Salvini e Di Maio non sono trovatelli, sono figli del mondo che c’era prima di loro…

Caro Direttore,

i lettori che mi hanno seguito in questi mesi sanno come la penso su Lega e Cinque stelle, su Salvini e Di Maio, populisti con forti venature fasciste, e rimango fermo nelle mie convinzioni. Ma, siccome vado per i settanta, non credo più alla favola dei bambini che nascono sotto il cavolo o che li porta la cicogna. I bambini nascono perchè una donna e un uomo, per amore o per errore, trovano il modo di metterli al mondo, un modo, sempre lo stesso, che origina con l’umanità. Ecco, Salvini e Di Maio non sono trovatelli, sono figli del mondo che c’era prima di loro e che tanto fece e tanto brigò, fino a creare questo mostro bicefalo che è il governo gialloverde. Loro sono l’effetto di una causa, la causa è stata la cecità della politica, dei partiti che c’erano e che oggi si leccano le ferite, ancora storditi dalla batosta elettorale, e ancora nelle nebbie del che fare.

La mia idea, per quel che vale, è che i partiti che hanno costruito la Repubblica prima e l’Europa poi, hanno sottovalutato il malcontento del popolo sempre più emarginato dalle grandi decisioni politiche che incidono sulle nostre vite. Sinistra e cattolici le hanno date per acquisite una volta per tutte, come se il tempo si fosse fermato. Il mio riferimento è innanzitutto all’Unione Europea, nata con le migliori intenzioni, contro il pericolo di nuove guerre, dopo la carneficina delle due guerre mondiali scoppiate in un quarto di secolo. Ma, al di là dei grandi principi e dei nobili propositi, culminati nel 2002 con la nascita dell’Euro, sinistra e cattolici non capirono che l’Europa stava scivolando nelle mani della grande finanza mondiale. Perchè non capirono? Probabilmente perché, dopo mezzo secolo di Stato sociale finanziato a debito, guardavano all’Europa come un’àncora di salvezza. Il debito è stato il nostro cappio al collo, che è diventato sempre più stretto a causa della nostra economia asfittica, della produttività ai livelli più bassi, del nostro essere un popolo privo di senso dello Stato, dell’economia illegale che attraversa il Paese da Nord a Sud, della malavita che “amministra” intere regioni.

In questo quadretto, la sinistra o si è fatta estremista e minoritaria, o ha assunto con il PD il modello del liberismo e della finanza, scordandosi delle fasce deboli della popolazione, sempre meno protette, come se la crescita del Paese potesse duistribuire ricchezza a tutti in automatico. E, quando i segni della ribellione dal basso si sono fatti “rivoluzionari”, la sinistra estrema è scomparsa, il PD si è dilaniato in lotte interne (cose di oggi), il Paese si è consegnato alla nuova destra di Salvini e alle promesse fantasmagoriche di Di Maio. Ne è venuto fuori un mostro: la vecchia sinistra si è fatta grillina o si è consegnata alla Lega, metamorfosi che il PD di Martina fa fatica a comprendere, ma che è la realtà di oggi. È facile ironizzare sulle cene mancate, sulla confusione che regna sovrana, sulle uscite twittate da Renzi, il grande sconfitto del 4 marzo scorso. L’amara verità è una sola: quel che era rimasto della Prima Repubblica, la sinistra ex comunista e i cattolici democratici, non ha ascoltato i rumori di fondo del Paese, illuso dal 41 per cento conquistato alle ultime elezioni europee. Un’illusione crollata sotto le macerie del referendun del 4 dicembre di due anni fa, che il carattere insopportabile di Renzi ha trasfornato nell’anticamera del 18 per cento del 4 marzo scorso.

Che fare adesso? C’è tempo per ricominciare? Non so se c’è il tempo, c’è sicuramente il dovere di provarci. Come? Con un lavoro molecolare, con una specie di porta a porta, con l’ascolto delle esigenze della gente che fatica ogni giorno per arrivare a sera. Bisogna provarci, ma ci vorrà tempo e fatica, non liti per chi dev’essere il segretario, meglio liti su quale strada imboccare. Servirà? Non lo so. Per certo so che bisogna essere pronti a resistere allo sfascio gialloverde. E prepararsi a un dopo che non potrà non esserci. Salvini è una soluzione autoritaria, da contrastare con forza, Di Maio non è una soluzione. Ma le istanze del popolo sono reali. È da qui che si deve ricominciare.


