Sostenitore del Tea Party e promosso al Consiglio di Sicurezza Nazionale, Steve Bannon è, oggi, a tutti gli effetti, l’uomo più influente dello Studio Ovale dopo il Presidente.

Armand-Jean du Plessis è stato un vescovo cattolico francese dalla politica dilatoria e lungimirante. Noto, soprattutto, come Cardinale Richelieu, ha accompagnato il popolo transalpino nel diciassettesimo secolo. Nominato Primo Ministro dal re Luigi XIII, il Cardinale Richelieu ha sempre anteposto la raison d’Etat alle dottrine cristiane. Con l’intento di rendere il proprio Paese la più grande potenza d’Europa, firmò, personalmente, l’intervento gallico nella cosiddetta “guerra dei trent’anni” contro Spagna e Austria, ottenendo successi territoriali ma mietendo, in maniera sanguinolenta, uno spropositato numero di vittime.

Quattrocento anni dopo, gli editti su pergamena hanno lasciato spazio a microfoni e cineprese. La mediaticità dell’azione demagogica è visualizzabile su piattaforme che si ergono, a torto o ragione, a giudici e giurati di processi basati su “likes” e condivisioni. Durante un programma televisivo americano facente, per la verità, un pò il verso alla vecchia e cara tribuna politica italiana, un giornalista di Fox News ha definito Steve Bannon prima “il Goebbels d’America”, poi, quasi nel disperato tentativo di indorare la pillola, gli ha appiccicato addosso un’etichetta dal sottile e sarcastico glamour, un nicodemico salamelecco intrizzito di cieca storiografia, “il Richelieu di Trump”.

Ma chi è Steve Bannon? Chief Strategist e consigliere fidato del neo Presidente degli Stati Uniti, Bannon ha coordinato, da capo esecutivo, tutta la campagna elettorale del 2016. Mansione, quest’ultima, accettata dopo aver lasciato la direzione del Breitbart News, pernicioso giornale online della destra alternativa.

Nato in Virginia nel 1954, da famiglia democratica, Steve Bannon si fa subito largo negli angusti meati dell’Alta Finanza. La repentina scalata in Goldman Sachs trasforma il banchiere Bannon in uno spietato simbolo dell’avidità di Wall Street. Figura poco gradita, persino, all’establishment repubblicano, Steve Bannon è riuscito ad unificare destra e sinistra radicali nel profondo odio contro la sua persona. Accusato di antisemitismo, razzismo e sessismo, entra a far parte della squadra di governo di Trump decantando, sotto un malcelato patriottismo, la supremazia della razza bianca.

Sostenitore del Tea Party e promosso al Consiglio di Sicurezza Nazionale, Bannon è, oggi, a tutti gli effetti, l’uomo più influente dello Studio Ovale. I drastici provvedimenti presi da Trump già nei primi giorni del suo mandato, hanno alimentato le teorie dietrologiche secondo cui il tycoon si sia avvalso di Bannon per dirimere questioni relative allo smantellamento del Ttp, alla costruzione del muro al confine col Messico e al bando dei profughi provenienti da sette Paesi islamici ad alto rischio.

Di recente, Bloomberg ha definito Bannon “l’uomo più pericoloso della sfera politica americana“, una forza oscura in grado di cantare a squarciagola l’inno a stelle e strisce alla cerimonia del 4 luglio, e, dieci giorni più tardi, biascicare, malvagiamente, una stentata marsigliese intrisa di libertè, egalitè, fraternitè.