“Abbiamo perso il contatto con il reale. È necessario tornare a rivolgere lo sguardo alle cose concrete, modeste e quotidiane. Le sole capaci di starci a cuore e stabilizzare la vita umana”.
La frase citata in esergo è riportata in copertina nel testo Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale del filosofo coreano, ormai tedesco, Byung-chul Han. Al di là del suo nome quasi impronunciabile per un italiano, Han contempla quello che accade, ogni giorno, nel mondo della comunicazione digitale. In effetti il contatto con il reale, quello che vedi, senti, tocchi e credi di conoscere pienamente, sembra oggi sfuggirti, ammantato da un alone misterioso da sembrare, quasi, un velo di Maya. Se non li conosci e non ti riconosci nei social non puoi comprendere quanto mistero aleggi su questa fatticità del nostro vivere, su ciò che si conosce fin da piccoli e che crediamo a nostra disposizione. Qualche giorno fa, fra le prime notizie che apparivano su Google, c’erano le affermazioni presunte di un autorevole soldato americano che sosteneva al Congresso che gli Stati Uniti conservino resti biologici non umani presumibilmente provenienti da altri pianeti e galassie. Il che è risultato subito interessante per chi scrive, cresciuto con le serie di Star Trek dove il buon comandante Picard sfida alieni ostili e mette in campo arti diplomatiche degne di un Metternich o dove gli alieni del Dominio o dei Borg tentano sempre di infiltrarsi nei meandri della Federazione Unita dei Pianeti per distruggerla.
Ma la notizia di cui sopra mi ha destato attenzione. Vuoi perché resto scettico sul fatto che di colpo si possano abbattere distanze spaziali enormi in poco tempo, vuoi perché non essendoci ad ora prove effettive e scientifiche non puoi metterti lì a discutere su ciò che sia vero oppure no. E quindi, andando a rifletterci più filosoficamente su mi sono chiesto: ma esiste ancora il senso della scoperta, del non compreso? Si può ancora essere spinti al di là di quello che facciamo quotidianamente per andare in cerca del Mistero? Per questo mi avventuro nella fantascienza per immaginare? Possiamo uscire da un mondo fatto di immagini per vedere il vero lato del reale? E poi…perché sono giunto qui, se cercavo in realtà altro? Ma sarà vero? E da qui la questione verità.
Beh, insomma, non ce la passiamo in effetti molto bene su questo campo. È da dirlo chiaramente. A parte buoni spunti che ti vengono da pagine Youtube come Parabellum, dove esiste rigorosità storica, ospiti di grande rilevanza anche accademica e passione, se pensi alla guerra in Ucraina il passaggio fra post pro russi e post pro ucraini su Twitter mostra due realtà (e due verità) completamente differenti, in cui anche una sola immagine di carri armati ucraini distrutti passa per una sconfitta senza attenuanti per i pro Putin oppure per un piccolo errore di manovra per i pro Zelensky. Propaganda spicciola si potrebbe concludere, e nemmeno a torto. Ma è il gioco delle parti, dove la mancata conoscenza delle strategie militari e un bel po’ di ideologia si mescolano fra loro. Ma la verità è che in un conflitto muoiono migliaia di persone, innocenti spesso inermi di fronte a bombe intelligenti che mostrano la propria magnificenza elettronica nello straziare scuole ed ospedali. La guerra i nostri nonni l’hanno combattuta, ne conoscevano la realtà e la comprendevano. Avevano perfino paura di raccontarla. Ma più ci si allontana da un periodo brutto più il brutto appare affascinante. Lo hanno vissuto i nostri antenati al periodo della Belle époque di fine Ottocento, e questi credevano che mai nessun altro conflitto avrebbe potuto colpire l’umanità e che l’ottimismo scientifico avrebbe imperato. Questo era il panorama culturale dove, invece, giunse un conflitto tragico. E dove anche l’illusione di controllare le forze della natura portò all’affondamento del Titanic e all’epidemia della Spagnola del 1918-1920. È passato fra l’altro poco tempo da quando il piccolo batiscafo Titan è imploso vicino ai resti del transatlantico, per molti di Jack e Rose. L’uomo cercava ancora una volta di superare la propria realtà, andando a controllare le forze della natura. Per poi soccombere. Ma Jack e Rose erano veri? Stranamente su Google negli stessi giorni apparivano gli spezzoni del film di Cameron. Un caso? Per moltissimi sì, Jack e Rose hanno avuto davvero una relazione finita tragicamente, salvo poi arrendersi a una evidenza storica che dice altro ma che toglie ogni illusione e sogno.
