Un uomo di un cinismo insopportabile e letale per l’Italia, altro che prima gli italiani

Lancia il suo video-messaggio con sprezzo del ridicolo. Basta ascoltarlo: “I giudici sanno dove trovarmi, sono pronto a farmi processare, difendo i confini e la sicurezza della patria, i ventinove bambini scendano pure, ma non gli adulti vaccinati e palestrati…”, insomma quelli della “pacchia”, che esclude i minori.

E perché li esclude, perché il ministro dell’Interno è buono? No, semplicemente perché il pubblico ministero, che indaga sui migranti tenuti in ostaggio dal duo Salvini-Toninelli, ha ordinato che i minori fossero immediatamente sbarcati. Davanti a questa figura di palta, il ministro da osteria parla come se fosse Cesare Battisti, pronto al cappio per la nuova indipendenza dall’Austria: prima gli italiani.

I 177 migranti bloccati nel porto di Catania minaccerebbero la sicurezza e i confini dell’Italia, però viaggiano su nave italiana, con personale italiano, volontari ai quali Salvini non potrebbe neanche allacciare i calzari.

Naturalmente il Nostro li descrive come guerrieri pronti alla pugna, e sennò perché sarebbero anche palestrati? Tutto questo mentre l’Europa si sta attivando per aiutarci. Ma a Salvini non interessa l’Europa, lui vorrebbe uscirne per difendere i confini con la bomba atomica contro la pacchia continua. A lui interessa continuare a spargere paura, a spaventare nei sondaggi gli utili idioti come Di Maio e Toninelli, i grillini che alla bisogna si prestano volentieri. Al punto che le flebili proteste umanitarie di Fico cadono come foglie al vento, e parliamo del presidente della Camera, la terza carica dello Stato.

Salvini è un uomo di un cinismo insopportabile e letale per l’Italia, altro che prima gli italiani. Mattarella, da par suo, invia un messaggio augurale per l’apertura del Festival di Venezia, ma comunica che Lui, in segno di lutto per le vittime di Genova e del Pollino, non parteciperà alla cerimonia di apertura. Salvini, no, altro uomo, si fa per dire, altro stile. Salvini, la sera della catastrofe di Genova, era a Messina a gozzovigliare con i suoi simili, senza un filo di vergogna, senza sentire il bisogno di chiedere scusa.

Scuse? Lui preferisce i selfie con la massa di pecoroni che sta lì ad ascoltarlo come un oracolo. Il problema è proprio questo: finché ci saranno i pecoroni, i ministri da osteria ingrasseranno fino a scoppiare. Speriamo.


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Pugliese errante, un po’ come Ulisse, Antonio del Giudice è nato ad Andria nel 1949. Ha oltre quattro decenni di giornalismo alle spalle e ha trascorso la sua vita tra Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove abita. Cominciando come collaboratore del Corriere dello Sport, ha lavorato a La Gazzetta del Mezzogiorno, Paese sera, La Repubblica, L’Ora, L’Unità, La Gazzetta di Mantova, Il Centro d’Abruzzo, La Domenica d’Abruzzo, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a direttore. Collabora con Blizquotidiano.  Dopo un libro-intervista ad Alex Zanotelli (1987), nel 2009 aveva pubblicato La Pasqua bassa (Edizioni San Paolo), un romanzo che racconta la nostra terra e la vita grama dei contadini nel secondo dopoguerra. L'ultimo suo romanzo, Buonasera, dottor Nisticò (ed. Noubs, pag.136, euro 12,00) è in libreria dal novembre 2014. Nel 2015 ha pubblicato "La bambina russa ed altri racconti" (Solfanelli Tabula fati). Un libro di racconti in due parti. Sguardi di donna: sedici donne per sedici storie di vita. Povericristi: storie di strada raccolte negli angoli bui de nostri giorni. Nel 2017 ha pubblicato "Il cane straniero e altri racconti" (Tabula Dati).