Venerdì 13 dicembre, presso la sala Monfredi della Cittadella delle Imprese  di Taranto, si è tenuto un incontro su “La Laudato sì nella visione di Pierre Teilhard de  Chardin”, tenuto dal Prof. Mario Castellana, docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento, e coordinato dal Prof. Luigi Ricciardi; tale iniziativa rientra all’interno di un progetto teso alla promozione di una Economia civile – Complessità ed Ecologia integrale, portato avanti dal Centro di Cultura per lo sviluppo “G. Lazzati” insieme con la Camera di Commercio del capoluogo ionico. Abbiamo intervistato Mario Castellana.

Mario, innanzitutto, chi è Pierre Teilhard de Chardin?

Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) era un gesuita francese, insieme scienziato e teologo, che ha cercato di coniugare la visione cristiana del  mondo con la teoria dell’evoluzione; tale teoria scientifica era ritenuta in grado di spiegare la complessità del vivente in tutte le sue molteplici dimensioni, una volta però liberata dalle false e per lo più deformanti interpretazioni che fra ‘800 e ‘900 ne avevano fatto uno strumento per legittimare sul piano scientifico le diverse teorie razziali. Da bio-geologo e da paleontologo, Teilhard ne coglie la fecondità euristica per spiegare e cogliere quella che chiama ‘la singolarità dell’uomo’, ‘il fenomeno umano’ e i processi crescenti  del vivente, soggetti a continue trasformazioni dando così un non secondario contributo a quella che nella letteratura scientifica viene chiamata ‘sintesi neo-darwiniana’.  Ma ciò che lo caratterizza sul  piano teologico e sul piano della stessa spiritualità è l’idea dell’inserimento, già a partire dagli anni ‘20  del ‘900, del concetto di evoluzione nell’ambito delle stesse verità cristiane col darne una diversa interpretazione; tuttavia, tale impostazione non fu accettata sino a proibirgli di pubblicare gli scritti teologici, tutti postumi, che furono oggetto nel 1962 di un Monitum ufficiale, e poi quasi del tutto pubblicati negli anni ’70 e ancora oggi in corso di pubblicazione. Ma prima Paolo IV e poi Giovanni Paolo II lo hanno riconosciuto come una delle voci più autorevoli del mondo cristiano sino a riabilitarlo per aver gettato, fra le altre cose, le basi di un rapporto più corretto fra scienza e fede; e lo stesso Ratzinger nell’Introduzione al Cristianesimo lo pone all’interno di una visione compatibile con quella paolina.

Come sei arrivato ad interessarti di tale figura da te definita “grandiosa, provocante e attuale”?

innanzitutto tale interesse l’ho coltivato sin dagli anni universitari, grazie alla lettura di un saggio degli anni ’70 del mio professore di Filosofia della scienza, con cui poi mi sono laureato; con l’intraprendere la carriera universitaria, ho avuto modo di insegnare la stessa disciplina, sino a qualche mese fa; tale professore che si chiamava Bruno Widmar, pur essendo un ateo militante ed ex-partigiano di ‘Giustizia e Libertà’ e relatore di numerose tesi di laurea fatte da diversi sacerdoti iscritti al corso di Filosofia, era apertissimo a tutte le voci del mondo contemporaneo che avevano avuto il coraggio, come Teilhard de Chardin, di aprire dei nuovi percorsi di ricerca non solo in campo filosofico-scientifico. La lettura di questo suo saggio per me fu già allora molto illuminante, tanto in un primo momento da scegliere come argomento della tesi di laurea la visione teilhardiana della biologia come scienza; ma in quel momento la biologia come scienza ancora non faceva parte del bagaglio di base della Filosofia della scienza e soprattutto di un giovane in formazione in tale campo e così scelsi come argomento un altro argomento di filosofia della fisica e della matematica.  Nondimeno, continuai per conto mio a leggere gli scritti teilhardiani anche perché molti di questi erano incentrati sui rapporti fra scienza e fede, oggetto di miei studi più recenti e problematica poi centrale nel magistero di Giovanni Paolo II, di cui ho curato nel 2010 un’antologia di scritti dal titolo Scienza e verità.

