Nelle regole di una democrazia liberale, non resti al governo un minuto di più con l’alleato che giudichi tuo nemico

Caro Direttore,

se, in un momento di sincerità, ammettessi che il teatrino del governo mi annoia, direi una cosa di banale senso comune. Credo di non essere il solo a patire questo sentimento estraniante, ma penso che alla noia bisogna resistere. Sarebbe oltremodo pericoloso, infatti, abbandonare il campo per la semplice ragione che i nodi stanno venendo al pettine, e non voglio perdermi il finale di partita.

Dunque, il nostro governo gialloverde basato sul contratto di lotta continua si fa maggioranza e opposizione, prova cioè a essere tutto e il contrario di tutto nel tentativo di silenziare le opposizioni vere. Salvini e Di Maio ricorrono ogni giorno all’insulto per restare alla guida del Paese e all’opposizione di se stessi. Con la sponda del premier Conte, altro non fanno da tre mesi a questa parte. Una specie di tressette col morto (l’Italia) in un’orgia di potere che minaccia di isolarci dall’Europa e dal mondo. Il Di Maio ormai attacca Salvini collaborazionista dell’ultradestra. Il ministro leghista che ricambia con l’accusa di inciucio dei grillini con la sinistra.

Ma, c’è un ma. Nelle regole di una democrazia liberale, non resti al governo un minuto di più con l’alleato che giudichi tuo nemico. Sarebbe normale quindi che gli insulti quotidiani sortiscano una rottura e una caduta del governo. Nel nostro presente assistiamo a promesse minacciose per il 27 maggio, a urne chiuse per l’Europa, subito dopo le minacce vengono corrette dalla comune volontà dei litiganti di andare avanti per altri 4 anni. Una roba da manicomio o da culi incollati alle poltrone. I pentastellati dell’anti-casta i leghisti della casta tirano a campare piuttosto che tirare le cuoia (copyright dell’ottima anima di Andreotti). Intanto il paese Italia diventa (o resta) fanalino di coda dell’Europa, cresce nel debito ma non nella ricchezza. In attesa di tornare a Bruxelles con il cappello in mano dopo le elezioni, Salvini tira sempre a scassare l’Unione europea e Di Maio fa l’europeista dopo il lungo Carnevale anti-europeo.

Non so come andranno a finire le elezioni fra una settimana. La mia personale speranza è che il centro-sinistra europeista dia qualche segnale significativo di ripresa. So che, a prescindere dal risultato, i nostri sovranisti-populisti vagheranno alla ricerca di alleati che non troveranno. L’Europa potrà cambiare se saremo più europeisti. I Paesi che si chiuderanno in se stessi, in un mondo bene o male globalizzato, conteranno meno di nulla. L’Italia è in cima alla classifica del rischio grave.


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Pugliese errante, un po’ come Ulisse, Antonio del Giudice è nato ad Andria nel 1949. Ha oltre quattro decenni di giornalismo alle spalle e ha trascorso la sua vita tra Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove abita. Cominciando come collaboratore del Corriere dello Sport, ha lavorato a La Gazzetta del Mezzogiorno, Paese sera, La Repubblica, L’Ora, L’Unità, La Gazzetta di Mantova, Il Centro d’Abruzzo, La Domenica d’Abruzzo, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a direttore. Collabora con Blizquotidiano.  Dopo un libro-intervista ad Alex Zanotelli (1987), nel 2009 aveva pubblicato La Pasqua bassa (Edizioni San Paolo), un romanzo che racconta la nostra terra e la vita grama dei contadini nel secondo dopoguerra. L'ultimo suo romanzo, Buonasera, dottor Nisticò (ed. Noubs, pag.136, euro 12,00) è in libreria dal novembre 2014. Nel 2015 ha pubblicato "La bambina russa ed altri racconti" (Solfanelli Tabula fati). Un libro di racconti in due parti. Sguardi di donna: sedici donne per sedici storie di vita. Povericristi: storie di strada raccolte negli angoli bui de nostri giorni. Nel 2017 ha pubblicato "Il cane straniero e altri racconti" (Tabula Dati).