate e deboli. I disastri provocati sono enormi e non basterebbe tutto il Pil del mondo per risarcirli – se pensiamo alle guerre ed alle rovinose lacerazioni sociali portate in Africa per lo sfruttamento delle risorse minerarie e non, alla devastazione delle grandi foreste dell’America latina, alle guerre del petrolio in Medio Oriente, alla cultura della corruzione per guadagnarsi i favori dei Governi.
Non possiamo e non vogliamo immaginare, per i nostri figli e nipoti, il futuro di una Umanità controllata e condizionata dalle leggi del mercato, dove tutto può essere giustificato in nome del profitto a tutti i costi.