«La felicità nelle persone intelligenti è la cosa più rara che conosco»

(Ernest Hemingway)

Affideresti la tua vita ad un’autista ubriaco o ad un chirurgo a cui tremano le mani? E ti fideresti di un professionista di qualsivoglia genere, ma palesemente non all’altezza del suo compito?

Non è difficile immaginare la risposta.

Ora, per la stessa ragione che ti induce a ritenere che non sia saggio salire su di un taxi se il conducente evidentemente non sta bene, ti chiedo: e cosa ne pensi degli infelici?

Sì, hai letto bene: degli infelici.

Per l’esattezza, di quegli infelici che possono incidere nella vita altrui, ma non accettano la propria.

Penso a insegnanti, dirigenti, governatori, di ogni livello e di ogni categoria.

La lista è lunga, dolorosa e politicamente scorretta.

Ovviamente penso anche ai genitori.

Penso a quelle persone che faticano a volersi bene, che non hanno raggiunto un livello accettabile di libertà interiore, che non si tollerano ed esattamente per questo possono rovinare la vita altrui: a cascata e a catena, con effetti tanto più devastanti quanto più grande è il loro potere. E la loro responsabilità.

Ecco perché, a mio folle e modesto avviso, il diritto alla felicità, previsto nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America, nel 1776, e poi ripreso dal Dichiarazione francese sui diritti dell’uomo, nel 1789, dovrebbe essere inscritto anche nella nostra Costituzione: ma come dovere.

Sì, il dovere di essere felice per tutti coloro che, in funzione del loro ruolo, possono determinare la felicità o l’infelicità delle persone loro affidate.

Un insegnate in-segna: pone “un segno dentro”, che può essere di vita o di morte, di libertà o di schiavitù.

Un dirigente dirige, guida verso una meta: non può rimanere accecato dall’oscurità che si porta dentro.

Un governante guberna ovvero: deve essere in grado di dirigere una nave in alto mare e tra le tempeste, non a sbattere contro le secche di una guerra o di scelte politiche che si ritorcono contro l’uomo e la comunità.

Un genitore, che te lo dico a fare, genera, cioè “dà origine” ovvero: non stronca, apre la via, non si sostituisce, accompagna, non ingabbia, libera, non si sostituisce, educa alla responsabilità, non difende a priori e per partito preso.

Esempi troppo a largo raggio e generici, i miei. Temo di non riuscire a dirti tutto quel che sento.

Ma ci riprovo.

Io penso che non ci si possa occupare della vita altrui se non si è almeno in grado di provare a gestire la propria. Io penso che di negatività in giro se ne veda anche troppa e che non se ne può più. Io penso si debba far leva sulle persone positive e che avvertono il dovere di esserlo. Io penso che solo chi sta bene possa far del bene. Io penso che non si possa occupare, a qualsiasi livello, del bene comune chi non è in pace con se stesso. E non è libero. E felice. Anche e nonostante, anzi “attraverso”, le proprie fragilità e contraddizioni.

Infine, io penso che per servire si debba avere una visione e che la si debba inseguire tenacemente. Sennò, non solo non si è utili: si diventa dannosi. Nocivi. Persino letali.

Io penso anche che un bel giorno, caro lettore, adorata lettrice, smetterai di leggermi. E può star bene. Purché tu sia felice.

Tenzin Gyatso: «Finché non avrete la disciplina interiore che mantiene calma la mente, per quante comodità esteriori possiate avere, non riuscirete mai a sperimentare quel sentimento di gioia e di felicità che andate cercando».

Etty Hillesum, in un lager: «Sono in uno stato d’animo così singolare. Sono proprio io a scrivere qui, così tranquilla e matura – qualcuno mi potrebbe capire se dicessi che mi sento così stranamente felice, non in modo artificioso o altro, ma in tutta semplicità, perché mi sento crescere dentro dolcezza e fiducia, di giorno in giorno? Perché tutta la confusione le minacce e i pesi non mi portano neanche per un momento all’alienazione mentale? Perché continuo a vedere e a sentire la vita così chiara e nitida in tutti i suoi contorni».

Theodor Roosevelt: «Nessuno può farti sentire infelice se tu non glielo consenti».


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