Il prof. Michele Zagaria

Il saluto dei suoi ragazzi: “Ci hai insegnato a emozionarci, non ti potremo mai ringraziare abbastanza…”.

Chi può scrivere il ricordo giusto di Michele? In tanti ci siamo posti questa domanda un attimo dopo aver appreso quella notizia che aspettavamo, ma che non ci avrebbe mai trovato pronti ad accoglierla: è morto Michele, Michele Zagaria, l’uomo, l’amico, il professore, il musicista, l’amante del bello in ogni sua forma.

Ma come ricordarlo nel modo giusto? Non siamo stati capaci di caricare una sola voce di questa responsabilità. Abbiamo preferito affidarla ad un coro di suoi alunni e amici: speriamo lo trovi intonato, lui che di musica – e non solo di quella – era fine interprete e intenditore.

Ciao, Michele. Lo scriviamo mentre scende una lacrima, ma l’asciughiamo subito, certi che non ti sarebbe piaciuto vederla scorrere…

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De Andrè cantava: “All’ombra dell’ultimo sole si era assopito un pescatore aveva un solco lungo il viso come una specie di sorriso…”.

Così mi piace pensarti ora, Miche’, o meglio “prof. Zaga”, come il pescatore di De Andrè che, dopo aver dato cibo, vino e ristoro a chi ne aveva bisogno, semplicemente si sta riposando.

Quant’è strana la vita, Miche’: proprio quel De Andrè che tu idolatravi e professavi, come gli evangelisti hanno fatto con la vita di Gesù, ci dà sostegno con questa metafora in questo momento di immenso dolore.

Una metafora semplice, tu il pescatore e noi quelli che tu hai rifocillato un anno dopo l’altro. E, come quel pescatore, ci hai elargito tanto, tanta di quella cultura da essere incapaci anche solo di assorbirla in piccola parte.

Le tue lezioni, che fossero di letteratura italiana o di latino, non erano semplice trasmissione di informazioni relative alla materia, in quanto potevano spaziare dalla letteratura all’arte, dalla matematica alla musica, dai miti e leggende alla storia, dagli eventi quotidiani del mondo agli eventi che caratterizzavano le vite di noi adolescenti.

Ecco, questo era il tuo dono, farci imparare senza mai avvertire il peso dello studio, farci capire senza dover memorizzare, trasmetterci saperi senza mai aprire il libro, anche perché il libro stesso ne sapeva meno di te.

Bastava ascoltarti una volta sola per innamorarsi di te e della tua essenza, scevra da apparenze e ipocrisia. Tu eri così come ti si vedeva, per il semplice fatto che il tuo modo di vivere scanzonato si basava su poche e salde fondamenta: la cultura, l’arte, la musica, la tua amata chitarra, il tuo immancabile sigaro ed un bicchiere di vino con gli amici, nulla più.

Ed è per questo motivo che ho rinunciato ad ogni singola ricreazione degli ultimi due anni di liceo perché era l’unico momento che potevo trascorrere solo con te, un momento in più per poter assorbire dalla tua ricchezza d’animo quegli elementi che stavano formando la mia persona.

In due anni di vita insieme mi hai appellato con tutti gli epiteti possibili che non sempre suonavano come complimenti ad orecchie estranee e abituate a formule ortodosse. Qui preferisco non ripeterli, ma so già che, là dove ove ti trovi, me li stai ripetendo con lo stesso sorriso sornione.

Un modo di giocare con me che tutto mi diceva del tuo essere umile come sa esserlo solo chi è consapevole del proprio sapere, ma scende al tuo livello per prenderti per mano e portarti con lui ad un piano superiore, senza mai prendersene i meriti.

Lo hai fatto anche negli ultimi momenti della tua vita terrena, quando ci siam visti per l’ultima volta. Mi sorridevi e ti commuovevi, come un padre fa col proprio figlio che torna a trovarlo dopo tanto tempo. Non mi parlavi, ma quando ti ho salutato, sussurrandoti all’orecchio proprio uno dei tuoi epiteti preferiti, hai avuto la forza di darmi un’ennesima lezione, nonostante non avessi le forze per parlare, sibilandomi un: “Vai a cagare”.

