“Il problema dell’umanità è che gli stupidi sono sempre sicurissimi, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi”

(Bertrand Russel)

Potremmo esser sazi d’idiozie e accontentarci di qualche buona idea che scaturisse durante la giornata, piuttosto che correr, senza senso, dietro a bolle di sapone.

Idee fresche di giornata. Fresche senza aver bisogno di poggiare il capo nel frigorifero; fresche e arieggiate come i primi sbocciati edelweiss d’alta montagna e le fresche conifere che li ombreggiano, da sporadici, tiepidi, gradevoli raggi di sole.

L’incamminarci con nuove idee verso mete concrete, empiriche, giammai illusorie, chimeriche, fallaci, laddove l’inizio va a braccetto con la fine, sarebbe da prendere in considerazione.

Indirizzarci verso orizzonti mai calpestati e non contagiati, né da leggeri sfarfallii di voli né da appesantite, cineree nevicate di allocuzioni obsolete, dannose ai padiglioni auricolari di chi ascolta, il quale vorrà mantenere integra la sua dignità di ascoltatore, senza sorbirsi, controvoglia, concetti insensati: sarebbe un buon raggiungimento liberatorio.

Non trattenerci, ma nemmeno guizzare, alterando il nostro normale passo, come farebbe un presuntuoso, nell’atto di conseguire un traguardo impossibile, assurdo, insensato appunto, per approdar la meta: tanto, se c’è determinazione, prima o poi, ci sarà il raggiungimento…

Nei casi in cui la solerzia sia un po’ infreddolita dalla freschezza dell’idea dovremmo fare a meno di proteggerla con un indumento accomodante, tiepido, distaccato, titubante, altrimenti rischieremmo d’intorpidirla al punto tale da farle entrare in una fase di pigrizia, d’indolenza.

Per il nostro viaggio prendiamo, come compagnia, la determinazione, liberandoci da zavorre inutili, quali pregiudizi e superstizioni e senza lasciare nulla al caso, levando le prerogative al proprio cervello.

Ah, il cervello! Quale fonte! Quale complicato, affollato dedalo di concetti, di idee, di immagini empiriche in rapporto alle esperienze conseguite, raggiunte, custodisce e ne amplifica la compostezza e ne rafforza la compattezza.

Si afferma che il culmine dell’intelligenza sia paragonabile alla pazzia…

È ben da prendere in considerazione questo detto poiché l’intelligenza suprema di un soggetto può far nascere sentimenti ostativi negli altri esseri meno dotati. Questi, non avendo elementi giustificativi del loro essere deficienti, arrivano a definir pazzia le competenze raggiunte dal raziocinante.

A proposito mi viene in mente la lettura del racconto Reparto numero 6, di Anton Čechov e della fine che fa il dottor Andrej Efimyič, responsabile della struttura, solo per aver messo in discussione la situazione di un ricoverato in manicomio, Ivan Dmitrič, degente intelligente, istruito e, certamente non pazzo da tenere segregato nella struttura.

Era stato un aprire gli occhi e la mente, quello del dottor Efimyič, e che gli aveva aperto orizzonti fino allora offuscati, ignorati a causa della monotona quotidianità nella quale operava da lunghi anni di servizio e di cieca obbedienza al sistema. Nemmeno contro le ingiustizie, la violenza e la sporcizia egli era riuscito a porre rimedi.

Rimasto quasi “stordito” dal tran tran di tutti i giorni, egli, a poco a poco, si era fatto incurante della realtà soggettiva dei suoi singoli pazienti e, inconsapevolmente, aveva accettato di metterli tutti sullo stesso piano di pazzia in quanto facenti parte del “Reparto numero 6” del manicomio.

Si era risvegliata la mente nel giorno in cui si era reso conto che Ivan Dmitrič non era un pazzo. Aveva trovato nuove risorse, il dottor Andrej Efimyič , fresche, nuove idee nel dialogare con questo ragazzo “sano di mente”.

Ma la compagine della struttura, con coagulate cognizioni, fuori da ogni cosmogonia esistenziale, arriva fino a coinvolgere negativamente il ravveduto stato del dottor Andrej Efimyič e, paradossalmente, farlo passare per demente, pazzo.

Le due persone che si definiscono amici intimi, saranno quelli che più s’interesseranno a farlo rinchiudere nella stessa struttura, ove  Efimyič aveva così a lungo operato e dove egli proverà l’usuale, congenita violenza perpetrata nel luogo di degenza e, infine, la morte. Tutto questo prima ancora di aver visitato il nuovo, fresco reparto in “allestimento ideologico”, con tutte le assurdità che le menti distorte usano concepire per raccomandarsi alla pazzia…

Quel menare il can per l’aia al solo scopo di spaventar le galline mentre razzolano in cerca di lombrichi, sarebbe, a dir poco, esilarante, ridicolo dal punto di vista di chi si nutre di serietà e concretezza. Se tutti ci mettessimo a “razzolare” come taluni ciondoloni, il mondo diverrebbe un rimestamento del déjà vu, mentre l’intelligenza prenderebbe le distanze dall’impudenza, per non passare per pazzia.

Incamminarci verso orizzonti di luce significa: voltare le spalle ai tristi tramonti.

“Le persone continuano a lasciarsi sfuggire l’ovvio poiché continuano a non vedere ciò che è semplice, poiché pensano che la verità debba essere molto complessa” (Osho).

“C’è sempre un grano di pazzia nell’amore, così come c’è sempre un grano di logica nella pazzia” (Friedrich Wilhelm Nietzsche).


FonteFoto di Joey Huang su Unsplash
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Salvatore Memeo è nato a San Ferdinando di Puglia nel 1938. Si è diplomato in ragioneria, ma non ha mai praticato la professione. Ha scritto articoli di attualità su diversi giornali, sia in Italia che in Germania. Come poeta ha scritto e pubblicato tre libri con Levante Editori: La Bolgia, Il vento e la spiga, L’epilogo. A due mani, con un sacerdote di Bisceglie, don Francesco Dell’Orco, ha scritto due volumi: 366 Giorni con il Venerabile don Pasquale Uva (ed. Rotas) e Per conoscere Gesù e crescere nel discepolato (ed. La Nuova Mezzina). Su questi due ultimi libri ha curato solo la parte della poesia. Come scrittore ha pronto per la stampa diversi scritti tra i quali, due libri di novelle: Con gli occhi del senno e Non sperando il meglio… È stato Chef e Ristoratore in diversi Stati europei. Attualmente è in pensione e vive a San Ferdinando di Puglia.