A 700 dalla sua morte

Quest’anno ricorre il settecentesimo anniversario della morte di Marco Polo, e l’Ambasciata della Repubblica Italiana e i consolati in Cina ricordano l’avvenimento con eventi come la festa di Carnevale a tema organizzata dall’Istituto Italiano di Cultura a Pechino, e con articoli in doppia lingua pubblicati sui siti ufficiali, che ricordano la vita del noto mercante veneziano e alcuni gustosi aneddoti riguardanti la sua permanenza in Cina, come la presenza di una statua raffigurante 马可波罗 (Make Boluo, com’è chiamato in cinese) nella “Sala dei 500 Arhat” all’interno del tempio Hualin di Guangzhou (Canton), e l’Arhat nel buddismo è una figura paragonabile a quella del santo nella religione cattolica, il che fa capire quanto sia rispettata la figura di Marco Polo nella società cinese, in quanto persona che ha visitato la Cina e l’ha raccontata per come l’ha vista, senza pregiudizi.

Ovviamente anche “Il Milione” è stato tradotto in cinese (马可波罗游记 “Make Boluo Youji”, letteralmente “Diario dei viaggi di Marco Polo”) e in Cina quasi nessuno dubita del fatto che Marco Polo sia stato veramente nei luoghi da lui descritti nell’opera, e il mercante veneto rimane tutt’oggi il narratore occidentale della Cina per eccellenza, tant’è che più di un cinese al sentire il mio nome ha esclamato: “Come Marco Polo!”.

Naturalmente, neanche il sottoscritto è rimasto immune al fascino del viaggiatore veneziano; ho letto Il Milione, concentrandomi  soprattutto sulla parte “cinese” (nell’opera non viene descritta solo la Cina), divertendomi a riconoscere i luoghi da lui descritti attraverso la toponomastica da lui fornita, come Cambaluc (o Khan Balik), ovvero la città del Gran Khan, cioè l’attuale Pechino, allora capitale della dinastia Yuan che governava il Paese del Dragone con l’imperatore Kubilay Khan, nipote del più famoso Genghis Khan, noto per essere il primo imperatore straniero (mongolo) a regnare su tutta la Cina.

Poi c’è Catai, che è il nome con cui definiva solo il Nord della Cina, mentre il Sud nell’opera è chiamato Mangi (probabilmente lui e altri viaggiatori contemporanei ritenevano che si trattasse di due entità statali separate), il che è curioso visto che la compagnia aerea di Hong Kong si chiama Cathay Pacific, ma trovandosi l’ex colonia inglese nell’estremo Sud del Paese, forse sarebbe stato più corretto chiamarla “Mangi Pacific”.

Non essendo possibile elencare in questo articolo tutti i luoghi citati nel Milione da Polo (o da Rustichello da Pisa che mise nero su bianco i racconti del veneziano) e quelli da me visitati, mi limiterò a parlarne di uno, il cosiddetto “ponte di Marco Polo”, ribattezzato così proprio perché nominato e descritto nel Milione, mentre il suo nome originale è 卢沟桥 (Lugou qiao).

Il ponte, che attraversa il fiume Yonding (Pulisanghin nel Milione), si trova poco fuori Pechino, e quando l’ho visitato io, nell’ormai lontano 2011, tra metro e due autobus ci misi circa due ore per arrivarci, ma ne è valsa la pena per ammirare quello che Polo definiva “il ponte di pietra più bello che sia al mondo, davvero senza uguale”.

Il veneziano descrive il ponte come “lungo non meno di trecento passi e largo otto…è tutto di marmo bigio magnificamente lavorato a incastro, ha ventiquattro archi e ventitré pilastri che lo sostengono uscendo dall’acqua. Lungo ciascuno dei due lati c’è un parapetto fatto di lastre di marmo e colonne…al piede della colonna c’è un leone, e sopra la colonna un altro”.

Nelle due foto allegate si possono notare alcuni dei dettagli forniti da Polo, e purtroppo queste due foto, in una delle quali sono ritratto (inguardabile) insieme a un amico la cui immagine ho tagliato per rispetto della sua privacy, sono le uniche che mi ritrovo, anche se ricordo di averne scattate di più. Per una visione più chiara del ponte si possono cercare immagini dello stesso su Google.

Devo dire che per me quella visita è stata emozionante, anche perché quel posto non è noto solo per essere stato citato da Marco Polo, ma anche per un importante avvenimento storico avvenuto qualche secolo dopo il viaggio del mercante veneziano.

Forse non tutti sanno che non tutti gli storici indicano il 1939 come anno di inizio della Seconda Guerra Mondiale; sebbene anche la storiografia ufficiale cinese riporti la data del primo settembre del ’39, per molti cinesi la guerra è iniziata il 7 luglio del 1937 con quello che è internazionalmente conosciuto come “Incidente del Ponte di Marco Polo”, e cioè il giorno in cui un reparto dell’esercito giapponese, che sei anni prima aveva occupato la Manciuria, regione del Nord-Est della Cina (tant’è che qui c’è chi addirittura fa risalire al 1931 l’inizio della Seconda Guerra Mondiale), con un pretesto cercò di penetrare in un forte cinese che si trovava nei pressi del ponte, e al rifiuto cinese seguì una sparatoria che offrì al Giappone un altro pretesto per attaccare e conquistare ulteriori territori, compiendo crimini efferati che culmineranno con il famigerato Massacro di Nanchino nello stesso anno.

Proprio per questo nei pressi del ponte si trova anche il “Museo della resistenza anti-giapponese”, che ovviamente ho visitato quello stesso giorno.

Tornando al nostro Marco Polo, posso affermare che nonostante si dica che i cinesi siano un popolo non molto aperto agli stranieri, in realtà gli abitanti di questo Paese sono sempre pronti ad apprezzare ciò che di bello viene da fuori e chi da fuori viene con buone intenzioni, come dimostra anche la statua di Polo (vedi foto, scattata nel dicembre del 2016) sita nell’ex-concessione italiana di Tianjin storicamente l’unica colonia italiana in Asia, a circa 150 km da Pechino; in un luogo in cui gli italiani hanno occupato un territorio (in realtà un quartiere della città), i cinesi ci hanno messo la scultura di colui che loro considerano l’italiano amico dei cinesi per eccellenza (anche se non l’unico, come ho già scritto in qualche articolo precedente), quasi a voler esorcizzare lo spiacevole episodio storico che riguarda una zona che adesso è diventata un’attrazione turistica in cui non mancano ristoranti e bar all’italiana.

Concludo ricordando ai lettori che il 10 febbraio in Cina è iniziato il nuovo anno, che quest’anno è quello del Drago, figura mitologica importantissima nella cultura cinese, ben più di quanto lo sia nella nostra cultura, e il drago cinese è anche un po’ diverso dal nostro, visto che quello cinese vive in acqua, non sputa fuoco e sa volare pur non avendo le ali.

Inoltre, il drago (o dragone) è uno dei simboli del potere imperiale (non a caso la Cina è chiamata anche il “Paese del Dragone”) e infatti è nominato anche da Marco Polo quando descrive il palazzo del Gran Khan e ovviamente lo fa anche nel capitolo in cui descrive l’astrologia e i segni zodiacali cinesi, di cui ho scritto un paio di anni fa.

Buon anno del Drago a tutti!