«Linvidia consola le inquietudini dei mediocri, divora la loro avidità e li rende infelici eterni»

(Bramante)

La mediocrità può essere un atteggiamento, può essere una scelta di comodo, può essere uno status invincibile che, generalmente, non viene accettato da chi ne è affetto e, di conseguenza, nemmeno ammesso.

Nei primi due casi non si tratta di una caratteristica negativa poiché è un difetto, ma perché tendenzialmente spinge a fare tutto quanto corrisponda al minimo sindacale per la sopravvivenza: non fare, non rischiare, non domandare, non tentare, non esporre, non vedere, non cercare, non trovare.

Questo genere di personaggio è legato alla zona di comfort, inscindibile dal male minore, dannoso per sé stesso, un po’ meno per gli altri.

La piaga sociale della mediocrità diversamente intesa, invece, trova il suo epicentro nell’ultima specie: quegli individui che convivono giornalmente con il senso di frustrazione di non poter essere ciò a cui ambiscono e, per questo, fanno abuso dei propri mezzi per spezzare biecamente gli arti di coloro che percepiscono come invincibilmente più grandi.

Il mediocre per antonomasia, dunque, è quel genere di persona destinata a vivere da mediano, per dirla con Ligabue: ma questo non sarebbe un grosso problema se, nel vano tentativo di liberarsi dalla morsa della piccolezza, il bieco essere umano non tentasse di fare piazza pulita di tutto quanto lo circonda e gli toglie quel riflesso di cui vive, cercando di convincersi che si tratta di luce propria.

E dunque il problema nasce lì, nei colpi bassi inferti con la cattiveria stupida, ma cieca e tagliente, e il ghigno da iena dei poveri d’intelletto: egocentrati, non vedono che il loro sparuto orizzonte personale e non sono all’altezza di capire quali e quanti danni seminano in un domino che rischierebbe di diventare senza sosta, se non fosse poi destinato ad essere inesorabilmente fermato da chi, oggettivamente, in qualche modo superiore è.

Oggi mi sono imbattuta in un grande che, per l’ennesima volta, è stato momentaneamente abbattuto da un essere di questo tipo ed è stata la percezione netta della sua amarezza a farmi ricordare perché tutto quello che è mediocre non può essere ignorato, ma va combattuto. È semplice, la mediocrazia deve trovare pane per i suoi denti per una sola ragione: fa soffrire. E arrecare dolore non è mai consentito. Specie a chi a quel genere di dolore non si abituerà mai.

Un grande uomo deve aver necessariamente subito incontri/scontri di questo genere in numerosissime occasioni, durante la vita. Eppure, altrettanto necessariamente, non può essersi abituato all’idea che così debba essere. Le nefandezze di cui è capace una mente spicciola non possono diventare ovvie, fino a che non hanno reso meschini anche gli altri.

Ma esiste una buona parte di “altri” che non è nata destinata alla meschinità, che per questo continuerà in eterno a stupirsi davanti alle ottuse ed ignobili reazioni dei mediocri, continuerà a farne le spese e a starci male.

Ogni partita, naturalmente, si chiuderà con una sconfitta plateale del piccolo inutile, che continuerà a sbattersi come un’anguilla scivolosa e incapace di raggiungere alte vette, infelice eterno.

Mi verrebbe da dire: “Sai che dispiacere!”, ma la verità è che a me dispiace davvero, perché nel percorso incontestabile di Gandhi che magistralmente riassume: “Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, poi vinci”, il guerriero vero, il gladiatore, il vincitore, avrà certo ottenuto l’ennesima meritatissima medaglia, ma sempre a carissimo prezzo, accompagnata dalla cicatrice numero n, elevata alla n potenza.

E questo era, è e rimarrà per sempre e in ogni caso un delitto.


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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.