44° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI IGINO GIORDANI – 18 aprile 1980 /18 aprile 2024

Affascina conoscere la vita, il pensiero, l’anima di uomini grandi dei quali si dice essere come dei monti: l’altezza della cima che si spinge verso il cielo e l’imponenza della mole non appaiono se non a chi li guarda da una certa distanza. Anche chi è stato per decenni vicino ad essi, e li ha giorno per giorno amati per quello che erano e ammirati per quello che facevano, solo dopo, quando essi se ne sono andati, comprendono la loro grandezza, la grandezza dell’opera loro.

È così di Igino Giordani!

La cultura della Pace deve collocare la sua figura fra i testimoni più vivi del ventesimo secolo. La sua azione e il suo pensiero hanno avuto modo di svolgersi in tempi difficili, impossibili si potrebbe dire per una scelta di pace come quelli della Prima Guerra Mondiale.

In quel clima “massimo” di pace si esprimeva nella posizione “neutralista”, dettata dalla considerazione che si sarebbero ottenuti maggiori vantaggi dalla scelta di non entrare in guerra.

Gli stessi partiti e movimenti di opposizione alla guerra, come i socialisti e alcune parti del mondo cattolico, ragionavano in questo modo. Giordani no: era per la pace convintamente, la sua posizione era maturata ancora prima di raggiungere, quale sottotenente di fanteria, le trincee del Carso, dove rimarrà gravemente ferito, nonostante il suo radicale rifiuto di sparare contro il nemico.

Attingeva direttamente dal Vangelo: uccidere un altro uomo avrebbe significato assassinare l’essere fatto a immagine e somiglianza di Dio. Non era possibile, mai e in nessun caso. La sua determinazione per la pace accompagnerà la sua azione politica e culturale nei decenni successivi, durante il suo  impegno intellettuale, parlamentare e di scrittore.

É uno dei tratti più vivi della sua esperienza spirituale.

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Una proposta profetica: «Se vuoi la pace, prepara la pace».

Mentre due giornalisti – Giordani e Lajolo, uno comunista l’altro cattolico – si scambiano le loro opinioni sulla pace e sulla sicurezza nel mondo, è in corso alla Camera un acceso dibattito sulla politica estera, nel corso del quale il socialdemocratico Giavì presenta una mozione con la quale chiede al Governo italiano un’opera di mediazione tra i due blocchi.

È il 21 Dicembre 1950, ed alla Camera interviene Giordani che, di fronte alle prospettive di una terza guerra mondiale (che si poteva ipotizzare come la fine dell’Europa), pone la domanda:

«É possibile che non si possa trovare, accanto alla politica del riarmo, accanto a una politica che ci porterà alla catastrofe, altra strada per arrivare alla vita, alla pacificazione, alla intesa attraverso la discussione?»

            In due direzioni, – a suo giudizio – il governo e i partiti possono e debbono lavorare: organizzare una conferenza per il disarmo e rilanciare il dialogo tra Est ed Ovest.

Rivolgendosi particolarmente al Governo, Giordani afferma: «Vi sono stati tredici paesi, pagani e musulmani, i quali si sono interposti per cercare la pace in estremo oriente. Orbene la stessa cosa la potremmo tentare noi occidentali, e soprattutto noi italiani…Perché dunque non tenta l’Italia di “riproporre” il colloquio fra questi due mondi che si sono chiusi! Rompere questa specie di manicheismo per cui ogni uomo crede che l’altro sia dannato, e viceversa?»

            Per il deputato democristiano, «è soprattutto l’Italia, da tutti i partiti,  che deve venire la ricomposizione del dialogo, altrimenti…»-

Domanda: «E noi, oggi che cosa possiamo fare? Che cosa stiamo facendo?»

A cura di Gennaro Gino Piccolo