Fino al prossimo incontro…

Viaggiare per Arthur era sempre un’esperienza metafisica. Gli bastava entrare in stazione, vedere il treno arrivare, salirci su e, al chiudersi delle porte automatiche, lui era già partito per molto lontano, nel passato, nel presente, nel futuro.

Era però il passato la sua meta preferita. Specie se il treno superava vagoni parcheggiati su binari morti: ogni finestrino, ogni sedia vuota, ogni disegno lasciato dai writers sulle pareti delle carrozze o sui muri vicini, lo portava a immaginare le storie, gli amori, i dolori ospitati su quelle vetture.

Perché ogni poltrona su un treno ha ospitato milioni, miliardi di storie. Se potesse parlare, racconterebbe di amori sbocciati e di altri finiti. Di vite che nascono e di altre che muoiono. Di partenze e addii. Di arrivi e abbracci.

È proprio così un treno, ricettacolo di vite, pensava Arthur. E intanto viaggiava…

– Buongiorno, è libero?

– Certo, si accomodi pure, rispose Arthur alla bella signora che gli aveva rivolto la parola.

Aspetto ben curato, età stimabile sugli “anta”, ma portati bene. Dava l’impressione di una che la vita l’aveva vissuta davvero, l’aveva attraversata e non solo subita. Le aveva impresso una direzione, anche se, si sa, non sempre sei tu a decidere le fermate: a volte ci sono guasti imprevisti, ritardi, incidenti… Altre volte sei addirittura in anticipo e rischi comunque di mancare l’incontro.

– La vedo pensoso, un viaggio lungo, il suo?

Arthur non ci poteva credere, si era subito offerto di aiutare la signora a sistemare il bagaglio, aveva risposto “Si figuri”, al suo sincero ringraziamento, ma nulla di più: non si era certo immaginato di dover sostenere una conversazione. Ormai, sui treni, non dialoga più nessuno. A far passare il tempo che dicono non passi mai, e invece mai si arresta, basta e avanza uno smartphone con cuffie annesse. Si smanetta, si chatta, si messaggia, si ascolta musica e così non si deve far la fatica di conoscere altre persone e di farsi riconoscere. Di raccontare storie e di ascoltarne di tristi e felici, mentre tu hai già i tuoi di pensieri…Ecco, pensò Arthur, oggi è più facile viaggiare da soli. Ieri si era quasi costretti a parlare, oggi no, ma mo’ questa che vuole? Ok, appare distinta e gentile, ma io vorrei stare per i fatti miei, da dove le viene di chiedermi se sono pensoso? Lo sono stato sempre, io, e con ciò? Tu pensi troppo, mi diceva sempre un mio maestro, dovresti lasciarti andare di più… Ci ho provato e certo che ci ho provato. Ho provato a essere più superficiale, a lasciarmi andare, a fregarmene che così campi cent’anni di più, ma non riesco a rimanere indifferente e neanche a far finta di esserlo. Mi appassiono, mi infervoro, mi incazzo. Se vedo che è una cosa è ingiusta, devo denunciarla. Se vedo un pericolo, devo intervenire. E non fa niente se sono in minoranza, se i più si adattano a seguire il corso e magari ci credono pure che quello che fanno è giusto. La verità non ha tra i suoi prerequisiti quello di essere democratica. Se una cosa è vera, lo è a prescindere, mica a condizione che i più la riconoscano. Immaginati tu se Einstein avesse dovuto aspettare di avere la maggioranza per rivoluzionare il mondo con le sue scoperte scientifiche. Immaginati tu Galileo, pensò Arthur. E del resto, Hitler, Mussolini e Stalin ce l’hanno avuta la maggioranza, ma non mi pare che ne abbiano fatto buon uso, pensò ancora Arthur…

– Mi scusi, l’ho disturbata…

– No, signora, mi scusi lei. È che non sono di natura un chiacchierone. Anzi no, non è vero, mi piace parlare con la gente, anche con persone come lei che incontro per la prima volta. È solo che quando viaggio mi partono i pensieri e allora non sempre mi è facile tener loro dietro…

– La capisco, sa? Viaggio e ho viaggiato molto anch’io. Il più delle volte da sola. E le confesso che, quando posso, scelgo un posto isolato sul treno, proprio per poter inseguire o meglio lasciar vagare i mei pensieri. Lei, però, non so perché, ha subito attirato la mia attenzione. Il suo fissare attraverso il finestrino, mi ha incuriosito e ho capito di avere incontrato un viaggiatore, non un semplice passeggero…

– Be’, così mi lusinga. Grazie mille! Però non ci siamo ancora presentati. Piacere, il mio nome è Arturo, ma gli amici mi chiamano da sempre Arthur…

– Piacere mio, Arthur: posso chiamarti come ti chiamano i tuoi amici?

– Ma certo!

– Grazie, allora tu chiamami Betty, come mi ha sempre chiamato la mia mamma e ora mi chiamano tutti. Anche se il mio nome completo sarebbe Maria Grazia Elisabetta!

– Wow! In effetti, un trinomio impegnativo! Decisamente più comodo Betty. Posso chiederle dove è diretta?

– Dammi del tu, ti prego. Non abbiamo già deciso di chiamarci come con gli amici?

– Giusto!

– Scendo alla prossima. Il mio viaggio questa volta è stato breve, ma, come vedi, ne è valsa la pena: ho fatto un vero incontro.

– Be’, mi spiace, ora che avevamo iniziato a conoscerci, già scendi. Potremmo scambiarci i contatti. Scambiarci l’amicizia su Facebook…

– No, Arthur, ti prego, lascia stare.

– Perché?

– Non chiedermelo. Il tuo essere un viaggiatore pensoso te lo rivela già…

Vero, pensò subito Arthur. Perché scambiarsi il contatto? Perché far finta di essere amici su un social? La verità di quell’incontro non era nella sua prosecuzione virtuale, in attesa di una “prossima volta” che non ci sarebbe mai stata. La verità di quell’incontro è che lui e Betty, per pochi minuti, avevano potuto incrociare l’uno lo sguardo dell’altra e si erano subito riconosciuti. Difficile spiegarlo, dargli un senso metafisico o di altro genere. Ma la verità non ha bisogno di essere capita né spiegata, per essere vera. Si ostina a essere se stessa, anche senza nessuno che la intenda. Anche se non è in maggioranza e odia i rapporti virtuali. Un po’ come accade ai viaggiatori pensosi.

Fino al prossimo incontro.


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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...