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Pugliese errante, un po’ come Ulisse, Antonio del Giudice è nato ad Andria nel 1949. Ha oltre quattro decenni di giornalismo alle spalle e ha trascorso la sua vita tra Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove abita. Cominciando come collaboratore del Corriere dello Sport, ha lavorato a La Gazzetta del Mezzogiorno, Paese sera, La Repubblica, L’Ora, L’Unità, La Gazzetta di Mantova, Il Centro d’Abruzzo, La Domenica d’Abruzzo, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a direttore. Collabora con Blizquotidiano.  Dopo un libro-intervista ad Alex Zanotelli (1987), nel 2009 aveva pubblicato La Pasqua bassa (Edizioni San Paolo), un romanzo che racconta la nostra terra e la vita grama dei contadini nel secondo dopoguerra. L'ultimo suo romanzo, Buonasera, dottor Nisticò (ed. Noubs, pag.136, euro 12,00) è in libreria dal novembre 2014. Nel 2015 ha pubblicato "La bambina russa ed altri racconti" (Solfanelli Tabula fati). Un libro di racconti in due parti. Sguardi di donna: sedici donne per sedici storie di vita. Povericristi: storie di strada raccolte negli angoli bui de nostri giorni. Nel 2017 ha pubblicato "Il cane straniero e altri racconti" (Tabula Dati).

3 COMMENTI

  1. È un articolo autentico, vivo.
    Grazie sig. Antonio per questa perla che conserverò e onore a lei, perché questo mondo difficile, lo ha attraversato prima di me.

  2. Concordo appieno con l’analitica e cronologica dinamica storico/politica resaci dall’autore. È andata proprio così … sempre però. Anche quando i contrapposti erano dall’altra parte ed i mostri erano a sinistra e “mangiavano” preti e bambini. Per non parlare poi della Chiesa che aveva appena finito di “esiliare” gerarchi ed SS nazisti veicolandoli in Sudamerica attraverso i suoi viatici istituzionali in barba agli eccidi ebraici. Adesso rimpiangiamo addirittura i Dem, sterili estratti di piattaforma “cattocomunista”, capaci solo di autoimborghesirsi e di implodere su se stessi. Tutto ciò che è stato il “dopo” è sempre stato considerato logico e performante. Ora non più ma per via non di quello che realmente possa rappresentare (ognuno coltiva le sue paure come crede) ma per via di quell’ottimismo rubatoci insieme alla nostra dignità nazionale svenduta da “sinistri” e “tonacati” senza scrupoli. W Francesco, unico padre di noi tutti, che nella sua eredità “annovera” quello che è il punto di svolta cardine della nostra storia politica, economica e finanziaria. Ah … dimenticavo … un reverente saluto anche a Benedetto.

  3. Del Giudice è un osservatore attento della realtà ed un analista pragmatico di quella che è la deriva politica che sta caratterizzando questo momento storico l’Italia. La sinistra, quella vera, quella della questione morale di Berlinguer e dell’alternativa democratica (il famoso compromesso storico) avviato da Berlinguer e da Moro per il bene del paese, è ormai morta e anche il cattolicesimo non sta tanto bene.
    Quindi l’autore si chiede dove sia la sinistra e dove sono i cattolici; temo che non ce ne siano o hanno il timore di uscire allo scoperto. Forse però è arrivato il momento di farlo, come nuovi partigiani della cultura democratica. Una volta c’erano le scuole di partito che formavano una classe dirigente preparata. Ora la politica è gestita da “improvvisatori” senza alcuna preparazione. Le competenze sono state sostituite dalle appartenenze ed il merito è un valore non pervenuto dalle parti della classe politica.
    Concordo con la considerazione che molte istanze del movimento 5 stelle sono reali e rispondono ai bisogni del paese, ma sono le risposte e le soluzioni a quelle istanze che sono discutibili e anche pericolose. Servono decisori capaci e a volte silenziosi. Non si governa con un Twitter continuo.
    La speranza è che la politica ritorni ad essere meritocratica. E non sempre la somma aritmetica delle opinioni individuali coincide con l’opinione oggettivamente migliore. Il bene del Paese va oltre gli interessi di parte.

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