Che rapporto c’è tra la Laudato sì e Teilhard?

Teilhard è citato espressamente al paragrafo 83 dell’Enciclica; al di là di questo, in essa si respira a tutti i  livelli un’atmosfera teilhardiana a largo spettro anche nello stesso linguaggio, in espressioni come ‘avvenire dell’uomo’, ‘cura della terra’, ‘Salviamo l’Umanità’,  ‘ciò che si deve fare’. Ma quella provocazione, già a suo tempo avanzata dal gesuita francese – e consistente nell’immettere la teoria dell’evoluzione o meglio le categorie del paradigma evolutivo come: profondità del tempo, interdipendenza dei fenomeni umani e biologici, irreversibilità, universalità, l’emergere  di più gradi di coscienza nella continua dialettica fra l’uno ed il molteplice,  complessità del reale nel cuore stesso dell’interpretazione delle verità di fede per darne un significato ed un senso più profondo, quale il ruolo di Cristo centro e fine della realtà cosmica – è stata fatta propria da Papa Francesco  sino ad estenderla a più livelli come il concetto di ‘ecologia integrale’. Si può dire pertanto che la presenza del pensiero teilhardiano nell’Enciclica è stata una presenza feconda, anche se non del tutto esplicitata, un vero e proprio lievito come le stesse idee di ‘conversione’ che l’attraversano, di ‘riconciliazione’ fra l’uomo e la terra, un nuovo modo di abitare la casa comune; nello stesso tempo molto ricca sul piano pastorale è l’idea teilhardiana della doppia direzione dell’”In Avanti”, fiducia nell’evoluzione umana, e dell’”In Alto” verso la trascendenza, da coltivare insieme per un’azione più efficace sulle condizioni del mondo.

Quali altri temi teilhardiani sono presenti nella Laudato sì?

Altri temi concernono la necessità di avere uno sguardo globale sul destino comune dell’uomo e della terra, una visione della scienza e della tecnica al servizio della vita nelle sue diverse dimensioni che superi la prospettiva tradizionale, ferma ad una visione puramente quantitativa e statica in quanto rivolta al passato; così il pensiero teilhardiano diventa in Papa Francesco uno strumento ermeneutico e pastorale insieme per delineare un nuovo percorso teso a gettare le basi per un nuovo umanesimo su scala planetaria in grado di affrontare le grandi e complesse problematiche del mondo contemporaneo.

Dato che abbiamo in comune l’interesse per quella straordinaria figura che è stata Simone Weil, ti chiedo cosa l’accomuna a Teilhard de Chardin?

Innanzitutto, pur proveniendo da esperienze culturali molto diverse fra di loro, oltre al substrato comune culturale francese, hanno entrambi la passione per le sorti dell’umanità intera in un momento in cui era in balìa dei totalitarismi e delle crisi finanziaria e politica; in nome di tale obiettivo sia Teilhard che la Weil erano spinti da un forte desiderio di verità,  in modo tale da ritenere necessario quello che chiamano, a volte quasi con lo stesso linguaggio, un ‘attraversamento’ della realtà in prima persona, un ‘abitare le contraddizioni’ di questo mondo per cercare delle concrete alternative. Inoltre, entrambi sono accomunati da una personale esperienza mistica cristocentrica che li fa entrare in collisione col tradizionale magistero della Chiesa e contrassegnata dall’esigenza di un suo radicale rinnovamento, in parte poi realizzato con l’avvento del Concilio Vaticano II. Sono due figure che pur con intenti diversi si situano sulla soglia di una Ecclesia quaerens e che ancora oggi sono la testimonianza concreta di un pensiero forte impegnato in vario modo nel duro incontro-scontro con quella che Simone Weil chiamava ‘la rugorosità del reale’ con i suoi mille significati.


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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...