Magari con Jung…
Di solito l’Inferno di Dante viene proposto agli studenti quando sono sedicenni o giù di lì. Detto per inciso, delle tre cantiche l’Inferno è di solito quello più popolare, più “sentito”, sebbene i critici più avveduti rintraccino il centro del poema altrove: per J.L. Borges, ad esempio, nel rimprovero di Beatrice nel Purgatorio. L’Inferno genera più empatia delle altre cantiche. Genera ancora più empatia quel povero ragazzo o quella povera ragazza che, nel pieno dei turbamenti, delle paure, delle tempeste ormonali dell’adolescenza si sente raccontare le tremende pene dei golosi, degli innamorati, di chiunque sbagli; nemmeno Aristotele, sommo filosofo, sfugge all’Inferno, sebbene confinato in un “nobile castello”. L’idea di una pena terribile e, in più, eterna, in assenza di un pentimento, se messa in relazione con le pulsioni, forti ed oscure legate all’adolescenza, può generare qualcosa di diverso dalla paura? dall’angoscia incolpevole? E, alla fine, una distanza incolmabile dal mondo di Dante? Se l’Inferno a quell’età è presentato in questo modo, probabilmente non c’è scampo.
I tentativi di cambiare prospettiva nella lettura della Divina Commedia sono numerosi e i lettori di Odysseo conoscono il pregevole lavoro del Direttore Paolo Farina, un autentico “corpo a corpo” con il poema.
Molti anni fa Lawrence Ferlinghetti (“Not like Dante”) espresse tutto il suo giovanile disagio nei confronti della Divina Commedia ed immaginò un diverso Aldilà:
“but there would be no anxious angels telling them / how heaven is / the perfect picture of /a monarchy /
and there would be no fires burning / in the hellish holes below / in which I might have stepped /
nor any altars in the sky except/ fountains of imagination”;
“Non ci sarebbero angeli ansiosi di raccontare com’è il Paradiso, ritratto perfetto di una monarchia / e laggiù, in basso, non ci sarebbero fiamme ardenti nelle arche dell’Inferno, dove potrei essere precipitato / e nemmeno altari in cielo, ma solo fontane di immaginazione”.
Chi invece è rimasto legato al testo della Divina Commedia e forse ha trovato davvero una fertile chiave di lettura dell’aldilà dantesco è stato Carl Gustav Jung. Per lui:
Aldilà = Inconscio.
Le scene terrificanti descritte da Dante sarebbero dunque interpretabili come le pulsioni oscure dell’animo umano, della mente, che sono inevitabili, in questo senso eterne e vanno riconosciute, controllate.
Jung considerava archetipiche, costitutive di tutti gli esseri umani alcune forme e pulsioni. Proprio per questo nell’età adolescenziale la lettura della Divina Commedia può rivelarsi particolarmente efficace per la conoscenza di sé e la susseguente formazione etica, che fu e rimane il vero scopo della Comedìa dantesca.
la lettura di Dante in chiave junghiana offre spunti di riflessione davvero interessanti.
Jung e Dante conoscitori acuti dell’ animo umano, sono accomunati da analogie di metodo e da sensibilità psicologica. Sono legati da una relazione a distanza che attraversa i secoli.
Notiamo anno dopo anno che la lettura di Dante diminuisce. Molte classi evitano il Paradiso (!) perfino all’esame di Stato. Questo è un impoverimento specialmente per la lingua italiana, questo sì un fatto identitario.
Dunque recuperare Dante è molto importante e Jung ci dà un prezioso consiglio per modificare la ricezione di questa che rimane una delle opere letterarie più importanti della storia.