Mercoledì primo luglio ci sarebbe dovuta essere l’annessione allo stato di Israele degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Proviamo a spiegare i termini della questione.

Che cos’è un’annessione? Come spiega un dettagliato articolo di ValigiaBlu, “si parla di annessione quando uno Stato proclama unilateralmente la propria sovranità su un territorio al di fuori dei suoi confini. Spesso avviene dopo una occupazione militare al di là se le persone che vivono nel territorio occupato lo vogliano o meno. Un’azione del genere è espressamente vietata dal diritto internazionale. Un esempio recente è stata l’annessione da parte della Russia della Crimea in Ucraina nel 2014. […] Israele ha già annesso nel 1980 la maggior parte di Gerusalemme Est, abitata dai palestinesi e un anno dopo le alture del Golan, sottratte alla Siria”.

Che cosa sono gli insediamenti ebraici in Cisgiordania? La Cisgiordania è una delle due aree territoriali che compongono la Palestina. L’altra è la Striscia di Gaza. In inglese è chiamata West Bank ed è da più di 50 anni sotto occupazione militare israeliana. È suddivisa, secondo gli accordi di Oslo (1993), in 3 aree: Area A sotto pieno controllo palestinese, Area B caratterizzata da un’amministrazione congiunta di Israele e Autorità Nazionale Palestinese, Area C sotto pieno controllo israeliano. Gli insediamenti ebraici, altresì detti “colonie”, sono veri e propri centri abitati, che variano per dimensioni, in territorio palestinese, abitati però da israeliani. Tali colonie sono ritenute illegali dal diritto internazionale, eppure prosperano ed ospitano oggi circa 500 mila ebrei.

Il piano di Netanyahu la cui esecuzione avrebbe dovuto avere inizio avantieri, prevede l’acquisizione di fatto di circa un terzo dei territori occupati della Cisgiordania e, in particolare, della fertile Valle del Giordano. In sostanza quelle che oggi sono “colonie” diventerebbero a tutti gli effetti Stato d’Israele. La differenza formalmente è netta, eppure praticamente – considerata la specificità della situazione palestinese, caratterizzata da un’occupazione che dura mezzo secolo e una colonizzazione progressiva che dura da 30 anni – non c’è differenza. È questo il motivo per cui, a parte l’aver dichiarato una “Giornata della Collera” – più utile ai capi politici per legittimarsi agli occhi del popolo, che alla causa del popolo stesso – la gran parte dei palestinesi ha accolto la notizia dell’annessione senza battere ciglio.

Lo ha fatto perché i palestinesi sanno benissimo, vivendolo ogni giorno, che quelle colonie sono già Stato d’Israele. In quei centri abitati ci vivono solo israeliani, protetti da esercito israeliano e amministrati da israeliani. Centri tra l’altro collegati al territorio israeliano vero e proprio da strade riservate solo a cittadini dello Stato ebraico.  Ecco perché le dichiarazioni di molti di loro raccolte dal quotidiano Haaretz avevano tutte all’incirca lo stesso tono: “sia che la chiamiamo occupazione, sia che la chiamiamo annessione, le cose qui non cambieranno”. “La loro autonomia è già limitata e per andare a coltivare la terra dalla quale possono essere facilmente espropriati, devono chiedere il permesso israeliano” si spiega in un approfondimento dell’Ispi. ” “Per vivere i palestinesi consumano prodotti israeliani; le loro strade, quando a un posto di blocco non li rimandano indietro, sono peggiori di quelle degli occupanti e i coloni israeliani sono da sempre liberi di comportarsi come se fossero già dentro i confini dello Stato ebraico internazionalmente riconosciuto”. A ciò si aggiunga che i palestinesi non hanno un proprio aeroporto, non hanno una propria moneta, non dispongono della loro acqua.

L’annuncio di annessione alla fine è stato rimandato per ragioni ampiamente spiegate negli articoli citati. Tuttavia se ci fosse stato, per i palestinesi, sarebbe stato lo stesso. E forse anche per gli israeliani, considerato che al momento sia Israele che Palestina sono alle prese con una seconda violenta ondata di epidemia da Covid-19. E secondo alcuni osservatori, la vera ragione del rinvio, sta proprio nella nuova emergenza di contagi. Ma il fatto che un’ennesima azione illegale sia stata fermata non dalla comunità internazionale, perché in violazione delle sue leggi, ma da un caso fortuito come l’emergenza Covid, non dimostra ancora una volta come le dinamiche in campo attorno a questa vicenda siano tutte completamente sbagliate? Occhi e croce, sembrerebbe proprio di sì.


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"Andrea Colasuonno nasce ad Andria il 17/06/1984. Nel 2010 si laurea in filosofia  all'Università Statale di Milano con una tesi su Albert Camus e il pensiero meridiano. Negli ultimi anni ha vissuto in Palestina per un progetto di servizio civile all'estero, e in Belgio dove ha insegnato grazie a un progetto dell'Unione Europea. Suoi articoli sono apparsi su Nena News, Lo Straniero, Politica & Società, Esseblog, Rivista di politica, Bocche Scucite, Ragion Pratica, Nuovo Meridionalismo.   Attualmente vive e lavora a Milano dove insegna italiano a stranieri presso diversi enti locali".