14 febbraio 2004 – 14 febbraio 2024

Era una fredda domenica di febbraio che seguitava il classico clichè pigro e sonnolente del caffè al bar e della lettura della Gazzetta dello Sport. Non sapevo ancora niente ma il titolo del Giornale, così esiziale, oltre a rivelare il dramma di quello che era accaduto, mi sarebbe rimasto impresso per tutta la vita:“Se n’è andato”.

Marco Pantani, il Pirata, ci aveva lasciati, per sempre. Il più grande scalatore della sua generazione, se non della storia, era stato ritrovato, morto, il sabato precedente, il giorno di San Valentino, nel residence Le Rose. Un flash di agenzia aveva gettato nello sgomento e nella tristezza milioni di tifosi che fino a qualche anno prima avevano gioito per le vittorie di Pantadattilo, come amava chiamarlo Gianni Mura, uno di quelli che ha raggiunto non molto tempo fa il corridore di Cesenatico e che del Pirata ha raccontato le gesta. Andava forte Marco.

Nonostante quel corpo gracile, le sue gambe macinavano 400 watt e facevano il vuoto dietro di sé. Vincitore del Giro dilettanti, era atteso tra i professionisti come sicuro asso nascente del ciclismo italiano. Ed eccolo, al Giro 1994 non deludere le aspettative e piazzarsi sul podio al secondo posto dietro Berzin e il fuoriclasse spagnolo Miguel Indurain, grazie a due vittorie di tappa, le prime della sua folgorante carriera. Nel 1995 era atteso come sicuro protagonista della corsa rosa ma una macchina balorda lo investì costringendolo alla rinuncia del Giro. Alla Grande Boucle riuscì ad affermarsi sull’Alpe d’Huez e nella quattordicesima tappa, nella corsa segnata dalla morte tragica dell’amico Casartelli. Alla Milano – Torino del 1995 venne nuovamente investito da una macchina che lo aveva mandato in ospedale con una gamba a pezzi. La sfortuna si accanì sul Pirata, come un gatto nero. Un gatto, per l’appunto, tagliò la strada a diversi corridori nella tappa Maddaloni – Cava dè Tirreni causando la caduta di alcuni corridori. Tra questi c’era Marco che pagó l’ennesimo un tributo alla cattiva sorte. Ma il Pantadattilo cadeva e si rialzava più forte di prima. E rieccolo al Tour del 1997, con la seconda impresa sull’Alpe d’Huez, scalata in 37 minuti e 35 secondi (un record che ancora resiste) e con la vittoria di Courchevel – Morzine che gli valsero il terzo posto nella classifica generale, dietro a Ullrich e Virenque, preludio all’anno di grazia 1998, quello dell’accoppiata Giro – Tour, l’ultimo ciclista ad essere riuscito nell’impresa. Dopo il duello con Tonkov, risolto nella tappa di Asiago – Selva Val Gardena e soprattutto a Montecampione, il Panta, non avrebbe dovuto partecipare al Tour, ma la morte dolorosa di Luciano Pezzi lo convinse a prendere parte. Da quel dolore è nata la pagina più sublime della carriera di Pantani che sulle Deux Alpes, dopo aver vinto la tappa Luchon – Plateau de Beille, inflisse sotto una pioggia battente un distacco di otto minuti cinquantasette secondi al tedesco Jan Ullrich. Una vittoria epica, d’altri tempi, rimasta negli annali del ciclismo. La vita sportiva di Pantani, e non solo, cambiò repentinamente il 5 giugno 1999 a Madonna di Campiglio. Con il Giro ormai in tasca venne fermato per ematocrito sopra i cinquanta. «Mi spiace ma non tornerò mai più quello di prima. Ridiventerò competitivo, ma non sarò più quello di prima, perché ho subìto una grandissima ingiustizia». Anni più tardi, in un carcere il Bel Renato (Vallanzasca) affermò che le provette di sangue erano state cambiate per mano della Camorra per estromettere Pantani dal Giro e ricoprire d’oro gli scommettitori. Intanto Marco pagò a duro prezzo quello smacco, non fu più lui stesso, si sentiva tradito. Era riuscito a rialzarsi da ogni caduta, ma questo fu un affronto troppo grande da sopportare. Molta stampa lo abbandonò, altri speravano che fosse soltanto una fase, come spesso scriveva Mura: “lo considero disperso in Russia”. Seppur disperso nel 2000 il Pirata riuscì a lasciare il segno sul Mont Ventoux contenendo la straripante forza di un Armstrong imbattibile, e dopato, che a fine gara concesse, come dichiarò, la vittoria a Pantani. A tanta tracotanza Pantadattilo rispose con la vittoria sul Courchevel dove regolò a modo suo l’arroganza dell’americano, il più grande bluff della storia del ciclismo, sette vittorie al Tour revocate per l’uso di sostanze dopanti. Nell’esultanza dimessa e provata, l’ultima della carriera di Pantani, i presagi degli avvenimenti futuri, una sorte di nobile resa alle ingiustizie subite. Nel 2003 fu processato a Trento per i fatti di Madonna di Campiglio, con l’accusa di  frode sportiva. Assolto. Anche questa vittoria morale non riuscirà a salvare Pantani che resta ancora “sul fronte russo “ della sua anima, prima di perdersi definitivamente in un pomeriggio di San Valentino. La parabola sportiva è durata pochi anni ma l’ha reso immortale, icona non solo nel mondo del ciclismo.

Era un fuoriclasse e aveva i colpi che solo i grandi “uomini al comando” possiedono, come fece su le Deux Alpes nel 1998, dove partì a cinquanta chilometri dall’arrivo, perché i campioni non si accontentano di vincere, ma vogliono stupire, lasciare il segno. Era un predestinato e tutti sapevano che poteva essere l’italiano che avrebbe vinto di nuovo il Tour. Quando partiva sulle montagne, il suo habitat naturale, faceva il vuoto e le parole di De Zan, “è partito Pantani “, introducevano una sorta di adorazione laica per quella andatura naturale ed elegante ma, a un tempo, micidiale per chi stava dietro. La salita era per Marco un’ascesi, nirvana racchiusa nelle sue stesse parole:” (in salita) vado forte per abbreviare la mia agonia”.

Marco Pantani, il Pirata, Pantadattilo o semplicemente il Panta, ha pagato ingiustamente per altri: “A volte c’è chi paga per tutti e chi incassa per tutti”. La storia ha mostrato, prima con Armstrong poi con l’Operacion Puerto, che erano altri a frodare e che a Madonna di Campiglio qualcuno, si sa chi, l’ha fatto fuori per altri interessi. Chi è stato Marco Pantani? Rispondo con le parole del suo caro amico De Zan: “Un ragazzo meraviglioso. Un campione unico: il più grande scalatore di tutti i tempi. Un uomo ucciso due volte. Che non morirà mai.”