La vita ha preso la forma di un professore ed è diventa bellezza

“Grazie, prof. Ci hai insegnato a emozionarci”.

“Grazie prof. Tu eri PRE-SEN-TE!”.

“Grazie, prof, per la tua passione”.

“Grazie, prof. Ci hai insegnato a stare dalla parte degli ultimi perché è solo dagli ultimi che si può imparare”.

“Grazie per il tuo amore per la vita”.

“Grazie per il tuo amore per la musica”.

“Grazie per il tuo amore per la poesia”.

“Grazie per il tuo De Andrè”.

“Grazie per avermi insegnato a scegliere le parole”.

“Grazie perché devo a te quello che sono”.

“Grazie della tua estrema infinita sensibilità con cui hai nutrito la mia”.

“Grazie per il tuo marchio speciale di chi viaggia in direzione ostinata e contraria”.

“Grazie per averci insegnato la curiosità”.

“Grazie di ogni cosa, prof. Anche di quelle che non hai saputo di aver fatto”.

“Grazie perché non dimenticheremo mai come ti emozionassi rileggendo, un anno dopo l’altro, il canto V dell’Inferno di Dante, quello di Paolo e Francesca”.

“Grazie per la tua chitarra”.

“Grazie per averci accolto nella tua casa sempre, anche in orari improponibili”.

“Grazie per averci fatto imparare senza farci mai sentire il peso dello studio”.

“Grazie per il tuo essere umile”.

“Grazie perché la vita ha preso la forma di un professore ed è diventa bellezza”.

No, non sono parole mie.

Sono parole degli alunni e degli amici di Michele. Degli ex alunni che sono diventati figli e amici.

Michele? Michele Zagaria.

Era mio amico e collega.

La malattia se l’è portato via troppo presto.

A chi mi ha chiesto come fosse Michele ho risposto: “Era il migliore. Per distacco. Mi basterebbe essere il 10% di quel che era lui. Inarrivabile”.

Glielo dicevo anche in vita. E puntualmente mi mandava a cagare.

Perché Michele era così: guai a volergli fare un complimento, guai a metterlo al centro dell’attenzione. Michele non aveva bisogno di mettersi al centro. Lui era il centro per tanti di noi, per tutti i suoi alunni e colleghi, ma aveva l’intelligenza, e l’umiltà, di non prendersi mai troppo sul serio.

Michele era un uomo di altri tempi, ma quanto mai necessario in questo tempo.

Michele lascia un vuoto. Michele ci lascia colmi.

Ho sentito ripetere più volte la parola “dolore” al suo funerale. Quella che prevale in me è gratitudine: per averlo incontrato, per averlo conosciuto, per averlo avuto in dono. Per l’immensità che ci ha donato.

Mi mancherà un casino Michele, ma come ha detto rivolta al suo feretro la sua alunna Simona: Michele vive in tanti pezzi di noi, vive in ciò che ha lasciato a ognuno di noi. E siamo tanti!

E, caro lettore, adorata lettrice, se questo Caffè ti parrà strano e fuori tema, ti basti sapere questo: Michele era ed è la Scuola. La Scuola come dovrebbe e deve essere. La Scuola come è.

Sennò non è Scuola.

Ciao, Michele.

Ti saluto con il tuo Faber:

Ma adesso che viene la sera ed il buio
mi toglie il dolore dagli occhi
e scivola il sole al di là delle dune
a violentare altre notti:

io nel vedere quest’uomo che muore,
madre, io provo dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l’amore.

E ancora:

Laudate hominem.
Non posso pensarti figlio di Dio
ma figlio dell’uomo, fratello anche mio.


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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...

1 COMMENTO

  1. Caro Paolo, aggiungo qui la mia porzione di affetto per Michele soprattutto perchè sono stato il suo “dirigente scolastico” e, come è facile immaginare, non è agevole mantenere un rapporto umano di stima e di affetto se c’è di mezzo un rapporto “gerarchico”. Ricordo quando furono pitturate le aule dai ragazzi e gli chiesero di suonare con loro durante i lavori: accettò senza esitazione, gioiva di stare in mezzo a loro. Ricordo molto bene il suo sorriso incontenibile. Ricordo molto bene l’ironia amichevole con cui tollerava il mio ruolo, dato che, quando un professore ha le qualità che aveva Michele, non ha alcun bisogno di essere “diretto”. In questo era come Michele Palumbo e oggi come allora mi rendo conto della fortuna che ho avuto nel lavorare con loro. Discutevamo spesso di musica e non ho mai capito perchè non tollerava Neil Young. Addio, Michele, ora ti immaginiamo immerso nella musica per sempre.

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