Sì, ma chi l’ha detto questo è il “tuo”?
“Perché non te ne torni al tuo paese?”. È la risposta di un signore con i capelli bianchi ad un ragazzo dalla pelle olivastra che, qualche giorno fa, stava tentando di svolgere il proprio faticoso lavoro di fattorino. L’uomo aveva parcheggiato la propria auto in un posteggio riservato allo scarico merci e il giovane gli aveva solo chiesto di spostarla. Il peggio è che un altro giovane, italianissimo, a passeggio con la sua bicicletta, lo aveva intimato alla pazienza perché “può essere tuo nonno”. Ma a me quell’uomo, arrogante e maleducato, a tutti mi ha fatto pensare, fuorché ad un nonno, il mio poi.
La lite è andata avanti solo per qualche manciata di minuti, prima di svanire in una nuvola di pesante silenzio. Ma quando certe parole vengono immesse nell’aria, inquinano e molto più del traffico dell’ora di punta in una cittadina lombarda di provincia. Tuttavia, in questo triste episodio non ci sono solo parole deturpate e deturpanti; vi è alla base una mentalità ammalata e deresponsabilizzante, quella per cui l’anziano, maschio e occidentale, ha ragione a priori. Ne ha così tanta che può permettersi anche il sopruso e la violenza per difendere l’indifendibile, in nome dell’autorità assegnatagli da una società che non smette di rivelarsi fortemente patriarcale. E nei giorni bui del ritorno talebano, dell’avanzata fondamentalista, non possiamo limitarci a postare indignazione sui social. Dobbiamo avere il coraggio di smascherare i fondamentalismi vicini, se vogliamo combattere apertamente quelli lontani.
Perché cos’è il fondamentalismo? La parola riporta immediatamente a qualcosa di fondamentale, di basico, di radicale: un’origine, un principio, un fondamento insomma. E quell’insidioso, fastidiosissimo “ismo” ne rivela tutta la malattia. Il fondamentalismo è l’abuso di potere del fondamento, la storpiatura del sano attaccamento alle proprie origini, un cancro maligno in cui una cellula impazzita inizia a seminare terrore, perché fa della propria unicità, della propria importanza e del proprio lavoro un assoluto sganciato dal resto, indisponibile a fare uno, due, cinque, dieci passi indietro per permettere anche alle altre di vivere. Oppure venti, cento passi avanti per costruire relazioni sane. E non lo fa con l’intento di delinquere, ma con la verace convinzione di poterlo fare, magari per anzianità, oppure per status, ruolo, consuetudine.
La dittatura del più grande impone al più giovane di tacere, anche quando ha ragione. Genitore, fratello o sorella maggiori, nonno, zio sono autorità indiscusse, rappresentano il fondamento sacro, intoccabile, da non mettere mai in discussione. L’errore è visto come minaccia alla perfezione, non come laboratorio in cui quel medesimo sé forgia una maturità sempre diversa, sempre più fine. Invece, chi parla, chi reagisce, perché crede nel confronto aperto come via maestra di una crescita che non finisce mai, nemmeno a 60, 70 o 100 anni, diventa nemico pubblico. Come si permette il più giovane di correggere l’adulto, di riprenderlo perché ha parcheggiato nel posto sbagliato, perché salta la fila alla posta, oppure perché non è sincero, perché è scorretto, magari mentre rimpiange i valori di un tempo? Così, quel giovane si guadagna l’odio dei capitribù e anche di quegli altri giovani ai quali questo fondamentalismo sta bene, perché in fondo non vedono l’ora di raggiungere la fantomatica vetta sulla quale ci si adagia e si smette di “dovere”.
Si vivrebbe sicuramente molto meglio se ci si sentisse tutti in cammino, se chi pretende di stare davanti pensasse a inaugurare cambiamenti veri, accettando di imparare. Da spettatrice dell’accaduto, auguro a me stessa di fare la mia parte in questo. Il che significa non cedere al senso di delusione, che da tempo nutro verso certe generazioni di adulti, innamorati di una coerenza astratta. Poi, riuscire a portare il peso di un torto inflitto a un coetaneo e a sopportare il vuoto di umanità aperto da un coetaneo di mio padre. E continuare a credere che un bene silente e possente sorregga le sorti del mondo, incurante di persistenti ma in fondo insignificanti focolai di odio, immaturità e ignoranza.
Dovremmo riflettere molto sulle tue parole e su certi radicati costumi “fondamentalisti” ……che non sono solo quelli che difendono
gli Islamisti ma anche quelli che vengono gelosamente custoditi da chi pratica una cultura patriarcale e verticistica a priori. Grazie per questa riflessione .