Ecco, a dimostrare che in questo tempo non abbiamo più coscienza del reale. Ma come? Non è forse vero che un sottomarino è esploso, che i morti ci sono stati? Certo, a quanto ne sappiamo. Ma ecco lì il contraltare, duro e severo, di uomini traghettati in Europa che, dopo viaggi durissimi e pericolosi, trovano la morte nel Mediterraneo. Le vignette di un piccolo Titan cercato da navi ed elicotteri da un lato e di barconi (non cercati) pieni di umanità all’inverosimile dall’altro, perché non si è capito a che Stato fosse rivolta la chiamata, se fosse necessario distinguere il porto di approdo, sono a dimostrarlo. Ed ecco quindi come Han risulti utile. Scrive il filosofo:
“Oggigiorno, le prassi impegnative vanno scomparendo. Anche la verità è impegnativa. Quando un’informazione scaccia l’altra, ecco che non abbiamo più tempo per la verità. Nella nostra cultura dell’eccitazione post-fattuale, la comunicazione è dominata da impulsi ed emozioni forti, che al contrario della razionalità sono poco persistenti in termini temporali. Per cui destabilizzano la vita”[1].
Il problema quindi è che la verità non ha più tempo. Il Titan prendeva di più, ti trascina giù nelle emozioni più di altre notizie. Persino i missili russi erano la terza o quarta notizia. Il mito romantico del gigantismo, della lotta contro le forze della natura, il sublime kantiano ha soppiantato in quei giorni una realtà cruda ma che di solito viviamo ormai con naturalezza, scrollandoci di dosso il peso morale e affibbiandolo solo ai Governi che si succedono l’uno all’altro. Inseriamo questo nel nostro contesto: non esiste più tempo per cercare, per indagare e quindi non esiste nemmeno tempo per il mistero, per la ricerca di ciò che emerge immediatamente nel buio del tempo. Siamo sottoposti a un ventaglio di informazioni che sembrano donarci la libertà di ricerca ma in realtà nascondono la perdita del senso del tempo. Vuoi sapere qualcosa sul colpo di Stato in Niger di fine luglio? E come non tuffarti allora sulla serie di vittorie calcistiche di quella squadra sconosciuta kazaka o sull’ultima conquista della Tatangelo? La vita è destabilizzata, viene armonizzata in un susseguirsi di opzioni, ognuna diversa dall’altra, ognuna impostata come via fondamentale della giornata. Vuoi consumare notizie come quelle sugli Ufo? Nessun problema, la rete ti ha già inserito in un fiume di notizie tutte adatte a te, a soddisfare la tua curiosità. L’impulso e l’emozione ti prendono da dentro, salgono dallo stomaco e ti spingono a nutrirti di non cose, di inutilità banali ma che appaiono decisive per la tua vita. Ancora Han lo scrive magnificamente:
“Le informazioni ci accorciano la vista e il respiro. Impossibile indugiarvi. L’indugiare contemplativo presso le cose, quel guardare senza secondi fini che potrebbe essere la ricetta della felicità, cede il passo alla caccia all’informazione. Oggi corriamo dietro alle informazioni senz’approdare ad alcun sapere. Prendiamo nota di tutto senza imparare a conoscerlo. Viaggiamo ovunque senza fare vera esperienza. Comunichiamo ininterrottamente senza prendere parte a una comunità. Salviamo quantità immani di dati senza far risuonare i ricordi. Accumuliamo amici e follower senza mai incontrare l’Altro. Così le informazioni generano un modo di vivere privo di tenuta e di durata”[2].
Sostanzialmente, stiamo smettendo di cercare l’essenziale per lasciare spazio al sovrapporsi dell’effimero. L’essenziale è sempre da cercarsi. Lo scriveva bene Guitton, filosofo fra i più dimenticati del panorama novecentesco, e a volte serve il silenzio per capirlo questo essenziale. Serve forse uno sforzo, ma è necessario. L’uomo senza mistero, senza il mistero dell’Altro, è colui al quale si chiudono le porte dell’incontro, le imposte restano chiuse e non avviene l’evento che, magari, può cambiarti la vita. In un mondo digitale che senza raziocinio viene vissuto si perde anche il Mistero, dalla domanda sulle origini ai motivi che sottointendono il vivere. Perché il mondo c’è da sempre.
