La forte spinta al cambiamento…
A guisa di fuoco sotterraneo ritornava il passato: entrava da ogni direzione per affermarsi “contro” la volontà di cangiamento? Mutamento religioso, politico e di timida innovazione intrapresa, in un clima di fervore innovativo, appunto dove alla guida si ergeva, a pieno sostegno, la ragione? Nasceva così in Germania (XVIII sec.), una nuova dottrina, il romanticismo, Era già stato preannunciato dal movimento dello “Sturm und Drang”. Si doveva poi diffondere in tutta Europa nel XIX sec.
Si accusava il bisogno di raccogliere e mettere in sesto e ordinare: la fede, la politica, l’arte, la letteratura e quant’altro apportasse valori, fino allora mancanti. Quello di dare ai cittadini quel senso di Patria, ad essi ancora sfuggevole, come entità: rilevanza di base, questa, per un popolo allo sbando e “manovrato”, più che governato, da stranieri invasori.
Il bisogno di creare una normalità soddisfacente era la brama che si respirava, quantunque deboli segni di timore condizionavano il volgo, quasi assuefatto da uno stato di dipendenza allogena.
A muoversi ed incitare gli animi sulla via dell’autodeterminazione furono anzitutto gli illustri scrittori e pensatori del tempo. Questi, animati da spirito patriottico, da sciovinismo acceso, dettero i primi e importanti impulsi nello scuotere di dosso alla collettività, l’ignavia che l’aveva relegata, per lungo tempo, nelle vesti di sudditanza.
C’era stato pure, di chi contro, aveva sfornato bassissime contumelie agli eventi di mutamento del secolo in corso. Era una persona scorrubbiata, adirata per la sua posizione di assolutista e di conservatore: il gesuita, Antonio Bresciani. Ma si sa che nei cambiamenti “rivoluzionari”, ogni stabilità prima raggiunta, viene minata da stravolgimento sia di aspetto sia di sostanza.
Se il cangiamento arriva in modo repentino può causare traumi in coloro i quali si erano accostumati, avvezzati ad uno accettabile status quo, dove il dispendio sia di energie sia di raggiunta comodità erano diventate condizioni di priorità. Ma l’incitamento verso il “nuovo” è sempre stato un fatto storico da cui non se ne esce se non ribaltando il “vecchio”.
Prendendo in esame le opere del letterato Alessandro Manzoni, di Giuseppe Verdi musicista, di Goffredo Mameli, poeta e patriota, ma senza citare i tanti altri nomi illustri che hanno attivato il nostro Risorgimento, al solo scopo di comporre un quadro costruttivo. Questo per definire la situazione indegna per un “popolo” che ama definirsi tale ma che non riesce ad autogestirsi. L’accenno che si vuol dare in questo scritto è riferito ai primi impulsi dettati da questi grandi uomini per la spinta che hanno dato al raggiungimento dell’autodeterminazione di un popolo.
Per un cangiamento radicale, ovvero passare da una situazione di assoggettati a una libera, autonoma, in primo luogo occorre armarsi di idee liberali appunto e scrollarsi di dosso quello spessore di inutile patina dolente e risorgere in sé, prima ancora che nell’insieme, a livello di popolo.
Gli insigni cittadini sopra citati ed altri ancora, hanno evidenziato, coi loro “strumenti”, letterari, musicali, poetici, artistici, la forma d’incitamento ad una istanza di autodeterminazione nei confronti di coloro i quali, ingiustamente, mantenevano soggiogati interi popoli.
Alessandro Manzoni, nelle sue opere, ne fa buon uso di questo linguaggio, a cominciare dai “Promessi Sposi”, dove la prepotenza emerge già dalle prime note, con i Bravi, messi lì di traverso da don Rodrigo, arrogante uomo del tempo…
E che dire di don Abbondio e le sue paure, i malaticci timori con cui egli professa una fede in maniera paradossale e bizzarra al proprio credo?
L’A. si ripete nel Primo Coro dell’Adelchi ad incitare un “volgo disperso che nome non ha” facendo capire che solo con la determinazione, l’agire coi propri mezzi si potrà raggiungere uno stato di libertà. Scomodare gli altri per ottenerla si corre il rischio di accollarsi due padroni al posto di uno, poiché è questo il prezzo che si paga a chi arriva a levarti le castagne dal fuoco…
Cesare Pascarella nel suo poemetto “Storia Nostra” si pronunzia così a riguardo di Pio IX quando chiamava gli stranieri a difesa dei territori della Santa Sede:-Ti piacciono li mori, li francesi, li cinesi? Li vuoi far venire qui? Vai tu da loro!
Altro ancora in “Storia Nostra” riferito agli stranieri chiamati in aiuto per l’unità d’Italia:-Perché sì è vero che ce secondorno/a fa’ l’Italia, come tu m’hai detto/manco è bucìa che, quanno ce lassorno,/se ne portorno via pure un pezzetto. (Nizza e la Savoia…)
Goffredo Mameli e il suo Inno che ascoltiamo tutt’oggi, dove l’elmo di Scipio sta ad indicare chi si sta preparando ad una azione di forza, ma non certamente ben pagata come lo è la nostra nazionale di calcio….
Giuseppe Verdi col “Va pensiero” dell’opera “Il Nabucco”, dove gli austriaci non la presero bene ma che nulla poterono contro. Nulla poterono per demolire la maestosità delle note e della forza d’incitamento in esse contenute.
L’uomo crede di volere la libertà. In realtà ne ha una grande paura. Perché? Perché la libertà lo obbliga a prendere delle decisioni, e le decisioni comportano rischi (Erich Fromm).
Mi dicono: se trovi uno schiavo addormentato, non svegliarlo, forse sta sognando la libertà. Ed io rispondo: se trovi uno schiavo addormentato, sveglialo e parlagli della libertà (Khalil Gibran).