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Perché delegare così facilmente allo psicologo l’azione di correzione, di persuasione che l’insegnante deve esercitare?

Da alcuni anni si assiste nella scuola ad una crescita numericamente impressionante delle certificazioni di patologie degli studenti tutti, dai più piccoli nella scuola dell’infanzia ai più grandi delle scuole superiori.

Negli ultimi anni, anche a causa della pandemia, si assiste ad una proliferazione di casi di dislessia (difficoltà di lettura), discalculia (difficoltà di calcolo), disortografia (disordini nella scrittura).

Lo studente che ottiene certificazioni di questo tipo ha diritto ad interventi compensativi e dispensativi che sono descritti in un complicato documento individualizzato, detto PDP, che è elaborato e firmato da tutti i docenti, dai genitori e dal dirigente scolastico: insomma, un lavoro molto complicato. Private ad immaginare cosa succede se in una scuola mediamente di mille alunni devono essere elaborati cento PDP!

L’argomento è certamente molto serio, ma viene voglia di alleggerire il tutto con una battuta: se io e miei compagni di classe fossimo stati sottoposti ai test su dislessia, discalculia e disortografia, probabilmente saremmo stati tutti certificati d’urgenza!

Il fatto è che questo complicato sistema ha prodotto alcune distorsioni nei comportamenti di genitori, alunni e insegnanti.

I genitori pensano di poter facilitare il percorso dei propri figli e così, alla prima difficoltà, se è possibile, si rivolgono agli psicologi accreditati e, se è possibile, il che accade molto frequentemente, ottengono il PDP.

Gli alunni, alla prima difficolta (ma chi non ha avuto difficoltà in matematica?) chiedono aiuto e cercano di facilitarsi il percorso con il PDP.

In tutto questo ha ovviamente un peso notevole la competizione, l’idea che tutto debba essere perfettino, che le difficoltà siano una vergogna, insomma una diffusa fragilità che si cerca di evitare invece che affrontare.

Le conseguenze più preoccupanti di questo clima riguardano però gli insegnanti. I professori e, quel che è peggio, gli insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria, anche a causa delle pressanti aspettative e le ansie dei genitori, hanno sviluppato la tendenza a guardare ai bambini in termini di improvvisata diagnosi psicologica, se non addirittura psichiatrica. Per carità, ben venga l’attenzione ai bambini, ben venga la cura, ma come si fa a non considerare che un individuo in crescita procede mediante l’errore? Come si fa a invocare l’intervento di uno psicologo, se non addirittura di uno psichiatra ogni qual volta una cosa non ci sembra “normale”, fatto salvo che non siamo nemmeno certi di sapere cosa è normale? Come si fa a confondere la vivacità con l’ iperattività? Come si fa a non ricordarsi che esiste qualcosa come la creatività, le inclinazioni di ciascuno?

Perché delegare così facilmente allo psicologo l’azione di correzione, di persuasione che l’insegnante deve esercitare?

Jean Jacques Rousseau diffidava dell’intervento degli adulti nell’educazione del bambino prima dei sei anni di età e sosteneva che il bambino dovesse essere educato dalla natura e nella natura. Era pazzo lui o siamo pazzi noi a non capire che ai bambini chiediamo un adattamento a condizioni di vita estremamente artificiali e spesso alienate?

Purtroppo, però, devo dire che negli ultimi anni ho assistito direttamente ad un’ulteriore evoluzione in senso peggiorativo: dal consulto con lo psicologo si è passati sempre più spesso alla terapia farmacologica, specialmente negli adolescenti.

È urgente dunque mettere in secondo piano l’attenzione al risultato, alla produttività, alla competizione e dare priorità al “noi”, alla scuola come esperienza comunitaria e alla relazione con gli insegnanti.


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Sono nato a Barletta nel 1956; ho insegnato Lettere per 23 anni e sono stato dirigente scolastico dal 2007 al 2023. Mi sono dedicato allo studio di vari aspetti della storia locale e sono membro della Società di storia patria per la Puglia; ho censito, trascritto e tradotto le epigrafi di Barletta. Per i tipi della Rotas ho pubblicato il romanzo-saggio “Ricognizioni al giro di boa”. Da molti anni mi interesso di religioni (specialmente il Buddhismo Mahayana) e di dialogo interreligioso. Ho avuto la fortuna di avere tre figli e ora di essere anche nonno! Da settembre 2023 sono in pensione: si dice tecnicamente "in quiescenza" ma è un po' difficile fermarsi. Gioco a tennis, mi piace molto viaggiare e credo molto nel lifelong learning. Sono stato cooptato in Odysseo da Paolo Farina :) e gli sono grato per avermi offerto uno spazio per parlare di scuola (e non solo) fuori dall’ambito formale/ istituzionale.