«Io penso che, quando fra cento, duecento anni, vorranno capire com’eravamo, è proprio grazie alla musica da film, che lo scopriranno»
(Ennio Morricone)
Ho 10 anni, sono in una grande sala buia, seduta su una poltrona due volte più grande di me: in braccio ho una confezione di Cipster, perché i pop corn mi fanno nauseare e si infilano in mezzo ai denti, ergo, li rifiuto. Una bottiglia di acqua, perché a 10 anni mi fanno anche schifo Coca Cola e Fanta. Sono già evidentemente disadattata. Sarà per questo che mamma ha provato a mettermi davanti a questa tv megagalattica? Cosa è? Ah già: il cinema, ha detto.
“Ti fidi di me?” mi ha chiesto.
“In verità conoscendoti no, da qualche parte vuoi arrivare, ma a dirla tutta sì. Mi fido eccome” vorrei rispondere, ma come al solito non dico niente.
Parte una musica sublime che praticamente disegna due occhi grandi e color carbone sullo schermo. Mi scopro a pensare che forse mamma è lì che vuole portarmi: dentro lo specchio.
Mi ritrovo dentro quegli occhi, anche se i miei sono solo marroni e penso che il mio mondo si può anche fermare sulla culla di quelle note.
Non ci capisco niente di tutto questo turbinio, ho 10 anni! Ed una mamma troppo avanti.
“Myriam, il regista di questo film si chiama Tornatore e la musica l’ha scritta un certo Ennio Morricone. Tu stai attenta, perché ci sarà da ricordarsene”.
Ed io sono attenta, attentissima. Non riesco a seguire il suo ragionamento, eppure so che mi sta passando un’eredità, un testimone, una responsabilità.
Allora smetto di guardare e osservo, smetto di sentire e ascolto, smetto di pensare, seguo.
E certo che ci finisco lì, nel posto dei santi: del resto me lo doveva suggerire lo stesso titolo.
Stavamo guardando “Nuovo Cinema Paradiso” ed io ora no, non ho altre parole. Userò le stesse di quel novantaduenne senza pari, secondo cui non si può chiedere aiuto a nessuno quando si scrive, poiché chi lo fa deve dire qualcosa di troppo personale.
Parlava di Sergio Leone, mentre io parlo di lui: è stato un capolavoro, e basta.