IL MIRACOLO DI ANVERSA

Il 1919 fu un anno di ripartenza dopo la tragedia dell’inutile strage che nel giro di quattro interminabili anni fece decine di milioni di morti. Cinque conferenze decisero la nuova geografia dell’Europa, ridisegnata dalla frantumazione dei vetusti e pachidermici imperi che subirono, nelle nuove entità nazionali, sanzioni esemplari. Un congresso, quello del CIO, dovette invece assegnare la sede dei Giochi Olimpici dell’anno successivo. Esclusa come ovvio Budapest, il Comitato olimpico affidò la VII edizione ad Anversa che riuscì ad organizzare la manifestazione in poco meno di un anno e, benché fosse un corso la ricostruzione del Paese, ne venne fuori un’edizione memorabile. Un miracolo a cui presero parte 29 squadre nazionali, 2663 atleti, di cui 77 donne, tra cui la prima donna italiana, la tennista Rosa Gagliardi. Non arrivarono in Belgio le rappresentative sconfitte della Grande Guerra e le discipline in programma furono 27, con la presenza del pattinaggio sul ghiaccio e del tiro alla fune e l’esclusione nell’atletica dei salti da fermo che avevano fatto le fortune del mitico Ray Ewry. Fu per la prima volta issata la bandiera olimpica a cinque cerchi e Victor Boin, schermidore belga, ebbe l’onore di pronunciare il giuramento degli atleti. Dopo otto anni, il 23 aprile, il re Alberto I del Belgio dichiarò finalmente aperti i Giochi della VII edizione.

Oltre ad essere ancora una volta un’edizione favorevole agli americani, primi nel medagliere, Anversa 1920 sarà ricordata per le quindici medaglie d’oro conquistate dalla Finlandia, di cui ben nove nell’atletica, figurando seconda nel medagliere della disciplina. Oltre a Kolehmainen che questa volta compì l’impresa nella maratona, una gara estenuante dove arrivarono solo una decina di superstiti, ad Anversa nacque il mito di Paavo Nurmi, vincitore della medaglia d’oro sui 10000, nella corsa campestre individuale e nella corsa campestre a squadre. Cedette solo la vittoria sui 5000 al francese Guillemot. Figura leggendaria, circondata da un alone di profano misticismo, Nurmi ispirerà tanti altri atleti e otterrà ben nove medaglie d’oro nelle sue partecipazioni ai Giochi, per molto tempo un record. Finlandesi primi anche nel lancio del peso, del disco e soprattutto nel lancio del giavellotto che diventò lo sport nazionale di un paese che proprio nel 1918 ottenne l’indipendenza dalla Russia. Jonni Myrrä, Urho Peltonen e Paavo Johansson si piazzarono nelle prime tre posizioni. Un dominio incontrastato.

Gli americani si riconfermarono nelle gare veloci con Paddock, che non riuscì a fare la doppietta 100 e 200 di Ralph Craig. Nel 1943 morirà in Alaska durante la seconda guerra mondiale. Gli americani primeggiarono inoltre poi nel nuoto, con le tre medaglie d’oro di Ethelda Bleibtrey, che vinse ad Anversa dopo aver sconfitto la poliomielite. Duke Kahanamoku, americano delle Hawaii, occupò il gradino più alto nei 100 m sl, stabilendo un nuovo primato mondiale.

Buona la prestazione dell’Italia che ottenne tredici ori, cinque argenti e cinque bronzi. Un cospicuo contributo alla causa lo diede ancora una volta Nedo Nadi, vincitore di cinque dei sei titoli in palio. Saranno sei gli ori conquistati in carriera da Nadi che scelse il professionismo e andò in Sudamerica, così come aveva fatto Alberto Braglia, assente ad Anversa. In Belgio un diciannovenne milanese si impose nella 3 km e nella 10 km di marcia. Il suo nome era Ugo Frigerio. Singolare fu quello che avvenne nella 3 km dove Frigerio si presentò al via con un dolore al dente, nonostante gliene fosse stato estratto uno il giorno prima. Si batté contro l’australiano Parker che poco poté fare contro il marciatore milanese, che a fine gara chiese di tornare dal dentista perché il dolore non era passato. Si scoprirà che gli avevano tolto il dente sbagliato!

Nella 10 km di marcia il successo arrivò a spese dell’americano Joseph Pearman. Anche di questa vittoria c’è un aneddoto curioso: il direttore d’orchestra, non trovandosi lo spartito dell’inno nazionale per omaggiare Frigerio della vittoria, decise di eseguire O’sole mio.

Le vittorie, ottenute con una manifesta superiorità che tradivano la giovane età, gli valsero il soprannome di “Fanciullo d’Anversa”, sicuramente uno dei primi eroi nazional popolari prodotti dai Giochi, insieme a Nedo Nadi. Altri ori arrivarono dall’inseguimento a squadre nel ciclismo, dall’equitazione, dalla ginnastica, dove nel concorso individuale Giorgio Zampori fu l’erede di Braglia e la squadra italiana vinse il concorso a squadre, dal canottaggio nel due con e nel sollevamento pesi con Filippo Bottino. Per i nostri colori fu senza ombra di dubbio un’Olimpiade da ricordare, un risultato che eguaglieremo soltanto quarant’anni dopo durante le straordinarie giornate di Roma 1960.

Nel complesso, l’Olimpiade belga ebbe un buon successo, dopo alcune edizioni difficili, condizionate dall’associazione dei Giochi alle Esposizioni universali e dalla guerra che tuttavia aveva lasciato ancora strascichi. L’opinione pubblica iniziò maggiormente a interessarsi del movimento olimpico che si nutriva del successo dei giorni di Anversa che rinnovarono questa volta il miracolo della pace e aiutarono a svilupparsi maggiormente il sentimento olimpico come base per la convivenza tra i popoli.