In–Yun
A un certo punto della mia esistenza, la visione che avevo della Vita è cambiata.
Qualcuno, in quel momento, mi disse che “si era aperto un canale” e che da quel momento in poi toccava a me decidere se e come attraversare quel canale.
Ho deciso di farlo, di entrare in quelle acque sconosciute e di seguirne il corso non sapendo nemmeno dove mi avrebbero portato ma sentendo, in cuor mio, che erano acque sicure.
Durante la traversata ho incontrato ogni genere di persone; nessuna è passata senza lasciare un insegnamento. Ho compreso, con il tempo, che nessuna di loro era estranea al mio viaggio.
Mai sentito parlare del dott. Brian Weiss?
Psichiatra statunitense, famoso per l’approccio terapeutico, da lui adottato, basato sulla “past life regression”, la terapia dell’ipnosi regressiva che porta il paziente alla guarigione attraverso le esperienze delle sue vite precedenti.
Quando ancora ero una navigatrice inesperta ho avuto modo di incontrarlo in uno dei rari seminari che faceva in Italia. È stato un incontro incredibile. Quello che ho ascoltato, vissuto, in quei due giorni, circondata da migliaia di persone venute da ogni dove, mi ha incantato anche se non mi era del tutto comprensibile. È lì che ho sentito parlare per la prima volta di “Vite passate”, di reincontri, di qualcosa di speciale che ci lega alle persone che incontriamo lungo il cammino della nostra Vita.
Ultimamente questo pensiero è ritornato a trovarmi, con la visione del magnifico film “Past Lives”, opera prima della regista coreana Celine Song.
Gli orientali sono più poetici di noi occidentali ed ecco che la teoria del dott. Brian Weiss si trasforma nella delicata visione dello In-Yun: ogni persona che sfiora la nostra vita, anche semplicemente con lo struscio dei suoi abiti ai nostri, è stata per almeno 8000 volte uno In-Yun, “qualcosa di speciale” nelle nostre vite precedenti.
In una visione eterna della Vita, dove la morte non è altro che una fase di transizione da una forma materiale all’altra, scoprire che siamo uniti ad altri individui dal lontano passato è qualcosa di potente, incredibilmente potente.
Aiuta a dare un senso a certi accadimenti.
Ti è mai capitato di incontrare persone che al primo sguardo, sentivi già amiche? O nemiche? Ti è mai capitato di veder spuntare dal nulla, in momenti importanti della tua vita, persone – angeli li chiamiamo – pronti a darti una mano, ad aiutarti a superare quel momento?
La lista dei “Ti è mai capitato?” sarebbe lunghissima da scorrere e io ti lascio il tempo di sospendere la lettura per andare con il pensiero a “quella volta là… quella in cui…”
Ci sei, vero?
Tra i tanti incontri speciali della mia vita ne ricordo uno che ha dello straordinario.
Roma. La mia prima maratona. Corsa da sola perche sono troppo lenta rispetto ai miei amici. Stavo arrivando al trentesimo chilometro, quello in cui crampi dolori e non so quale altra maledizione muscolare avrebbe potuto fermarmi: così mi avevano incoraggiato i miei amici, alla vigilia della gara, perché io fossi pronta ad ogni evenienza.
Inutile dire che avevano sortito l’effetto contrario; contavo con terrore i chilometri che mi separavano dal famigerato trentesimo passando in rassegna lo stato di ogni muscolo in attesa che accadesse quanto mi era stato annunciato.
Improvvisamente sentii accanto a me qualcuno che si lamentava. Un uomo. Uno sconosciuto. Con il desiderio di risollevarlo, iniziai a parlargli; intanto il tempo passava, i chilometri percorsi aumentavano, le mie gambe continuavano ad andare senza cedere e mentre io stentavo a credere a quello che stava accadendo, lui mi indicò l’arrivo, nascosto dietro un’ultima curva.
Mi chiese di correre per i pochi metri che ci separavano dal traguardo. Ancora incredula per aver chiuso la gara senza il minimo dolore, senza grandi sforzi, acconsentii.
– Mi chiamo Paola – gli dissi
– Ed io, Angelo – rispose.
Ci prendemmo per mano e iniziammo a correre.
Il rito della medaglia, la gioia di avercela fatta, mi girai per abbracciarlo e…lui non c’era più. Sparito. Come se si fosse volatilizzato.
Nessuno dei due ce l’avrebbe fatta da solo, questo ci eravamo detti prima di iniziare a correre. Le nostre vite si erano sfiorate, si erano sostenute per un attimo e avevano creato uno “In Yun”, “qualcosa di speciale” che rivivo ancora ogni volta che ci penso. Tutto lì. Tutto incredibilmente lì.
Nel ciclo di rinascita siamo stati genitori e figli, mariti e mogli, fratelli e sorelle, amici, nemici… Abbiamo lasciato “conti in sospeso” e ci siamo reincontrati partendo da lì, per trasformare sensi di colpa nella soddisfazione di essere riusciti a portare a termine la missione lasciata incompiuta, per ricucire legami, per aiutarci a raggiungere un traguardo…
Ed a volte capita che il nostro “angelo”, il buon amico che ci spinge ad avanzare nella traversata, lo faccia, diciamo così, in malo modo.
Il canale si restringe, le sue acque diventano vorticose e pesanti e occorre un grande vigore per restare a galla e proseguire nella traversata. Ed è qui, che insieme allo sforzo più immane, si sviluppa il pensiero più rivoluzionario: trasformare il rancore, più o meno sommerso, la lamentela e il senso di vittimismo in una potente spinta evolutiva.
Disorientato?
Ti comprendo; in certe occasioni lo sono ancora anche io. Trovo sempre difficile darmi il tempo per rivedere il tutto da prospettive più ampie. So però che in quei momenti bisogna continuare a navigare, contro le correnti, i vortici, le strettoie. Puntando a giungere fino al prossimo traguardo. Con la consapevolezza che, senza quella spinta, a pensarci bene, non ce l’avremmo fatta.