Avevo già avuto il piacere di conoscere in passato gli studiosi, i docenti, Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito, grazie al professor Paolo Farina, loro caro amico. Sono due persone speciali, umili, colte, disponibili. Sono compagni di vita, coniugi, come anche compagni di studi poiché condividono entrambi l’amore per Simone Weil. Li ho ascoltati l’ultima volta in occasione della presentazione del libro “Venezia Salva”, presso la libreria La Biblioteca di Babele, a Trani. Così pacati eppure così forti di quel “sapere” quasi fisiologico. In loro non vi è la forzatura morale di chi può sovrastare, intellettualmente, volendo, il prossimo. Potrebbero essere il padre e la madre, il fratello e sorella di ognuno di noi. Che il buon Dio li benedica.
Siete già stati a Trani? (A Domenico Canciani)
Domenico Canciani: Sì, siamo già stati a Trani per un convegno su Simone Weil nel 2010, in occasione del “Convivio delle Differenze” che era tutto su di lei. Un bellissimo Convegno, molto curato; sono venuti tanti studiosi di Simone Weil anche dall’America, è stato molto bello. Poi siamo venuti lo scorso anno per presentare il libro di Paolo (Trenta giorni in racconti brevi, ndr), di cui abbiamo scritto anche la prefazione, l’abbiamo visto nascere prima che fosse pubblicato; quando abbiamo capito cosa significasse per lui, l’abbiamo anche stimolato.
Questo amore per Simone Weil da cosa nasce?
Maria Antonietta Vito: È difficile dire da cosa nasca questo amore come per tuti gli amori. Come tuti gli amori, ci sono… esistono… come la “rosa che fiorisce perché fiorisce”. Simone Weil non è un scrittrice facile, è stata una lunga frequentazione… La amo da molti anni, credo di aver tagliato il traguardo dei 20, 25 anni di lettura di Simone Weil; ha accompagnato anche molti momenti di grande interrogazione della nostra vita, anche a livello personale, perché è difficile dire che “non mi tocca non mi prende non mi riguarda, io sono io”; chiaramente c’è il distacco necessario perché quando si studia una pensatrice bisogna sempre mantenere una certa alterità, però è chiaro che pone delle domande che inevitabilmente diventano domande di vita; e quindi diventa non solo molto intrigante, ma una necessità di interrogarsi sulla coerenza delle proprie scelte, su come si vivono le contraddizioni.
Ma Simone Weil ha poco pubblico: vi siete mai chiesti se avesse pubblico, se fosse letta, vi siete mai posti il problema?
Maria Antonietta Vito: In realtà in Italia è molto letta, è una pensatrice di nicchia nel senso che interessa una minoranza di persone, ma questa minoranza è molto più numerosa e molto più vivace di quanto si possa credere; ci sono i lettori forti di Simone Weil che seguono le pubblicazioni da anni, poi c’è, come sempre in tutti i fenomeni culturali, un rischio di banalizzazione per cui a seconda dei vari momenti è stata interpretata, presa in modo settoriale: è stato il periodo in cui la si leggeva soprattutto per gli scritti politici e poi la sì è letta per la dimensione religiosa; poi il femminismo ha cercato di vederla come un’autrice della difesa, quindi è chiaro che gli autori non sistematici implichino che si cerchi di tirarli da tutte le parti e questo naturalmente comporta anche degli errori, delle cantonate.
“Venezia Salva”: che libro è?
Domenico Canciani: È un’opera teatrale di Simone Weil non finita, l’unica, incompiuta. La redazione di questo testo la accompagna soprattutto nell’ultima parte della sua vita. Nasce dalla lettura di una novella storica del 1600, di un chierico, uno studioso, un bibliotecario, l’Abate di Saint-Real che ha raccontato la congiura degli spagnoli contro la Repubblica di Venezia: si narra, appunto, di un complotto contro la Repubblica di Venezia da parte di alcuni mercenari per distruggere Venezia. Quello che interessa non è questo aspetto di complott, ma il modo in cui si conclude questa vicenda, la molla, l’idea che fa pensare di trarne un argomento, un soggetto per una tragedia che in qualche misura sintetizzi tutto il suo pensiero politico, spirituale, religioso per certi versi. Il personaggio principale che si chiama Jaffier, diventato per una serie di circostanze l’attore principale che guiderà la congiura, ha un moto di pietà dinanzi alla prospettiva della distruzione totale di Venezia e delle sue bellezze, nonché dell’asservimento dei suoi cittadini. Jaffier salva Venezia, ma non la vita dei suoi amici congiurati di cui la Serenissima si vendica. A quel punto, decide di buttarsi in una mischia per andare incontro alla morte. Le ultime parole della tragedia sono lasciate a Violetta, protagonista femminile, il cui canto sembra voler lanciare un barlume di speranza.