È il Transatlantic Trade and Investment Partnership, detto altrimenti Paternariato transatlantico, ossia un accordo commerciale di libero scambio che si sta cercando di raggiungere fra Unione Europea e Stati Uniti d’America. Come si legge sul sito della Commissione Europea l’idea di un accordo simile, con questi connotati, è nata nel 2011 per dare nuova spinta all’economia mondiale visto il persistere della crisi e lo stallo in cui versava l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Il TTIP prevede l’eliminazione di ostacoli commerciali fra USA e UE (tariffe, normative, restrizioni agli investimenti) nei più disparati settori del mercato, così da facilitare la compravendita di beni e servizi.
I negoziati, per i quali il governo Renzi (a cui in questo semestre tocca la presidenza dell’UE) si sta molto spendendo, dovrebbero chiudersi entro fine 2014. Sono dunque tuttora in corso e la Commissaria UE al commercio internazionale, la svedese Cecilia Malmstrom, solo 10 giorni fa ha assicurato che il TTIP si farà, blindandolo nei confronti di qualsiasi voce critica. Eppure voci critiche ce ne sono, e non sono poche, forse perché il trattato non comporterà per gli europei tutti i vantaggi che vogliono farci credere. Una delle voci critiche più autorevoli è sicuramente quella del Premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, che in proposito ha detto che “ciò che si vuole otte­nere con que­sto accordo non è un miglio­ra­mento del sistema di regole e di scambi posi­tivo per i cit­ta­dini ame­ri­cani ed euro­pei, ma garan­tire campo libero a imprese pro­ta­go­ni­ste di atti­vità eco­no­mi­che nocive per l’ambiente e per la salute umana”.

Secondo il Premio Nobel è anche per questo che le trattative si starebbero conducendo praticamente in segreto, ed è altrettanto per questo, per squarciare la coltre opaca sotto la quale si sta tramando, che sabato 11 ottobre è stata indetta la giornata di mobilitazione internazionale per opporsi al trattato la cui sottoscrizione sembra incombere. Che si propenda per il “si” o per il “no”, è innegabile che la ratifica di un accordo come il TTIP inciderà sulla vita di noi europei. Il nostro governo nazionale e continentale non solo non ha chiesto il parere di noi cittadini su una scelta tanto cruciale, ma neanche ci ha presentato i punti sui quali il trattato inciderà. Dunque, brevemente, eccoli.

1. Con il TTIP si istruirebbe anche l’ISDS (Investor – State Dispute Settlement), cioè un organismo di risoluzione delle controversie presso il quale le aziende potrebbero far causa ai governi che ostacolano i loro interessi alimentando il predominio del mercato sulla politica che già oggi sembra spropositato. In questo modo le leggi pubbliche saranno per forza subordinate ai capricci del mercato (e sappiamo quanti questo possa averne).

2. Grandi modifiche subirebbe il mercato dell’alimentazione a cui l’Italia, come è noto, è particolarmente legata. Sarà impossibile vietare gli OGM, gli ormoni per il bestiame e i pesticidi, tutta roba legale negli Stati Uniti. Sarebbero così destinati a sparire prodotti DOP, IGP e tutti quei marchi che tutelano qualità e territorialità del prodotto.

3. Sarebbero soggetti a privatizzazioni selvagge i settori dell’energia, dei trasporti, delle telecomunicazioni. Aziende statunitensi potrebbero ad esempio contestare legittimamente l’esito del referendum italiano del 2012 che sanciva l’acqua un bene comune, in base a principi della legislazione Usa per cui l’acqua è una merce qualunque. Altre aziende potrebbero contestare la legge francese che vieta il fracking (frantumazione in profondità alla ricerca del gas) poiché ostacola i loro interessi. I giganti delle telecomunicazioni potrebbero impossessarsi dei nostri dati bypassando le leggi europee sulla privacy.

4. Ci sarebbero rischi per il già martoriato mondo del lavoro se dovessero essere presi a modello i parametri americani i quali non prevedono contratti nazionali né normative antidiscriminatorie.

Come nota Alfredo Somoza, giornalista alle cui riflessioni abbiamo attinto per questo articolo, le coordinate del TTIP sono le stesse sulle quali in un recente passato si progettò l’ALCA, altro trattato di libero scambio proposto dagli Usa ai paesi latinoamericani e per fortuna naufragato. In altre parole l’effetto generale sarebbe quello di un appiattimento del modello sociale europeo su quello americano, cosa che ridimensionerebbe ancora di più l’autonomia dei nostri governi nazionali che già soffrono delle limitazioni delle politiche di austerità.

Il 20 ottobre grazie alle mozioni presentate da Sinistra, Ecologia e Libertà e dal Movimento 5 Stelle si discuterà di TTIP alla Camera per provare a dare all’argomento una sua trattazione pubblica. Il problema, infatti, non sembra essere meramente economico ma, ancora una volta, politico. L’Europa deve scegliere se diventare Occidente estremo dando nuova linfa all’azione di americanizzazione del mondo esploso dopo il 1989 ed oggi un po’ in difficoltà, o guardasi sulla cartina e scoprirsi protuberanza d’Oriente tutta ripiegata sul Mediterraneo. Un Mediterraneo da cui ripartire, cercando autonomamente i modi in cui meglio “declinarsi”, invece di “chinarsi” e basta.