«Chi si inferma è perduto»

(Marcello Marchesi)

Caro lettore, adorata lettrice,

a volte mi piace, i miei alunni lo sanno bene, giocare un po’ con le parole e, tempo fa, proposi loro questa catena: parto, partorire, partire, dipartita, dies natalis, non muore più nessuno…

Calembour, li chiamano in Francia, quei giochi di parole basati sull’accostamento di suoni simili, ma dal significato differente. In Italia usiamo il termine classico “paronomasia”, ma non sono sicuro sia esattamente la stessa cosa. Il calembour spiazza per farti pensare, proprio come nel “chi si inferma è perduto” di Marcello Marchesi, che non è detto debba per forza riferirsi a chi s’ammala nel corpo. La paranomasia, invece, può anche fermarsi al semplice “Apelle, figlio di Apollo, fece una palla di pelle di pollo…”, riducendosi a poco più di uno scioglilingua. E così “dalle stalle alle stalle” mi sembra di nuovo un calembour, mentre “tre tigri contro tre tigri” rimane un esercizio utile per chi vuol andare a presentare in TV…

So già che mi aspetti al varco. Immagino tu stia per chiedermi: “Allora parto, partorire e partire che hanno in comune?”.

Nulla, di per sè. Non c’è un legame che unisca le tre parole. “Parto” con “partorire” fa figura etimologica (un po’ come “luce che illumina”), ma con “partire” e “dipartita” fa pur sempre un calembour.

Chi partorisce, vede partire l’essere (o l’idea) fino ad allora accolto in sé, e, si sa, partire è un po’ come morire. Chi parte, diparte da noi, e chi diparte muore. E dunque anche partorire è un po’ come morire e della morte dei santi dicono che l’ultimo giorno tra i vivi, quello in cui muoiono, sia il “dies natalis”, il giorno della nascita al Cielo, solo che oggi non muore più nessuno…

Mai letto i manifesti funebri della tua città? “Si è addormentato”, “È venuto a mancare”, “È salito al cielo”, “È stato rapito all’affetto dei suoi cari”…

Insomma: tante dipartite, nessuna morte, nessuna doglia del parto, ma “viva la mamma”, ci hanno detto solo una settimana fa, “tanti auguri alle mamme”, compriamo fiori, profumi e cuori di cioccolata per “la mamma più bella del mondo”…

Perdonami, caro lettore, adorata lettrice, mi rendo conto che ti sto coinvolgendo in una sorta di flusso di coscienza senza nessi evidenti. Tu, però, se sei giunto/a fin qui, è perché sei abituato/a a cogliere i dettagli. Forse ami anche tu quel senso di straniamento che ti induce a riflettere. Ho dunque ragione di credere che i calembour, in qualche modo, non ti siano estranei.

Quello di oggi, in fondo, voleva solo dirti: non c’è nessuna nascita che non sia a prezzo di una morte, e nessuna morte che non possa essere germe di vita nuova. Se viviamo in un tempo in cui, sembra, non muore più nessuno, forse è più facile spiegarci come mai nascano sempre meno bimbi. Come mai ci sia sempre più voglia di “un figlio ad ogni costo” e come mai nasca sempre meno compassione. A dispetto di grembi che partoriscono pur restando vergini, e oltre ogni sterilità.

Con-passione: soffrire e insieme amare. Il mistero della vita.

Come si beve il caffè? Ma “con le 3 C”, naturalmente! A te il piacere di sciogliere quest’ultimo calembour…

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