Vent’anni. Ed è in prognosi riservata. È caduto sabato scorso dal primo piano dell’edificio di un parcheggio, a Firenze, in piazza Alberti. La polizia sta indagando sulle cause della caduta, ma già si sa che nessuno l’ha spinto e che era appassionato di parkour.

I meno giovani tra voi si staranno magari chiedendo cosa sia il parkour. È noto anche con la sigla PK e si tratta di una disciplina acrobatica che si pratica soprattutto in percorsi urbani. Consiste nel correre e arrampicarsi valicando ostacoli di ogni tipo: tetti, cornicioni, balconi, terrazze. Che il percorso sia urbano o tra la natura, il parkour implica la capacità di usare il proprio corpo oltre ogni limite, eseguendo piroette, scalando pareti impraticabili, arrampicandosi laddove a nessuno verrebbe in mente, eseguendo salti nel vuoto. Il tutto sul filo dell’equilibrio.

E talvolta l’equilibrio si perde. Che sia o no questo il caso del ventenne di Firenze e augurandoci che, mentre questo articolo viene scritto, possano giungere presto notizie positive dal nosocomio fiorentino, una riflessione si impone.

E riguarda proprio il senso dell’equilibrio.

La domanda. Cosa fa sì che un giovane rischi la sua vita per superare i limiti della fisica e sfidare la legge di gravità? Perché rischiare tanto? Perché non divertirsi in un modo più semplice?

Divertirsi: dal latino “de-vertere” ovvero “allontanarsi da”. Divertirsi significa appunto “distogliersi”, meglio ancora: “allontanarsi” da un punto dato, da una traiettoria prestabilita. Chi cerca il divertimento cerca di distrarsi, di uscire fuori dai cliché del quotidiano. Fin qui, nulla di male.

Ma se è da se stessi che ci si vuole allontanare, se il divertimento comporta l’alienazione e per ballare ci si deve per forza sballare, allora un invito potrebbe essere: fermiamoci un attimo e riflettiamo. Ritorniamo su ciò che siamo e lasciamoci importunare dalle domande scomode, le solite, non per nulla dette “universali”, e che pure hanno fatto la forza di tanti: chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Cosa mi occorre per essere felice?

Inchiodati da domande simili, forse potremmo scoprire che per la felicità basta poco. Non serve lo sballo, basta lasciarsi amare. E basta amare. Nessun salto nel vuoto, solo un passo costante, verso una direzione comune. Zero piroette, ma un cammino fatto di perché e di risposte a quei perché.

Riflessioni fuori luogo, queste. Non c’è dubbio. Non sono alla moda né gradite. Sono “pesanti”, come si dice in gergo, per non usare un altro aggettivo che pure inizia con la “p”.

Ma se fossero domande e riflessioni del genere ad esserci necessarie per ritrovare il gusto di divertirci senza ammazzarci?

Se così fosse, al giovane ventenne di Firenze non sarebbe servito alcun salto nel vuoto. Forse, il parkour non sarebbe mai nato e noi non saremmo qui a scriverne.

Forse. Ma si sa, la storia non si fa con i “se” e con i “ma”. E, dice Montale, la storia tutto è tranne che magistra vitae.

Intanto l’ONU, sin dal 2012 ha voluto indire la Giornata Internazionale della Felicità, ha battezzato il 2015 come “anno della felicità” e ci suggerisce anche le “10 chiavi della felicità“.

Chissà che non funzionino.


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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...