“Gli esseri non sono essere, ma hanno l’essere. Indi, solo l’essente per essenza, che ha in sé l’essere poiché sussistente, può dare l’essere agli esseri.”

(Appunti di metafisica, 2015)

In buona sostanza, solo una madre può dare alla luce un figlio con la sua stessa essenza, perché l’Amore più vicino in assoluto a quello di Dio è il suo: proprio quello di una madre.

Si chiamava Corrado, era un mio docente universitario, e non era colui che mi insegnava la metafisica.

Quello era Michele, parlava una lingua astrusa: evidentemente italiano, eppure fu con lui che io, assolutamente certa di avere notevole padronanza della lingua madre, scoprii per l’ennesima volta la verità in cui ero inciampata già in innumerevoli occasioni, nel corso degli anni che mi avvicinavano al reparto di geriatria: ero ignorante!

Io, signori, non lo capivo. Michele parlava a braccio per ore intere ed io non riuscivo a scrivere niente di quanto sentivo. Chiaro, ascoltavo, non comprendevo, cosa volete che sentissi!

Ero più piatta della pista di atterraggio che troneggiava sul giochino del tablet del mio collega:

  • My’ (leggasi Mì, così mi chiamava), giochiamo, che addà passà a nuttat.

Queste le nostre ore con Michele, che non sarebbero finite quell’anno.

Arrivò il momento di andare a sedersi davanti a lui per l’esame. Bene, #uncazzo! Cosa mai avrei potuto dire ad un uomo che proprio non parlava la mia lingua? E soprattutto, che lingua parlava? Boh!

Ma io non mi tiro mai indietro davanti alle chiamate e quella era proprio una signora chiamata alle armi. Non era guerra, ma le somigliava molto.

Domanda numero uno. Ancora oggi intraducibile, perdonatemi, non so cosa dirvi. Però, quel giorno, io sapevo che la risposta l’avevo. Quindi dovevo aggirare un ostacolo che non avevo i mezzi per abbattere.

  • Professore, per favore, mi ripete la domanda?

E lui si lasciò “sgamare”. Conosceva il mio limite e sapeva parlare come me. In sostanza tradusse in lingua volgare e mi tese la mano. Due “sgami in uno”.

  • Sai parlare come i comuni mortali e non sei stronzo. Bene, inizi a piacermi, Michele. Proviamo a capirci, pensai nell’unico istante che avevo a disposizione prima di rispondergli. Perché io dovevo rispondergli. Certo, a modo mio, ma non potevo fargli credere di non sapere, semplicemente perché sapevo.

Così risposi. E non sbagliai.

Il siparietto si ripeté per ognuna delle domande di cinquantasei minuti suonati di esame. Tanto che pensai sarebbe stato il peggiore di tutti quelli che mi aspettavano fino alla fine della corsa… ed erano settanta! Naturalmente sbagliavo, ne ho visti di peggiori; uno l’ho finito sudata, stanca, lucida e ben confusa.

In quel caso credo di aver meritato la lode per un fatto di resistenza, più che di conoscenza. Si chiamava Gabriele, ma è un’altra storia.

Dunque Michele.

Avevo risposto a tutto, non avevo sbagliato niente, ma io non so stare zitta. Non sono proprio capace. Il delirio era finito, aveva preso quel benedetto statino e lo stava compilando, aspettavo la “mazzata di morte” nell’unico modo che conoscevo. Esattamente come aspettare la morte.

Ed io, secondo voi, potevo tacere davanti alla dama con la falce?

(Magari mi servirà di lezione per il momento in cui verrà a prendermi sul serio).

  • Professore, io le devo le mie scuse. Ho fatto tutto quanto ho potuto, ma la lingua del Trascendente non l’ho proprio imparata!

E contestualmente nella mia mente partì una domanda autorivolta: hai detto “lingua del Trascendente”? Cioè hai appena scoperto che lingua parla? Ma sei una cretina! Non ci potevi arrivare prima?!! Cretina!

Michele, il libero traduttore abusivo e non stronzo, sorrise, non si scompose. Pareva di cera, ma molle:

  • È evidente. Ma non può esimersi dall’impararla. Deve assolutamente trovare la chiave, perché lei la chiave ce l’ha.

Oracolo del Signore!

Vi avevo nominato Corrado, mica a caso. Lui, che era comprensibilissimo, aveva la sua buona dose di terrore da vendere per i corridoi e, da lui, terrorizzata arrivai.

Anche qui, sapevo di sapere. Che poi non so niente, non ho certo smesso di essere ignorante. Ma con gli esami vinci facile. Non c’è Mistero. Devi studiare! Ed io, di certo, studiavo.

Altrettanto certo era che non pensavo neanche lontanamente di poter superare Corrado con la lode, specie quando, seduta davanti a lui, scoprii che era veramente un seminatore di terrore in lingua del popolo. Va bene che lo capivo, ma lui non smetteva mai di pretendere, senza sosta.

Di nuovo, statino e morte, potevo stare zitta? Quando vidi la “T” di trenta (che non è la “T” di qualcos’altro che solo un barese poteva pensare e che vi risparmio), dissi:

  • Professore, lei non sa neanche di quale sacrificio mi sta ripagando oggi.

Alzò la testa. Il trenta era scritto.

  • I sacrifici, figlia mia, vengono s-e-m-p-r-e ripagati. Lode.

Ossignorebenedettotuttattaccato!

Questo indimenticato e favoloso calcio, dritto nell’osso sacro, è stata la ragione essenziale per la quale io sono riuscita ad arrivare dove sono. E nel modo in cui ci sono arrivata; un modo che, chapeau, nemmeno nel più ardito dei sogni mai fatti, avrei potuto immaginare.

E allora, “la felicità è capire le cose. Quando improvvisamente sto comprendendo quello che comprendo. Quello che sai, la tua conoscenza, non è di tua proprietà. Passa attraverso di te perché possa rendere felici gli altri” (Daniel Pennac).

Orbene, il culmine di questo momento ricco di cotante soddisfazioni e certezze, non poteva che essere il seguente: ripetere che “gli esseri non sono essere, ma hanno l’essere. Indi, solo l’essente per essenza, che ha in sé l’essere poiché sussistente, può dare l’essere agli esseri“, farlo ad alta voce e soprattutto, capirlo.

Come fosse una teglia di patate, riso e cozze.

Data di oggi, anno 2019 .

No, per carità, #vatuttobenissimo.


Fonte Photocredits: pixabay.com libera reinterpretazione Myriam Acca Massarelli
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.