Eri e sei grande, Miche’, così grande da avermi portato di nuovo a scrivere. Spero solo di aver fatto meno errori dell’ultima volta.

Non so se quello che ci aspetta si chiama Paradiso, ma son sicuro di una cosa: hai preso la tua “via del campo”, che col tuo fare amorevole, ironico e sapiente, hai reso un altro posto da dove far nascere fiori dal letame.

Grazie Miche’, davvero grazie, ti voglio bene.

Damiano, VG 2012/2013.

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Ciao prof,

stamattina ci siamo svegliati e nell’aria c’era meno musica e poesia, e abbiamo capito che da ora in poi tocca a noi far suonare una chitarra e rileggere qualche verso… ma per fortuna abbiamo avuto un grande Maestro.

Non ti potremo mai ringraziare abbastanza per aver spalancato la nostra finestra sulla bellezza della letteratura e per averci fatto conoscere la Passione, pura ed incondizionata, che rende la vita la cosa meravigliosa che è.

Ci hai insegnato ad emozionarci sempre, ancora ed ancora, davanti alla Bellezza e a vedere il mondo a colori, e rumoroso, ancora meglio se c’è un po’ di musica napoletana in sottofondo.

Ci mancheranno il tuo sorriso e i tuoi occhi luccicanti quando, dopo anni ed anni, nonostante la sapessi a memoria, ti emozionavi rileggendo il canto V dell’Inferno di Dante, non lo dimenticheremo mai.

La verità è che speriamo di vivere e trasmettere la passione e la bellezza così come tu hai fatto con noi, Dio solo sa quanto ne ha bisogno il mondo ora.

Oggi l’aria è silenziosa ed il cielo più grigio, ma tu ci hai insegnato a colorarlo e a farlo suonare con note armoniose, e allora prendiamo in mano il testimone e lo faremo dedicandoti ogni passo.

Grazie per tutto. Ci mancherai molto. Ti vogliamo bene.

VB 2012

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L’uomo è un’entità talmente complessa che appare, quantomeno, difficile pensare di poterlo descrivere in poche parole, ancor più in una parola. Ciononostante, semmai mi chiedessero di raccontare con una parola di Michele, il mio prof., non avrei dubbi, sceglierei la parola passione! Ogni suo interesse era curato con passione, penso all’arte, alla letteratura, alla musica, ai sigari, alla cura riservata ad ogni libro o disco, custodito gelosamente e amato.

Penso alla passione per le sue creature, gli alunni e gli amici, entrambi sapientemente e sensibilmente accompagnati nella vita. Pochi giorni fa, sperando di poter ricevere risposta, gli ho chiesto se si ricordasse di me, di quello che per  anni di scuola superiore e per altri dieci successivi di amicizia aveva variamente appellato con epiteti (noti a quanti lo conoscessero). Non ho ricevuto risposta. Poco importa, io a quella stessa domanda ho una risposta: non ti dimenticherò mai prof! Mi hai insegnato ad amare la musica e a curarmi con essa. Mi hai insegnato a vivere con coraggio le mie passioni.

Hai condiviso con tutti noi la tua immensa conoscenza, arricchendo ogni attimo di frequentazione.

Ti sarò sempre grato…

“Fai rirà rirà, fai rirà rirà, fai rirà rirà, rirà, rirà…”.

Un alunno

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Guardando, studiando, ammirando ogni cosa che dicevi e facevi, vivendoti negli anni più belli della mia vita, seduto nel posto più bello del mondo, il primo banco di scuola, ho capito una cosa: non avrò mai il coraggio di insegnare qualcosa a qualcuno. Ho avuto un maestro troppo più grande di me anche solo per provarci.

Grazie di ogni cosa, Michele. Anche quelle che non hai saputo di aver fatto. Ti devo tanto, forse troppo. Da un tuo “volpino”.