Pensiamo a un bambino che nasce oggi. Per lui il sostrato di conquiste alla base dell’era digitale sarà un inutile carrozzone e per trovare risposte basterà chiedere a una intelligenza digitale che risponderà a ogni domanda, nuovo oracolo di Delfi. Non più conosci te stesso, ma mostra te stesso sarà il motto. Non più discesa nell’intimità dell’Io, ma tenersi a galla nel mare del flusso ininterrotto dei se, dei ma e di ogni immagine altrui che più piace. Ma il mistero? Permane per l’uomo? Di fronte alla luna piena di queste sere la domanda potrebbe anche risultare valida. In quel che fai tu luna in ciel? di leopardiana memoria non si scappa. Sarà il tempo del velo da scoprire di cui parla sempre Guitton?
“A poco a poco cominciamo a capire che il reale è coperto da un velo, è inaccessibile, e che noi ne percepiamo appena l’ombra che osserviamo sotto le sembianze provvisoriamente convincenti di un miraggio. Ma che cosa c’è dunque sotto il velo? Di fronte a questo enigma sono possibili due atteggiamenti: uno ci conduce verso l’assurdo, l’altro verso il mistero. La scelta ultima tra l’uno e l’altro è, in senso filosofico, la mia decisione più importante. Mi sono sempre rivolto al mistero: quello della realtà stessa. Perché c’è dell’Essere?”[3]
Alla domanda del perché ci sia l’essere, Han mostra come oggi siamo Inforg, informazioni in perenne cammino, in continuo evolversi e persi nei motori di ricerca. Siamo de-fattualizzati, de-essenzializzati, scacciati dalle nostre cose. Non puoi avere domande sull’essere perché l’essere stesso è senza mistero, disponibile lì da qualche parte. Tanto che l’essere umano è chi non ha crucci, problemi, perché l’esistenza umana può essere smaltita da qualche parte, stile raccolta differenziata. Se essere è una voce verbale, l’uomo singolo, la persona sarà solo un vocabolo oppure una realtà che vive, pensa e cerca? E se i resti biologici trovati, secondo le affermazioni al Congresso negli Usa, non sono umani non è che saranno dei Borg stile Star Trek, ossia esseri metà biologici e metà tecnologici, cui è data una esistenza vera solo stando in rete con un cervello unico, pensando e agendo ciascuno come entità unificate da files e byte di informazioni, fino a voler toglierne le imperfezioni? Non è che forse gli alieni in realtà siamo noi che ci stiamo alienando dal nostro essere? Come farebbe l’umano senza l’assurdo e il mistero? L’assurdo ormai non esiste più perché nel mondo digitale ideale è tutto già descritto. E il mistero scompare perché tutto sarà spiegabile. Ma
“L’assurdo e il mistero sono le due possibili soluzioni dell’enigma che l’esperienza della vita ci propone. Io mi propongo di scegliere tra l’una e l’altra di queste opzioni: non vedo alcuna via di mezzo abitabile. Volenti o nolenti, ci si orienta verso l’uno o l’altro di quei due termini. È un atto di libertà ragionevole, una scelta estrema: senza dubbio l’ultima delle nostre scelte”[4]
Che poi, sappiatelo, a me di Star Trek piace il personaggio di Data, un androide che vuole essere quanto più possibile umano. Liberamente. Perché l’umano vive proprio di assurdo e mistero. Non è che poi questa digitalizzazione alla fine senza vita morirà? Han alla fine del suo testo scrive solo le cose del cuore sono animate. E, lo spero, mi auguro che l’umanità queste cose del cuore non le annulli nelle non cose…
[1] Byung-Chul Han, Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale, Einaudi 2022, serie e-book Kobo p. 5
[2] Ibidem
[3] J. Guitton, G. e I. Bogdanov, Dio e la scienza – Verso il metarealismo, tr. it. di M. Spranzi e G. Giorello, Bompiani, Milano 1992, p. 14
[4] J. Guitton, L’assurdo e il mistero, tr. it. di Q. Principe, Rusconi, Milano 1986, p. 5