Teodoro Lorenzo è un ex calciatore professionista (giovanili nella Juventus, poi Alessandria), oggi avvocato.

La Voglino, una piccola casa editrice di Torino, ha pubblicato a dicembre la sua biografia dal titolo “RIMPALLI”.

Il libro racconta le sue esperienze calcistiche, dall’oratorio al professionismo, ma non solo. E’ la storia di un’adolescenza, se vogliamo un romanzo di formazione, con diverse divagazioni storiche e letterarie e considerazioni sul calcio di oggi.

Ciao, Teodoro. Da dove nasce l’esigenza di scrivere la tua autobiografia dal titolo “RIMPALLI”?

L’idea di scriverlo mi è nata, praticamente, il giorno dopo aver smesso di giocare, quindi oltre trent’anni fa. L’esperienza del calcio, che ho praticato dai dieci ai ventisei anni, era stata così assorbente e totalizzante, così densa di emozioni, che ho sentito immediatamente dentro di me il bisogno di sistemarle e trovarne una logica, se c’era.

Dalle giovanili della Juventus all’Alessandria. Com’è cambiato il calcio dai tuoi tempi ad oggi, e come ci si forma, attualmente, nella preparazione allo sport professionistico?

È così cambiato da sembrare addirittura un altro sport. Perfino il pallone è cambiato, le divise, le scarpe. È cambiato il modo di giocare ed anche il modo di raccontare il calcio. Sono cambiati i metodi di allenamento, si sono aggiunti ruoli e persone, in fondo, del tutto inutili e spesso dannosi. Ai miei tempi c’erano un allenatore e un dirigente accompagnatore, che poi era il direttore sportivo. Oggi attorno ad ogni squadra professionistica ruota un vortice di gente: procuratori, team manager, addetti stampa, preparatori, psicologi. Il mondo del calcio è l’unico ambiente nel quale i posti di lavoro non si sono persi ma si sono moltiplicati.

Quali sono le tre “C” necessarie per diventare un calciatore di Serie A?

Nel libro ho cercato di spiegarlo bene, e l’ho fatto con la ruvidezza del linguaggio che si usa nello spogliatoio di una squadra di calcio, che non è propriamente un salotto per signore. Ed allora le tre “C” sono queste, in ordine di importanza: coglioni, culo e capacità. Come vedi, contrariamente alla vulgata popolare, diffusa da chi non ha messo piede in un campo da calcio, la capacità è il requisito meno importante per arrivare al professionismo. Sono in molti a saper giocare, e con il tempo, la dedizione e il sacrificio, si può anche arrivare a migliorare, eppure in pochissimi tra loro arrivano. Ho visto nei miei anni di calcio, soprattutto nelle giovanili della Juventus, giocatori di tecnica sopraffina ma che poi si sono perduti nell’anonimato di campionati minori o addirittura hanno smesso. Perché la cosa più importante, requisito necessario e indispensabile, sono i coglioni. E quelli o ce l’hai o non ce l’hai. È qualcosa che non si insegna e non si impara: te li regala il Padreterno quando nasci e si sa che il Padreterno è molto parsimonioso in questo senso. Ti posso assicurare che sono pochi quelli che ce li hanno: i più millantano. Mi manca lo spazio adesso per spiegare nel dettaglio cosa significhi avere i coglioni ma rimando al libro per chi avrà la curiosità di approfondire l’argomento. E poi il culo: senza la fortuna non si va da nessuna parte. Ed anche in quello la volontà dell’individuo non svolge alcun ruolo. Per questo, per rispondere all’ultima parte della domanda precedente rimasta inevasa, non esiste un modo per prepararsi al professionismo. Decide tutto il dio Pallone: a pochissimi concede la sua benedizione; la stragrande maggioranza viene negletta e vituperata. Perché è un dio crudele.

Fra chi senti di dover “rimpallare” ringraziamenti e rimpianti?

Non ho nessuno da ringraziare: io appartengo alla schiera dei negletti e vituperati. Il dio Pallone non si è mai accorto di me, nonostante l’abbia amato con tutto me stesso fin dall’età di dieci anni. Come racconto nel libro, a 17 anni, giocando una partita in notturna ad Abbiategrasso – ero nella Primavera della Juve – mi sono fratturato il femore in uno scontro di gioco. Credo di essere stato l’unico giocatore della storia del calcio a subire un infortunio di questo tipo. Ma non ho nemmeno rimpianti. Perché delle tre “C” io in fondo ne avevo solo una: capacità. Non poteva bastare per aspirare a palcoscenici ambiziosi. Dovevo cambiare strada, e così ho fatto, anche se mi è costato: la verità quando la si guarda in faccia fa sempre male. Al raggiungimento della laurea ho smesso con il calcio e ho cominciato il percorso che mi ha portato a diventare avvocato, professione che poi ho esercitato per vent’anni.


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.