Michele Memeo, VB 2011/2012.

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Michele per me è stato un maestro, un padre artistico, se sono qui a fare il mio lavoro e ad approfondire le mie passioni è anche grazie alla curiosità che lui ci chiedeva di mettere nelle cose, senza chiederlo, ma facendocelo vedere attraverso la sua sensibilità, grazie alla curiosità e alla cura verso l’Uomo, verso l’umanità.

Se sono qui oggi aperta davanti all’arte, davanti ai miei pazienti, davanti agli uomini, davanti al mondo, aperta alla possibilità che l’incontro con l’altro mi trasformi, aperta all’umanità è anche grazie a lui.

Non è solo stato il nostro docente di italiano e latino, Michele ci ha insegnato ad avere occhi per riconoscere la meraviglia, ad accogliere la meraviglia nascosta  “da un malchiuso portone

tra gli alberi di una corte” mostrandoci che essa, come i limoni della poesia, ci avvicina alla verità.

Maria Fabiana Liso.

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“Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria

Col suo marchio speciale di speciale disperazione”

Con le parole del tuo amato De Andrè ti saluto, mio caro Michele, compagno di bella musica e maestro di poesia.

Mi sono chiesta dove andranno a finire tutti i tuoi pensieri, tutto il tuo amore per l’arte (in tutte le sue forme), tutta la poesia di un uomo che ha fatto tanto per la cultura di questa città.

Forse la risposta è che hai lasciato in tutti noi un seme di “bellezza”. Nel cuore e nella mente dei tuoi amati alunni ed in chi, come noi, ha apprezzato la tua immensa cultura musicale di cui ci siamo  piacevolmente “serviti” nella nostra associazione musicale tanto cara al fondatore, il tuo amato fratello Saverio.

Ebbene, tu CONTINUERAI ad esserci e tutto ciò che eri sarà quello che hai insegnato a tutti noi.

Tu sarai per sempre il nostro Michele, col suo “marchio speciale di chi viaggia in direzione ostinata e contraria”.

Una voce dell’ass. Asincrono

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Le anime viaggiano nell’ universo, a volte sostano dietro un sigaro, tra una pagina e l’ altra, si confondono nei colori di un quadro, nel profumo di un vinile, sanno catturare note e renderle in parole, parlano in versi.
La vita ha preso la forma di un professore ed è diventa bellezza.
Le anime belle condividono pane e rose specie con chi è dello stesso sangue.

Una voce dell’ass. Asincrono

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C’è una poesia che mi hai fatto scoprire e che per sempre sarà la tua. Eravamo in uno dei tanti pomeriggi di prova a casa tua con Zag, preparavamo un progetto su Napoli. Io avevo 17 anni e conoscevo solo un po’ Pino Daniele. Sei venuto da me con un libro un po’ vecchio in mano e hai iniziato a recitarci questa poesia: ‘e Cecate ‘e Caravaggio di Salvatore di Giacomo.

Era una delle tue poesie preferite e a stento riuscivi a concludere il verso perché tanta era l’emozione. Sono due ciechi che guardano il proprio dolore di non potere vedere perché per tutti il dolore degli altri è dolore a metà. Spesso al dolore non c’è risposta, e infatti dopo un po’ “si stettero zitti”. In questo silenzio di dolore e parole che non si trovano, all’improvviso nella stanza entra l’odore fresco del giardino, il sole che caldo abbraccia i loro corpi, il sole caldo, il sole d’oro.

Mi porto con me i tuoi occhi pieni di emozione mentre recitando sentivi il sole caldo abbracciare il tuo corpo e quello di noi tutti che ti ascoltavamo. E ora vorrei anche io riprendere la poesia dove la hai finita tu e continuare all’infinito il verso che ti abbracci: il sole caldo luceva, il sole bello, il sole d’oro.

Grazie della tua estrema infinita sensibilità con cui hai nutrito la mia.

Rossana