Chi si lava le mani oggi? Chi è Pilato oggi? Il Governo? la Chiesa? le Banche? la Società intera?
Lavarsi le mani è, nel parlare comune, sinonimo di indifferenza, di non voler sporcarsi le mani, di rimanere puliti fuori e sporchi dentro, di conoscere le verità, ma scegliere l’ipocrisia. Lavarsi le mani è non avere coscienza, non avere coraggio, è paura di mettere la faccia e di scontrare la realtà, e di vivere una vita da palinsesto.
Quante volte davanti alle ingiustizie ci siamo lavati le mani come ha fatto Pilato?
Quante volte abbiamo visto uno senza fissa dimora dormire, avendo come tetto il cielo e come giaciglio la strada ed abbiamo detto: “Qualcuno ci penserà, non è affar mio”.
Quante volte abbiamo visto uno in difficoltà per strada e abbiamo girato il capo dall’altra parte?
Quante volte abbiamo appreso di un anziano, di bambino di un essere umano in una situazione non bella abbiamo detto: “Lo prenda un’altra famiglia, non la mia”.
Quante volte abbiamo incrociato qualche persona ‘tormentarsi’ e non lo abbiamo aiutato dicendo che non è affar nostro?
Quante volte abbiamo chiuso gli occhi dinnanzi alla condizione di ingiustizia e di prevaricazione che opprime i più deboli e gli scarti della società?
Quante volte abbiamo sentito e visto della situazione di indigenza fisica e spirituale di chi non ha più forze per combattere per la verità, la giustizia, per la vita ed è prevalsa la nostra indifferenza?
Quante volte abbiamo visto e siamo passati dall’altra parte?
“Gesù prova sulla sua pelle anche l’indifferenza, perché nessuno vuole assumersi la responsabilità del suo destino. E penso a tanta gente, a tanti emarginati, a tanti profughi, a tanti rifugiati dei quali tanti non vogliono assumersi la responsabilità del loro destino”: lo ha affermato Papa Francesco, nell’omelia della Santa messa della Domenica delle palme in piazza San Pietro.
L’indifferenza riduce la visuale, ostacola di guardare al di là di quello che è “mio”: pensiero, coscienza, interesse. Oltre il mio raggio di visuale, si consuma la “terza guerra mondiale” con le migliaia di rifugiati al confine della Grecia, con l’innalzamento della povertà, con l’abbattimento di antiche foreste.
“Non è affar nostro”, e allora chi si dovrebbe occupare, delle periferie umane? A volte le tanto decantate, menzionate o meglio citate “periferie del mondo, periferie esistenziali” sono solo uno slogan da palcoscenico per fare audience, voti, proselitismo, e vuoto.
Vuoto delusione e solitudine, che sperimenta chi ogni giorno accoglie i profughi, i migranti, le donne di strada, i delinquenti, i travestiti, i papà disperati che iniziano a spacciare per portare pane a casa, chi è costretto a vendere il suo corpo, per racimolare un po’ di euro per poter mangiare e curarsi, chi combatte contro il malaffare e si batte per la giustizia…insomma, gli scarti della società umana, e non se ne vergogna.
L’imbarazzo lo dovrebbe avere chi pur investito da poteri forti non sceglie di entrare nelle piaghe della storia per contrastare le disuguaglianze sociali e immorali che il sistema consumistico inflazionato ed inquinato ha prodotto. Le Responsabilità pubbliche ecclesiastiche e private sono una emergenza nazionale, internazionale, globale da mettere in primo piano in questo momento storico che l’umanità sta attraversando. Le condizioni dei popoli dipendono da una nuova Responsabilità Etica verso il futuro del Mondo. La qualità e la coerenza all’obbligo dei “poteri di sistema democratico oligarchico o teocratico”, pur nelle molteplici, differenze di ideali, si misura attraverso l’esercizio effettivo dei diritti umani, nel rispetto dei patti solennemente condivisi di fronte alla intera umanità.
Questa è la posta in gioco nel XXI secolo. Non si deve e non si può chiedere meno di questo. È interesse generale che vi sia sufficiente mobilità sociale per dare speranza di un futuro migliore ai più deboli e fragili e non semplicemente lavarsi le mani.
Si lavarsi le mani, un antica usanza per immunizzare microbi, batteri e virus ma l’ umanità ha bisogno di mani che non hanno paura di contagiarsi, di toccare la povertà, il disagio, la sofferenza dell’altro/a. L’umanità è fuori dai palazzi sorvegliati, fuori luogo e sordi al grido della disperazione di tanti uomini donne . L’umanità la conosci se la incontri, se la tocchi, se la stringi, se la annusi, se la fai tua, se ti entra dentro le tue viscere e sei disposto a sporcarti le mani, a segnarti le mani con cicatrici che l’acqua non toglie, che l’indifferenza non rimuove, che l’irresponsabilità non leva.
Non laviamoci le mani anche noi come fanno in tanti. Non diciamo: non è affar nostro, ma impariamo a dire è affar mio, mi interessa, è cosa nostra, è umanità da amare e da salvare.