Chi intravedeva una battaglia al “Sinodo sulla famiglia” tra progressisti e conservatori, pronosti­cata con enfasi da vari mass media, è stato deluso; anche se, pochi giorni prima dell’assise vatica­na, sono state sparate tutte le cartucce disponibili: libri, interviste, conferenze e lettere varie. L’intento era il tentare di far breccia nell’opinione pubblica (laica, ma soprattutto ecclesiale) e di trovare so­stegno alla propria visione della “famiglia”. Ma il voler monopolizzare il “Sinodo sulla fa­miglia” intorno al tema dei divorziati risposati e al loro accesso ai sacramenti è estremamente ri­duttivo… anche se è una questione di cui la Chiesa deve assolutamente prendere consapevolez­za. Occorre però chiarire una cosa: qui non parliamo di una categoria, ma di tante storie, spesso drammatiche, di coppie che chiedono di essere avvicinate, sostenute, com­prese, non maltrattate né tantomeno condannate al rogo.

 

In proposito, più che la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio, quale sommo valore verso cui tendere attraverso un graduale cammino a tappe, in discussione è la disciplina ecclesiastica, cioè il modo con cui la Chiesa si relaziona attraverso le sue norme con un problema oggi sempre più dif­fuso; e le norme possono cambiare in relazione ai tempi ed alle condizioni storiche, come è già successo varie volte nella storia della Chiesa intorno a svariati temi: la sfida lanciata da papa Francesco, aperto e in ascolto dei tempi come nessun altro, è un vero atto di coraggio!

 

In un passato non troppo lontano, parlando di famiglia, la Chiesa a volte si è impantanata in minu­ziosi precetti che, forse, mettevano in ombra la grandezza e la ricchezza del sacramento: in propo­sito non è possibile insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi; la famiglia sta subendo delle trasformazioni radicali con cui bisogna rela­zionarsi: basti pensare che per alcuni è soltanto un contenitore di legami frutto di scelte soggettive.

 

Il sociologo Giuseppe De Rita afferma che viviamo in un tempo di “egolatria”, cioè il culto dell’io, che sta ritagliandosi degli spazi anche nell’ambito giuridico e legislativo alla ricerca di una propria legittimazione, con la conseguenza che tutto ciò che riguarda il noi viene considerato sempre meno dalla cultura, dal diritto e dalla legislazione. Il pericolo che si sta correndo è l’aver imbroccato un percorso, peggio… un vicolo cieco, in cui l’individuo ha tutti i diritti e, forse, nessun dovere nei confronti del “noi”. Per questo bisogna stare attenti a non spingere troppo l’acceleratore su quell’io che, guarda caso, solo nella lingua inglese è scritto con la lettera maiuscola.

 

Lasciarsi interrogare e quindi provocare dalle coppie ferite e con tenerezza farsi “compagni di viaggio” con tutti i mezzi che la spiritualità può offrire, consci che l’eucaristia non è il sacramento dei “perfetti” ma di coloro che sono in cammino, equivale ad avviare un processo di discernimento ecclesiale non esente da pericoli: il rigidismo e l’intransigenza, irrispettosi della storia di tanti, sono sempre stati dei pessimi consiglieri e non hanno mai costruito futuri.

Elia Ercolino